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Coloro che assistettero alla scena raccontarono agli Immacolati che il camion accelerò, nell'evidente tentativo di investire l'uomo vestito di nero che si era messo in mezzo alla strada.
Era apparso da un vicolo laterale, camminando senza fretta. Sembrava che avesse saputo fin dall'inizio che i rapitori sarebbero dovuti passare per quel luogo, e che avesse previsto il suo piano d'azione in anticipo.
Quello che nessuno riuscì a spiegare fu il momento in cui il camion, arrivato a non più di cento metri da lui, venne come fermato da un muro invisibile. La sua parte frontale si accartocciò e il suo carico si sollevò in aria, compiendo lentamente una goffa capriola. Si staccò dalla motrice e volò in alto, sopra l'uomo in nero, per atterrare infine a circa quattrocento metri di distanza, trascinandosi per un po' lungo la strada con un poderoso rumore di ferraglia che stride.

La figura, in tutto quello, era rimasta completamente immobile, quasi disinteressata. La sua attenzione si posò però ben presto sulle due figure che, contro ogni umana comprensione, uscirono dalla carcassa della motrice del camion ormai distrutto.

Raccontarono che erano grossi come orsi, e altrettanto minacciosi se non di più, con il volto e il corpo coperto dal loro stesso sangue, profonde ferite sui volti causate dai vetri che erano esplosi davanti a loro. Uno doveva avere una gamba rotta o malandata, perché se la trascinava dietro mentre avanzava, apparentemente incurante.
Erano entrambi armati con dei fucili a ripetizione, più grandi e massicci di quelli solitamente in dotazione agli Immacolati. Ovviamente armi di contrabbando, usate dalle organizzazioni criminali della città. Loro stessi, probabilmente, erano figli di qualche abominio creato da uomini senza scrupoli per sfruttare la vita insensata di quelle povere anime per arricchirsi.
La gente si era chiusa in casa, preoccupata, chiamando gli Immacolati, e pregando che non succedesse loro nulla di brutto.

Iniziarono a sparare, ovviamente. Non gridarono, non imprecarono, non si lamentarono per il dolore. Erano macchine da guerra, assassini forgiati in anni di battaglie. Avevano visto tutto quello che c'era da vedere di orrido in quella città, e non si sarebbero fermati di fronte a un qualche mostro a loro simile che intendeva porre loro i bastoni fra le ruote.

Ma i proiettili non lo colpirono. Sembravano scivolargli addosso, senza che lui facesse nulla per fermarli o evitarli.
Questo inquietò i due fratelli. Ricordò loro di una antichissima memoria che avevano seppellito nella mente. Non era una di quelle memorie impiantate loro durante il loro sviluppo nelle vasche di procreazione, ma una storia, una vecchia storia, che gli era stata raccontata dal ricercatore che si era preso cura dei loro primi anni di vita, prima che loro stessi lo uccidessero.

Era buffo, in verità. Quell'uomo doveva far prendere delle medicine a dei ragazzi creati nei laboratori dove lavorava che, se solo avessero voluto, avrebbero potuto spezzargli un braccio in pochi istanti. Come farsi rispettare da due ragazzi così? Come farsi obbedire?
La soluzione era semplice quanto sorprendente, in verità. Aveva raccontato loro delle storie, fin da quando erano stati piccoli, piccolissimi. Fin da quando non avevano ancora consapevolezza di loro stessi, fin da quando non erano ancora nemmeno dei corpi perfettamente formati nel liquido amniotico. E la storia che raccontava loro più di frequente, forse prevedendo i giorni in cui avrebbe dovuto in qualche modo imporre la sua autorità su di loro, era quella di un uomo vestito di nero, che si nascondeva negli anfratti del laboratorio, e che li osservava. Li osservava mentre nascevano, mentre crescevano, mentre imparavano, mentre iniziavano a compiere le loro prime missioni ed uccisioni. Li osservava in ogni momento, nascosto, pronto a colpire.

–Noi non abbiamo paura di morire.– avevano risposto un giorno a quella storia, sprezzanti. –Anche se venisse a prenderci, noi non avremo paura di morire.
La cosa interessante, aveva notato subito il ricercatore, e fu davvero cosa strana il fatto che pensò bene di non riportarla da nessuna parte, era che i due non avevano negato l'esistenza di questo uomo nero, né avevano messo in dubbio la sua capacità di ucciderli. Pensavano che fosse davvero plausibile che ci fosse, da qualche parte, e che fosse abbastanza pericoloso da rappresentare una vera minaccia.

Il ricercatore si trovava così in difficoltà, con la sua storia che rischiava di essere disinnescata dallo sprezzo del pericolo di quei due demoni che gli erano toccati in sorte. Ma l'uomo era sempre stato abituato a pensare in fretta, ed aveva avuto una risposta pronta quasi subito.
–Oh, ma lui non intende punirvi uccidendovi.

I due lo avevano guardato, confusi. Non riuscivano a concepire nessuna punizione peggiore della morte. Tutto quello che era stato insegnato loro era dare la morte e fare tutto quello che era in loro potere per evitarla. Cosa poteva esserci di peggiore?

L'uomo a quel punto aveva sorriso, pregustando il fatto di averli in pugno, anche solo per quel poco.
–Lui non verrà per uccidervi, miei cari ragazzi, ma per dividervi.

–No.– aveva sussurrato uno dei due, mentre l'altro spalancava la bocca, terrorizzato.
Si erano guardati, i loro sguardi pieni di paura, i volti improvvisamente bianchi.
–Non glielo permetteremo.– dissero poi, guardando decisi il ricercatore.

–Non te lo permetteremo.– dissero, in quel frangente, avanzando impavidi verso l'uomo nero. Ma le loro gambe tremavano per la paura, le loro mani sudavano, i loro cuori avevano accelerato il battito, le pupille erano dilatate.
L'incidente di prima non era nulla per i loro corpi addestrati e potenziati, avrebbero potuto andare avanti tranquillamente senza problemi. Ma non appena si ritrovarono di fronte quell'uomo, qualcosa scattò nelle loro teste.

E fu in quel momento, mentre la loro pioggia di proiettili si infrangeva senza alcuna utilità sull'uomo nero, che quello estrasse la sua arma.

Avevano pensato che potesse essere un fucile, ma non era così. Lo videro estrarre da una sorta di fondina un martello da fabbro, dal lungo manico in legno e la testa rettangolare di massiccio metallo.
Rimasero interdetti per un attimo. Dopodiché uno di loro si mise a ridere, sconcertato, impazzito. Lasciò andare il fucile e si scagliò con le sue nude mani verso l'uomo nero, pronto per abbatterlo e strangolarlo.
Aveva già previsto tutto. Ogni possibile movimento, ogni possibile spostamento, ogni angolazione che l'uomo nero avrebbe potuto utilizzare per colpirlo. Il suo allenamento, la sua mente espressamente creata per quello, gli avrebbe permesso di evitare qualsiasi colpo inferto da un'arma così primitiva.

Quello che non aveva previsto fu che il martello si muovesse nell'aria come se dotato di vita propria, lanciato dall'uomo così come si lancia un proiettile. Volò nell'aria andandogli incontro, e lo colpì in pieno petto con incredibile forza.
Il gemello sentì le ossa del suo costato gemere e spezzarsi, i suoi organi interni venire lacerati.

–Uff...– fu il suono che produsse quando l'aria venne espulsa a forza dai suoi polmoni. Ricadde riverso a terra, lungo disteso, il martello conficcato nel suo petto, ricoperto del suo sangue fumante.
L'ultima cosa che percepì fu la voce del suo ricercatore, moltissimi anni prima, che li aveva avvisati.
–Per cosa verrà? Per dividervi.

–Ha.– esalò sconvolto. Poi spirò.

L'uomo nero riprese il martello dal suo petto, estraendolo con un lieve rumore di risucchio. Si era avvicinato alla carcasse camminando tranquillamente, ed ora si volse verso il gemello rimasto.

–Cosa hai fatto?– balbettò quello, fuori di sé. –Cosa hai fatto?
L'altro non rispose, limitandosi ad osservare il suo avversario, pronto a reagire.

Il gemello rimasto si avventò su di lui con incontrollabile furia, dimentico di ogni insegnamento, pieno solo di istinto omicida. Aveva visto come le armi da fuoco fossero inutili come l'uomo nero. Il loro padre li aveva avvisati di questo. E li aveva avvisati anche che sarebbe stato lui a dividerli. Ma quelle erano storie, solo storie, non poteva essere...

Non riuscì a muoversi. Qualcosa lo aveva afferrato, una sorta di cappa. Lo aveva avvolto completamente, immobilizzandolo mentre stava saltando verso l'uomo nero. Non poteva interrompere il suo balzo. Fu così che l'altro lo colpì col legno del martello in piena fronte, lasciandolo esanime per terra.

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