10

1 0 0
                                    

La stanza che si ritrovarono davanti doveva essere appartenuta ad un infante, in quanto si trovava una culla di legno, in un angolo, vicino ad una finestra aperta, con delle luride tende sbrindellate che vi pendevano flosciamente davanti. Le pareti della stanza erano coperte da schizzi di sangue, secchi ed orribili. Vicino alla culla, tremante, le vesti bianche sbrindellate e imbrattate di rosso, il corpo ricoperto da ferite, tremante e macilento, c'era un uomo. Con le braccia si teneva stretto il corpo, lo sguardo rivolto alla culla, balbettava parole incomprensibili, dondolando il volto avanti ad indietro.

Thomas Moore aveva già visto una volta qualcosa del genere. Era stata studiata dai ricercatori di una delle università di Babylon diversi anni prima. Lo aveva scoperto per caso un giovane ricercatore che stava facendo studi su una nuova malattia del cervello che era emersa nelle ultime generazioni. Si supponeva che fosse dovuta alle manipolazioni genetiche, o per meglio dire agli effetti collaterali del metodo utilizzato per apportarle. Alle volte i parenti esageravano con i tratti genetici che desideravano dare alla loro progenie, creando delle combinazioni pericolose, la cui generazione portava a danni che restavano celati per anni, decenni perfino, prima di manifestarsi.

I casi inizialmente erano stati etichettati come pazzia. C'erano voluti molti anni e l'intuizione di quel giovane ragazzo, per collegare una serie di comportamenti e a individuare una causa comune. Non era passato molto prima che IRIS si interessasse al caso. Il giovane era stato assunto nell'Alto Comando degli Immacolati, e la sua ricerca era stata resa segreto di Stato. Da quel punto in poi i civili non seppero più nulla.

Quello che Moore sapeva, tuttavia, era che quella malattia, un effetto collaterale delle prime mutazioni genetiche che erano state iniziati anni prima, era stata debellata, stando agli archivi ufficiali.

L'uomo si voltò, sentendo la porta scricchiolare. Il suo volto era spento, smunto, i suoi occhi neri come la notte, le pupille rosse.

–Coleridge...– disse Montgomery, riconoscendo il volto dell'uomo. –Che diavolo ti hanno fatto?

–Montgomery, stai attento...– fece Moore, avvicinandosi a lui, la pistola mirata verso l'uomo. –Potrebbe essere un caso di Grim Trigger.
–Grim Trigger?– fece Montgomery, lo sguardo fisso su Coleridge, la voce tremante. –Non prendermi in giro, per la miseria. L'ultimo caso risale a più di cento anni fa.
–Vallo a dire a questo qui.
–Questo qui è un mio amico. Un Immacolato della divisione anti-cacciatori. Era scomparso sei mesi fa. Devono averlo tenuto chiuso qui, in cattività. Mio dio, sua moglie ha partorito da poco una bambina. Non può essere che abbiano davvero...

Il grido dell'uomo sconvolse tutti loro. Non era più in grido umano, ma un'accozzaglia di cacofonie indistinte, dolorose all'udito quanto all'animo. La velocità con cui l'uomo si mosse li sconvolse tutti, prendendoli di sorpresa.

Coleridge fu di fronte a Montgomery e lo colpì con una forte testata. Quello indietreggiò, scagliò un colpo a vuoto, poi colpì lo stipite della porta e cadde a terra.

–Uscite dal locale!– gridò Moore, trovandosi ora faccia a faccia col mostro.
Roxanne e Tim non comprendevano quello che stava accadendo, e non compresero nemmeno l'ordine di Moore.
–Uscite dal fottutissimo locale!– disse nuovamente Moore, prendendo a sparare contro Coleridge.
I colpi lo presero al petto. Una, due, tre colpi. Quello indietreggiò, ansimante. Poi risollevò la testa, e rivolse un macabro sorriso a Moore. Non stava sanguinando. I movimenti del suo corpo erano meccanici, come se non fosse stato un uomo, ma un meccanismo accuratamente creato e realizzato per sostenere quel tipo di danni. Il suo volto tradiva solo una profonda pazzia, un vuoto in cui si nascondeva un male nascosto e profondo. I suoi occhi saettarono dietro la spalla di Moore, verso i due ragazzi. La sua bocca si aprì in un sorriso minaccioso.

Lafayette si lanciò contro Coleridge in quel momento, con una potente spallata che catapultò entrambi dall'altra parte della stanza. Coleridge crollò sulla culla, sfasciandola. Il colpo avrebbe potuto spezzare la schiena ad un altro uomo, ma lui si rialzò subito dopo. Si rese conto di aver distrutto la culla e qualcosa parve scattare in lui. Un grido basso e lugubre si sollevò dalla sua gola, mentre il suo corpo si contorceva, le ossa e i muscoli parevano gonfiarsi ed espandersi.
Lafayette gli sparò alcuni colpi, ma i proiettili parvero rimbalzare sulla sua pelle, conficcandosi sulle pareti attorno a loro.
Coleridge lo afferrò per la testa e con un colpo deciso gli spezzò il collo, lasciandolo cadere a terra.

Roxanne lasciò cadere a terra la pistola dopo che un gemito le sfuggì di bocca. Indietreggiò di alcuni passi.

–Andatevene da lì!– gridava Syd Mattermore dentro la sua testa, il suo tono di voce aveva perso ormai ogni controllo. Lei però non riusciva a fare alcunché. Si sentì afferrare per la mano da Tim, che la trascinò di peso lungo il corridoio. Lasciarono Moore ad affrontare da solo il mostro, mentre correvano a perdifiato lungo la scala che li portò al primo piano. Dietro di loro sentirono alcune grida ed ansimi, rumore di corpi che si scagliavano gli uni contro gli altri.

A Roxanne tornò in mente una lezione impartitale da uno dei suoi istruttori all'Accademia. Era una lezione che non centrava nulla con quel momento, su quale era la tecnica migliore per curare una ferita da arma da fuoco. Pensò al rumore del collo di Lafayette che si spezzava, all'inutilità di tutto quello che sapeva.

Tim le parlava, le diceva cosa fare, ma lei non riusciva più ad ascoltare, così come non ascoltava più nemmeno Syd Mattermore dentro la sua testa. Tutto quello che sentiva era il suo ansimare, insieme al rumore del cuore nel suo petto.

Erano usciti fuori, all'aperto, e intanto Tim Goldberg stava chiedendo a Mattermore di mandare rinforzi il prima possibile, disperato.

–Andrà tutto bene.– le disse ad un certo punto, le prime parole sue che gli sentiva davvero pronunciare. –Riusciremo a cavarcela, vedrai. Siamo fuori pericolo, adesso...

Lo guardò in faccia, vide i suoi occhi pieni di coraggio e forza di volontà. Lui, diversamente da lei, non aveva vacillato nemmeno per un attimo, valutando immediatamente la situazione. Lui, diversamente da lei, aveva saputo esattamente cosa fare.

Ci fu un rumore orribile, mattoni e calcinacci che si frantumavano, un ruggito, un'ombra. Il mostro proruppe dal muro del palazzo, lanciato come una palla di cannone verso di loro. Tim fece in tempo a spingerla da parte, dopodiché Coleridge gli fu addosso, colpendolo con le gambe, schiantandolo al suolo e sfondandogli la cassa toracica in un'esplosione di sangue tutt'attorno.

Roxanne venne sporcata da quel sangue, riversa a terra, e vide il mostro sollevarsi dalle macerie del ragazzo. Lo stava osservando con sguardo spiritato, ansimando. Tutta la struttura del corpo era tesa come in uno spasmo. Le vene che pulsavano, sembrando pronte a scoppiare da un momento all'altro.

Le rivolse uno sguardo privo di qualsiasi emozione, se non una furia insaziabile ed ingiustificata. Era completamente ricoperto di sangue. Mosse un primo passo verso di lei, poi un secondo.
Era ferito gravemente. La pelle del suo corpo ed i suoi muscoli erano stati gravemente martoriati dall'impatto contro il muro, dai fori di proiettile che aveva ricevuto ora fuoriusciva qualche fiotto di sangue nerastro. Stava ansimando sempre di più ad ogni passo.
Quando la raggiunse, era quasi allo stremo delle forze, e gli ultimi metri li compì quasi trascinandosi, lasciando una scia di sangue denso dietro di sé.
Roxanne non poté che rimanere ferma, parallizzata, mentre l'uomo afferrava prima il suo stivale, issandosi poi con immenso sforzo sopra le sue gambe e poi il ventre.
Poteva sentire il suo odore di morte e putrefazione, il suo rauco ansimare, la profonda furia che lo permeava, il suo lerciume insozzarle l'abito bianco. Quando con la mano destra le afferrò il collo, strangolandola per qualche istante con le ultime forze rimaste, lei ansimò, cercò di difendersi. Riuscì infine a staccare la mano dal suo collo, allontanandola da sé. Coleridge era rimasto senza forze.
I suoi occhi spiritati si fissarono sui suoi, e lei vi vide dentro un turbine di oscurità come mai ne aveva visto prima, morte, dolore, disperazione.
Infine, silenzio.

Lui esalò l'ultimo sospiro, e si accasciò su di lei, morto.


BabylonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora