29; non c'è quiete fino a quando la tempesta non è finita

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Jimin non aveva aperto bocca da quando un'infermiera lo aveva avvisato del mio risvegliato dopo la lunga notte, stata definita da quest'ultima inoltre come normalmente delirante per colpa della febbre alta.

«Quante volte ancora ti devo chiedere scusa?».

Nemmeno mi aveva rivolto uno sguardo da quando avevo aperto gli occhi.

Neanche una piccola occhiata.

Era rimasto semplicemente lì, fermo, seduto su una sedia infondo al lettino a braccia conserte; con gli occhi ancora lievemente arrossati rivolti alla finestra e le guance gonfie a rendegli il viso paffuto.

Sbuffai scocciato, facendo passare una mano tra i ciuffi grigi sudati e ritrovandomi di conseguenza le dita umidicce, che feci asciugare nelle lenzuola come un bambino che non aveva voglia di scomodarsi a lavarsi le mani sotto il rubinetto.

«Sei così infantile, Jimin».

Lasciai che un lungo sospiro abbandonasse le mie labbra screpolate, scivolando con lo sguardo fuori dalla finestra.

Stava piovendo.

Piccole gocce che sbattevano sulla grande vetrata che mi stava affianco, nascondendo dietro di sé gli alti edifici resi ancora più grigi e tristi.

Almeno, pensai, il loro delicato tamburellio era piacevole all'udito.

Chissà come starà Yoongi.

D'altronde era l'ultima persona che ricordavo di aver visto prima di svenire.

Spero non si sia preoccupato troppo.

Ed un po' mi era dispiaciuto quando, risvegliandomi, non lo trovai al mio fianco; ritrovandomi invece il mio migliore amico con la mascella serrata come se avessimo litigato.

Non riuscivo a capire che avesse tutto d'un tratto.

«È per via della febbre?».

Gli chiesi per l'ennesima volta.

«È perché sono uscito seppur tu mi abbia detto di stare a casa?».

Ma Jimin continuava a fare scena muta.

«E che cazzo Jimin».

Stavo davvero perdendo la pazienza.

«È inutile che mi metti il muso se non mi dici che cazzo hai!».

«Signor Kim, per favore, moderi i termini!».

Mi rimproverò l'infermiera in un borbotto, che stava ancora sistemando un cassetto nel lato opposto della stanza dopo essere venuta a misurarmi la febbre.

«Mi scusi».

Sospirai.

Che gran mal di testa.

«Potrei aver il mio cellulare?».

«Glielo chieda al suo amico, glielo abbiamo consegnato a lui questa mattina» e, dopo aver detto ciò, la donna uscì dalla stanza portando dietro con sé anche la mia cartella.

Sembrava persino più irritata di me.

«E ti pareva...».

Con gli occhi caddi di nuovo sulla minuta figura del biondo che, magicamente, aveva volto lo sguardo su di me, mordicchiandosi il labbro inferiore come se finalmente si fosse deciso a parlare.

caffè alla menta.   taegiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora