Bacchetta magica

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Bacchetta magica

"Sei sempre così scorbutica che hai disimparato a sorridere!"

"Chi non sa più sorridere?"

"Tu! Vediamo come sorridi! Scommetto che non ci riesci! Ecco! Vedi? Un sorriso va in su, non in giù! Non sai più sorridere! Vedi?"

"Che umiliazione!"

(Peanuts – Charles M. Schulz)

Siamo solo ad ottobre, eppure percepisco già i gelidi artigli dell'inverno sovrastare l'aurea aranciata dell'autunno, ricordando nella mia mente lunghe e spigolose dita di una zingara su una sfera di cristallo. Non riescono ancora a graffiare gli angoli della città, ma la loro presenza si avverte mattina dopo mattina, sempre un po' di più.

Fuori dalla finestra il sole, pallido e scolorito, si siede placidamente su uno stuolo di nuvole, cosciente che il freddo stia rubando la sua forza ogni secondo che passa. Le foglie sono ormai spoglie delle vesti estive, preferendo quelle più raggrinzite tinte di giallo, rosso, e arancione. Alcune si lasciano vincere dalla stanchezza, cadendo sull'asfalto e finendo così per scricchiolare sotto le suole consumate di studenti e professori, o sotto le zampette morbide degli scoiattoli che si intravedono nei giardini di Princeton.

Indosso un maglioncino colorato, dei pantaloni di velluto, delle calze doppie e degli scarponcini stringati che sostituiscono le mie fidate Converse. Il profumo della pioggia è nell'aria. Poi, mentre mi passo il mascara, mi guardo allo specchio e sollevo gli angoli della bocca. Sorrido più volte, cercando di capire se oggi i miei sorrisi possano essere più sinceri, più sentiti. Poi mi faccio anche una linguaccia. Sgrano gli occhi e contraggo la mia bocca in una boccaccia.

Ricapitolando, in poche ore sono riuscita a:

a) ricevere una proposta di lavoro che ho acciuffato al volo.

b) trovare un compagno con cui sedermi in almeno uno dei tre corsi che sto seguendo (mi ha già dato un nomignolo, oltretutto!)

c) andare oltre il semplice sillabare con Roxanne.

Il pesciolino che è in me sente che l'oceano è oggi più vicino di ieri e più lontano di quanto lo sarà domani.

Quando gli zigomi mi fanno male, mi metto a ridere da sola.

Decisamente un buon segno.

A colazione mi concedo una fetta biscottata in più. La spalmo con della marmellata di fragole e la accompagno con un bicchiere di cioccolata calda. Il cibo della mensa non è un granché, ma è decisamente migliore di quello della Lincoln. Holden si felicita, per la millesima volta, per il mio nuovo posto di lavoro e mi avvolge di parole a cui imprime un sapore gentile, come solo lui sa fare. Quando finiamo entrambi di mangiare, gli riempio il viso di baci e mi avvio a lezione.

La volontà di far danzare le mie lancette più velocemente si fa sentire più forte questa mattina. È corroborata dalla consapevolezza che oggi, e spero anche nei giorni a seguire, non mi siederò più da sola durante parte delle mie lezioni. Sembra una sciocchezza. Lo è, forse. Però per me è decisamente un grande passo in avanti. È questo il motivo per il quale sento delle piccole ali spuntare ai lati delle mie scarpe, facendomi macinare ogni corridoio, ogni rampa di scala, più velocemente del solito.

Quando entro in aula, mi attende il solito chiacchiericcio. Gruppi di ragazzi che sghignazzo di fronte ai loro laptop, alcuni che sottolineano le pagine di un libro, due ragazze che si mettono lo smalto sulle unghie, come se fossimo a ricreazione, in un bagno scolastico o in classe, durante una lezione di un professore mezzo addormentato, e non all'università, ad uno dei corsi più belli della facoltà di lettere.

Un fidanzato come Holden MorrisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora