Speciale: Il cassetto dei calzini

1.2K 90 220
                                    

Il cassetto dei calzini

Speciale: 'Il Nulla' dal punto di vista di Holden

Penso di aver paura di essere felice perché ogni volta che lo sono succede qualcosa di brutto.

(Peanuts – Charles M. Schulz)

Ho cominciato a paragonare il cassetto dei ricordi a quello dei calzini un giorno di inverno.

Lo ricordo ancora. Ricordo ogni dialogo. Ogni sensazione.

All'uscita di scuola, mi ero bagnato dalla testa ai piedi perché avevo dimenticato l'ombrello a casa. Tay era a casa con la febbre, Malia era uscita prima per un impegno con i suoi genitori. Mi ero trovato così a prendere lo scuolabus da solo, sotto le occhiate e gli sgambetti di bambini avidi di attenzioni sbagliate.

Ero tornato a casa zuppo d'acqua. Lui era già tornato dal lavoro. C'erano le sue impronte sporche di fango all'entrata. Era stravaccato sul divano, una bottiglia tra le mani, la tv accesa su un canale dal volume troppo alto.

Mi vide e si aprì in una risata sguaiata e grottesca.

–Eccolo, il nostro genio! Un altro premio in matematica? Oh, ma sei tutto bagnato. Il nostro genio si è dimenticato l'ombrello a casa?

Mi faceva paura. Mi spaventava. Mi faceva anche arrabbiare, però. Provavo rabbia per lui. Era peggio di un bullo di scuola o del vicinato. Lui era mio padre. Lui ci odiava. Lui era il male.

Rimasi a fissarlo finché la mamma sbucò dalla cucina. Gli lanciò uno sguardo carico di rabbia e mi si fece vicino.

–Amore mio, sei tutto bagnato! Fila in bagno che ti asciugo per bene.

–Coccolalo sempre, mi raccomando! – un sorso di alcol. – Sei una stupida se pensi che verrà fuori sano di mente quello lì, con tutte le attenzioni che gli dai. Già è tocco per la sua età. – un altro sorso. – Non ha neanche dieci anni, vero? Già si dimentica le cose. Che stupido! – un altro sorso.

–Ti ho detto che non devi permetterti di dire certe porcherie su mio figlio, hai capito? Lui vale più di quanto tu potrai mai valere. Farà grandi cose un giorno. Non sarà quel fallito che sei e sempre sarai tu. – gli sputò contro, stringendomi forte al suo petto.

–Sei fortunata, Juliet. Sono troppo stanco per alzarmi dal divano, adesso. Dopo faremo i conti, stai tranquilla! Sei tu quella che non vale niente, lo sai da te. Anzi, vali meno di niente. Sei solo una stupida, piccola Juliet.

–Mamma non...

La mamma mi tappò la bocca con una mano.

–Cosa, mostro? Non è una matta come lo sei già anche tu? – si portò ancora una volta la bottiglia alle labbra. La bocca sporca, le unghie nere, i capelli sudici.

Lei mi trattenne, mi prese per mano e mi allontanò da quell'ammasso di odio, di buio, di inutilità. Era inutile lui. Il mondo, io, mia mamma, non avevamo bisogno di un essere come lui. Non serviva a nulla. Intossicava l'aria, la vita, ogni angolo. Era un parassita che succhiava sangue per mantenere in vita il suo corpo vuoto. Era vuoto, lui.

La mamma mi portò in bagno, chiuse la porta, mi spogliò. Mi asciugò per bene e poi mi intimò di aspettarla lì. Tornò dopo pochi minuti, con la stufa tra le mani, un pigiamino, della biancheria e un paio di calzini. Erano nuovi, non li avevo mai visti nel mio armadio.

Mi vestì, come se fossi ancora troppo piccolo per farlo da me e non avessi già otto anni. Lo fece per il puro amore di prendersi cura di me. Di dimostrarmi che lei c'era, nonostante tutto. Le mani le tremavano un po'. Quando arrivò ad aiutarmi a infilare i calzini, provai subito una sensazione di benessere paragonabile solo a quella del prendere sonno tra le lenzuola pulite e profumate. Il loro tessuto era soffice e caldo. Erano colorate, infantili, belle. Ringraziai la mamma con un abbraccio che la fece sorridere. Il mio Holden. Il mio bellissimo bambino.

Un fidanzato come Holden MorrisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora