Undicesimo capitolo

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"L'ultimo libro che abbiamo letto è 'Fahrenheit 451', cosa vi ha colpito?" chiede la supplente di lettere, cercando di attirare la nostra attenzione.

Un po' mi dispiace per lei, a ritrovarsi in mezzo a questi fannulloni con la risata facile a parlare di un libro. Qui quasi nessuno ne ha mai letto uno, e non più serio di: 'Il diario di una schiappa'.

"L'autore è stato molto creativo nell'immaginare - a volte giustamente, altre meno - l'evoluzione della tecnologia e di alcuni aspetti della società; ma rimane arretrata la posizione della donna, superficiale, stupida, che si accontenta e non cerca di cambiare nulla, che non ha altro ruolo se non quello di casalinga e madre. Da questo e da altri fatti, possiamo facilmente farci un'idea di chi fosse l'autore, ovvero un uomo medio della seconda metà del novecento, dotato altresì di grande immaginazione" intervengo io.

Oggi mi sento buona, perciò evito alla prof di restare ad aspettare una buona mezz'ora che qualcuno si degni di ascoltarla.

"Ottima osservazione. È vero, su alcuni punti l'autore riesce ad immaginare la società - il suo abbandonare i libri, abbandonarsi alle leggerezze e al menefreghismo - in modo significativo. Immagina come il non riflettere su certe cose e il lasciarsi alle spalle preoccupazioni, morale, principi possa degradare l'essere umano e la sua capacità di pensiero. Ma altri aspetti restano com'erano all'epoca in cui il romanzo venne scritto, e questo si nota in molti punti."

Ormai si rivolge quasi esclusivamente a me, quindi sento il bisogno di aggiungere qualcosa: "È come un mix. È interessante osservare come certe cose siano sviluppate in modo moderno e, come dire, fresco, mentre altre rimangono ferme agli anni cinquanta. È come un tuffo in due direzioni, nel futuro e nel passato" termino io, parlando più a me stessa che agli altri, tutti fermi a fissarmi.

La prof annuisce durante tutto il mio intervento, radiosa, mentre gli sguardi dubbiosi e un po' annoiati del resto della classe vagano tra me e lei.

La campanella comincia a trillare all'improvviso, e io mi alzo prendendo libro, zaino e cellulare e avviandomi alla porta.

"Non ho capito un accidente di quello che hai detto, ma mi hai stupito. L'hai fatto per compassione verso la povera supplente?" chiede Levi.

Io lo guardo male, come per dirgli 'non rompere e non fare domande'.

"Tu che lezione hai ora?" chiede Aidan.

"Nessuna, mi hanno dato l'ora di matematica libera per aiutare Judah" rispondo riponendo il libro nell'armadietto e prendendo la mia copia di: 'Il vecchio e il mare' di Hemingway.

"Fino a quando durerà, questa cosa? Quel Judah non mi piace per niente" continua Aidan.

"L'hai già detto, e non mi hai ancora spiegato perché" dico io, infastidita.

"Come, non ti sei ancora accorta di che tipo è? Non si prende nessuna responsabilità, fa come se potesse fare tutto, come se il mondo fosse ai suoi piedi, non gli importa di nulla" termina.

"Perché, noi siamo diversi?" gli domando io.

Lui mi guarda, come rimproverandomi, poi si gira e se ne va, seguito dagli altri.

Mi avvio verso l'aula di arte, e appena entrata trovo Judah coricato su uno dei tavoli, supino.

Appena entro si toglie la sigaretta dalle labbra, producendo una nuvola di fumo grigio.

Si alza, mettendosi seduto, con ancora la sigaretta tra le dita della mano sinistra.

"Bonjour, ma petite" mi saluta in tono neutro, portando il suo sguardo su di me.

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