ikigai

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L'ikigai (生き甲斐) (iki-vivere, gai-ragione) è l'equivalente giapponese di espressioni italiane quali "ragione di vita", "ragion d'essere".

"Io che ti baciavo la fronte
E ti stringevo più forte
Ripetendoti: "Stai
Non andare adesso, rimani
Dimmi che mi ami"
Ikigai"

Prima di conoscerti non avevo mai pensato che si potesse avere così tanta paura di perdere una  persona. Forse perché non avevo mai tenuto davvero a qualcuno o forse  perché semplicemente credevo che nulla durasse per sempre. Ho sempre pensato che i rapporti avessero una data di scadenza, che certe volte  semplicemente volersi bene non bastava. Che era normale passare dal sentire una persona tutti i giorni al non sentirla più per mesi, che  semplicemente le strade si dividevano e ognuno andava per conto suo senza rimanerci troppo male.
Mentre ora mi sono ricreduto. Perchè ora al per sempre ci credo, ci spero, perchè non potrei immaginarmi una vita senza di te al mio fianco.
Ho la costante paura che tu da un giorno all'altro te ne possa andare, che domani mattina quando mi sveglierò non sentirò più le tue braccia che mi cingono la vita, che  girandomi nel letto invece di te possa trovare un posto vuoto, che quando tornerò da lavoro non ci sarai tu ad accogliermi sulla porta, che  quando avrò una bella notizia non potrò più venire da te a raccontartela, che non potrò più baciare le tue labbra, intrecciare le mie dita con le tue.
Mi sei entrato talmente dentro che ormai mi è  impossibile poter dire con certezza dove inizio io e dove finisci tu. Ci siamo fusi insieme fino a diventare una persona sola e non riuscirei più a stare senza di te perchè nulla sarebbe più lo stesso, perchè io non sarei più lo stesso.

"Gli amici vogliono che vada fuori a fare festa
Noi, sotto una coperta
Io non respiro mentre tu profumi d'erba"

Quei pochi amici che ho si lamentano che non esco più con loro, che passo i miei giorni di  riposo chiuso in casa con te e che gli trascuro. Non posso dargli torto ma come faccio a spiegargli che tu sei tutto ciò che voglio? Che sei  tutto ciò che mi serve per andare avanti? Tutto ciò di cui ho bisogno? Tutto ciò che mi serve per stare bene? Come faccio a spiegargli che preferisco stare sdraiato sul divano con te a vedere uno stupido film che andare in un locale a bere così tanto da non ricordarmi neanche più il mio nome per poi svegliarmi il giorno dopo in qualche vicolo o nel  letto di qualche sconosciuto senza la benché minima idea di come io ci  sia arrivato? Come fanno a capire che ormai ho smesso di rifugiarmi  nell'alcol, nella droga, che non mi serve più trovare un modo per evadere dalla realtà perché ora finalmente dopo tanto tempo sento di  aver trovato anche io il mio posto nel mondo? Come faccio a spiegargli che preferisco rimanere nel letto abbracciato con te con le coperte tirate fin sopra la testa a parlare sottovoce e a baciarci invece che stare tutta la sera ad ascoltare loro che parlano solo di ragazze e di sport?
E so che probabilmente non lo capiranno mai, che magari non smetteranno mai di rinfacciarmelo e di essere arrabbiati con me, ma loro quando io avevo bisogno dov'erano? Dov'erano loro quando per la rabbia volevo spaccare tutto e tiravo pugni al muro finchè non mi rompevo una mano? Dov'erano loro quando bevevo così tanto che rischiavo di non  svegliarmi il mattino dopo, quando piangevo così tanto da pensare di aver finito le lacrime?
Loro non c'erano, però tu si, tu ci sei sempre stato.

"Credevo che la vita desse solo merda
Ma poi nel freddo di gennaio ti ho scoperta"

Fin da quando ero piccolo ho sempre pensato che il mondo ce l'avesse con me. Mi ha tolto  mia mamma, mi ha fatto crescere in una casa con un padre assente e violento che entrava e usciva di prigione come se andasse in vacanza,  che non ha fatto altro che distruggere fisicamente e psicologicamente me e mia sorella per anni, che ci ha fatto arrivare al limite, a non farcela più, a pensare di lasciare tutto anche se avevamo solo sedici anni e ancora tutta la vita davanti.
Credevo che il mondo ce l'avesse con me perchè sono vissuto in quartiere malfamato, in un quartiere dove a nove anni impari a sparare, a sei a rubare e a dodici hai già il tuo angolo della strada in cui spacciare. Sono vissuto in un quartiere in cui vigeva la legge del più forte, in cui dovevi dormire con un occhio aperto e la pistola sotto al letto perchè non potevi mai sapere chi ti sarebbe entrato in casa.
Poi quella sera di gennaio i miei occhi hanno incontrato i tuoi e ho iniziato a capire che forse mi sbagliavo, che forse il mondo mi stava ripagando per tutto quello che mi aveva tolto, per tutte le cose a cui avevo dovuto rinunciare e posso dire che ne è valsa la pena.
È valsa la pena sopportare tutto questo se alla fine ho avuto te.

Nobody knows the me that you do |gallavich|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora