XII. FALUN

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«Questa è vera bellezza.» Madama McClan sollevava la stoffa che Ginny stava indossando. Harry la vide, mentre scendeva le scale della Tana e gli parve che lei fosse vestita di sola acqua. Il tessuto era liscio e splendente, le copriva appena le ginocchia.
«È mio?» chiese, con voce appena appena udibile.
«Un dono dal signor Thomas» disse Madama McClan «Tienila indosso, cara. Il tessuto si adatterà». Così disse che fu già fuori, roteò su se stessa e scomparve.
Harry rimase a guardare Ginny dalle scale, dimenticandosi di dover parlare con i genitori di lei. Era attorniata dalla luce d'oro che penetrava dalle finestre e il vestito nuovo le dava un tono regale. Bastava solo dimenticarsi degli sguardi che lei gli lanciava per ammettere che fosse fresca e bella.
Ginny, a sua volta, forse attirata dall'insistenza dello sguardo di Harry, si voltò verso di lui, mentre ancora contemplava la bellezza di quella stoffa.
Lui la guardò ancora, mentre uno squallore di isolamento lo invase.
«Spero di non averti disturbata» disse e sorride debolmente così che gli occhi gli si rimpicciolirono.
«No, non lo hai fatto» fece lei, guardandolo pensosa per un po'. Harry sentì il peso del disagio.
«Be'» disse, facendo calare la mano sul corridore delle scale «ciao».
Fece appena quattro gradini che dovette voltarsi di nuovo, perché Ginny lo chiamava.
«Aspetta un attimo» disse pianissimo dalla sua camera e in un secondo Harry fu di nuovo sul pianerottolo, sull'uscio. Riusciva a vedere i poster delle Holyhead Harpies appesi al muro; la pluffa di cuoio sulla scrivania e l'antina dell'armadio spalancata con lo specchio che gli rimandava la sua immagine. Si vide, goffo e rosso in viso mentre molleggiava sulle gambe. Sperava che Ginny non si accorgesse del suo disagio. La schiena gli si bagnava e avvampava per la fatica di essere lì, davanti a lei.
Ginny gli si avvicinò e gli toccò piano il braccio con una grazia fluida e molle che Harry pensò di cadere lì in terra, in un secondo.
Lei aveva forme piuttosto belle, forse ancora un po' acerba, non ancora donna, ma di sicuro fresca: un'adolescente. La sua pelle chiara, le sue membra, per così dire, tranquille. Forse, tutto il corpo avrebbe dovuto avere una sorta di pienezza, qualcosa le mancava ancora, ma Harry si sentiva attratto proprio da quell'immaturità. Un corpo così smilzo e agile che non era riuscito a diventare quello di un ragazzo e che adesso attendeva.
Gli era così vicina che poté sentire l'odore dei suoi capelli, i fiori che aveva nella sua camera non profumavano così tanto.
«Harry, dovresti pensare alla squadra di Quiddich» disse, con dolcezza e le labbra le si curvarono.
«Ci penso, naturalmente». Mentiva, ricordò solo in quell'istante di essere capitano.
Ginny sorrise e abbassò lo sguardo con una debolezza che toccò lo stomaco di Harry che ebbe la sensazione di non essere lì in quel momento. Non la vedeva così da tempo, quel fare tenero che aveva cercato durante tutta la sua permanenza ora se ne trovò in completa balia.
«Stavo pensando che, visto che Katy e Demelza hanno lasciato Hogwarts... be', forse dovresti cercare altri due cacciatori» riprese, con lo sguardo basso «Dean ci terrebbe molto...»
Fu allora che Harry si scostò. Finse un sorriso e lasciò che la mano di Ginny cadesse.
«È per il vestito?» chiese ironicamente, lasciando che dal suo tono si carpisse una nota di disprezzo.
«Harry...» fece lei, mortificata e in palese imbarazzo.
Harry non l'ascoltò, girò sui tacchi e prese a scendere le scale di corsa, come se le sue parole a essere premuto un interruttore nella sua psiche.
«Pensi sia facile?» chiese, con la voce roca.
Il ragazzo si girò di nuovo. Dal basso di una dozzina di gradini la guardò negli occhi. La sua espressione austera non dava margine d'appello. Si sentì tradito, poiché credeva che quando quel momento sarebbe arrivato, sarebbe stato così intriso di cliché che una volta terminato, la sua immagine vittoriosa lo accompagnava a chiudere la porta. Ma così non fu, perché Ginny aveva delle motivazioni.
«Non lo è?» chiese lui, di rimando.
«No».
«Averti in giro per casa, vivere con te vicino, Harry, è sfiancante.»
L'immagine del sé vittorioso si sfocò a quelle parole e temette di non riuscire a mantenere la risoluzione che credeva.
«Dovevi salvare il mondo, tu e i tuoi nobili principi. Mi hai chiesto di non vederci più, perché altrimenti Voldemort avrebbe potuto prendermi di mira. Così ho fatto. Hai detto che con me ti pareva di aver vissuto la vita di un altro, che non avresti potuto sottrarti alle tue responsabilità»
Ginny distolse lo sguardo da lui e guardò verso il cortile, fuori dalla finestra della sua camera, con gli occhi così piccoli che il sole sembrava non entrarci.
«Perché dopo non sei tornato da me?» chiese, semplicemente. Il suo tono era così piatto da rendere il tutto sopportabile, ma una voragine di disgusto e vergogna non poté non aprirsi nel petto di Harry.
Avrebbe voluto avvicinarsi a lei, voleva toccarle le spalle nude, ma non lo fece, non per rispetto o cavalleria. Avvicinarsi a Ginny in quell'istante gli parve avere lo stesso rischio di mettere un dito su una candela. Se avesse salito le scale, Harry sapeva che avrebbe dovuto cogliere tutto il raccolto che ne sarebbe derivato. Non le avrebbe potuto toccare solo le spalle, perche quella discussione sarebbe durata ancora.
«Io...» disse e Ginny tornò a guardarlo con gli occhi seri.
«Harry!» lo raggiunse una voce di ragazzo. Sentì passi pesanti e veloci lungo le scale e la polvere che cadeva attraverso le fessure gli sporcò i capelli. Ron scendeva le scale a due a due finché i suoi piedi non si piantarono sul pianerottolo. Tossicchiò come per annunciarsi e si schiarì la voce, poiché doveva sembrargli strano vedere la sorella e l'amico appena fuori dalla camera di lei.
«Tutto bene?» chiese, incerto.
Harry annuì rapidamente, Ginny, invece, sorrise a quel gesto e si richiuse la porta della stanza con una mezza risata, perché Harry si sentì salvo e lo aveva capito.
«Pensaci» disse, al di là del muro.
«Che sta succedendo?» chiese Ron, indicando la porta.
«Nulla... parlavamo del Quiddich, sai, solite cose».
Harry si sentì avvampare e non mostrò mai così tanto interesse per la punta delle sue scarpe come allora.
Ron, dal canto suo, non volle litigare con l'amico, dunque, decise con grande sforzo di ignorare quella situazione.
«Papà sta tornando a casa, Hermione sarà giù in un secondo. Che facciamo?»
«Andiamo.» disse, col cuore poco più leggero.

IL LEONE E LA SERPE - SNARRYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora