Milano

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-STRECICO-

I pensieri scorrevano veloci nella mente del ragazzo sdraiato nel letto con ancora le lenzuola tirate, solamente un po' stropicciate.
Era da mesi che in quella che doveva essere la sua casa, si sentiva fuori posto.
Come un vagabondo che viene opsitato solamente per non essere ributtato in mezzo alla strada.
Cico non sapeva che ora fosse, sapeva solo che era tarda notte e che non gli era concesso fare rumore.
Pensava alla sua famiglia e se il suo allontanamento gli avrebbe cambiato qualcosa.
Due fratelli perfetti e lui la pecora nera tra loro.
Due genitori assillanti e contrari a qualsiasi scelta lui prendesse.
No, pensava che non sarebbe stato importante per loro se fosse scappato di casa.
Si alzò di scatto dal letto facendo scricchiolare le assi ormai vecchie, accese la luce soffusa della sua piccola lampada.
Smanettó per più di mezz'ora con il suo computer portatile, entrando ed uscendo da vari siti cercando il prezzo più conveniente possibile.
Quando finalmente trovò un biglietto d'aereo disponibile con una cifra abbordabile, effettuó un pagamento con la carta.
Prese il piccolo trolley che teneva in un angolo della stanza e aprì l'armadio.
Non era mai stato molto bravo a fare una valigia, ciò che gli mancava era l'organizzazione.
Piegò con poca delicatezza e precisione varie magliette e pantaloni senza prima aver consultato il meteo della città per cui era diretto, ma infondo era un viaggio di pochi giorni anche se avrebbe voluto fosse per tutta la vita.
Guardò il suo riflesso nello specchio, si stropicciò gli occhi per cercare di apparire un po' più sveglio, cosa che non funzionó.
Si cambiò, mise dei vestiti puliti e aggiunse in valigia il pigiama che aveva indosso poco prima e, facendo il minimo rumore, uscì dalla sua stanza tenendo sollevato il trolley stracolmo di vestiti e oggetti.
Passò per la cucina aprendo gli sportelli e infilando del cibo confezionato e dell'acqua nello zaino nero che aveva sulle spalle, non aveva per niente voglia di spendere altri soldi per comprare del cibo sull'aereo.
Prima di uscire aveva riflettuto a lungo se avvertire i suoi o meno, pensò che per quanto erano freddi e duri con lui si sarebbero preoccupati.
Strappò un pezzo di foglio della piccola agenda che il padre appoggiava sempre sul tavolo da pranzo e prendendo la penna accanto ad essa scrisse un bigliettino.
"Non so quando torno ma sto bene, non cercatemi" fu ciò che riuscì a scrivere, nient'altro.
Trattenendo il respiro riuscì ad aprire la porta d'ingresso e a richiuderla con le sue chiavi.
Mentre camminava nel vialetto di casa si accorse di una piccola dimenticanza nel suo piano di fuga: un passaggio all'aereoporto.
Non avendo ancora la patente, l'unica possibilità che aveva era pregare che Ettore non stesse dormento.
Lo chiamò mentre le ruote del trolley a contattò con l'asfalto facevano un rumore per niente piacevole.
Dopo cinque squilli Cico perse le speranze e, sbuffando, attraversò la strada.
Solo in quel momento l'amico rispose urlando sotto voce il perché di quella chiamata nel cuore della notte.
"Ho bisogno di un passaggio all'aereoporto" fu l'unica cosa che disse il ragazzo in mezzo alla strada.
"Cosa?! Ma è lontanissimo!"
"Proprio per questo mi servi tu" sorrise Cico.

Ettore fermò l'auto ad un semaforo rosso.
"Proprio non mi vuoi dire perché parti?" domandò Ettore respirando rumorosamente.
"No"
"Almeno i tuoi lo sanno?"
I due si guardarono mentre il maggiore ricominciò a guidare.
"Più o meno" confessò Cico.
"Non ti hanno dato il permesso?!" esclamò Ettore capendo che quella dell'amico era solo una pessima idea che l'avrebbe cacciato nei guai.
"Pensi che me l'avrebbero dato? Andiamo, ti preoccupi troppo, lo so prendere un aereo" disse tranquillo Cico stravaccandosi nel sedile.
"E se i tuoi mi chiedono dove sei? Se mi chiedono se so qualcosa? Sai che non riesco a mentire, io-" venne interrotto.
"Hey, di solo che non sai nulla. Mi fido di te, non mettermi nei guai" cercò di tranquillizzarlo il rosso stravaccandosi sul sedile.
"Sappi che se ti succede qualcosa non devi neanche pensare di fare il mio nome!"
Cico rise.
"E mettiti composto nella mia macchina!"
"Sembri mia madre" continuò a ridere, contagiando anche Ettore.

"Mi ripeti a che ora è il volo?"
"Sì", disse Cico guardando dal telefono la prenotazione che aveva effettuato a casa, "alle sei e trenta".
"Beh, hai tempo per farti una dormita sulle comodissime poltrone dell'aeroporto" disse Ettore sottolineando in modo ironico la parola "comodissime".
Erano finalmente entrati all'interno della struttura piena di gente.
Tabelloni illuminati indicavano diversi orari con i corrispondenti voli.
"Mi raccomando, fai il check-in, fai vedere che hai comprato il biglietto e non sbagliare aereo, quando sali e quando scendi mandami un messag-"
"Sembri sempre di più mia madre" commento Cico ricevando una spinta da Ettore.
"Sono serio, non cacciarti nei guai. Io ora devo andare, ho lasciato Anna a casa sola"
"Va bene, rassicura anche lei"
I due amici si abbracciarono e sembravano non volersi più staccare ma il poco tempo che restava al rosso per fare tutti i controlli li divise.

Dopo aver passato un'ora abbondante seduto sui divanetti d'aspetto ad ascoltare musica, Cico sentì chiamare il suo volo e, prendendo con sé la valigia e lo zaino che avevano rispettato il peso concesso sull'aereo, si accodó a tutte le persone che erano dirette sul suo stesso aereo.
Alzò la testa verso il monitor che indicava il suo volo: Alghero - Milano.
Solamente leggere il nome di quella città gli faceva venire le farfalle nello stomaco.
Una volta sull'aereo, come promesso, mandò un messaggio ad Ettore.
Pensò ai suoi genitori che, svegli da poco, avrebbero letto quel biglietto.
Si sarebbero preoccupati così tanto ma non era importante al momento.
Mise la modalità aereo e con gli auricolari nelle orecchie appoggiò la testa sul sedile chiudendo gli occhi.
Il gesto di Cico non era sicuramente il modo giusto per far ragionare i genitori e risolvere con loro, però non l'aveva fatto per loro o per fargliela pagare.
Aveva colto l'occasione per fare qualcosa che voleva fare da tanto tempo.
Aveva approfittato dell'ambiente ostile che si era creato in casa sua e che in quei giorni era così soffocante per volare a Milano dal suo ragazzo.
Strecatto era l'unica persona che lo comprendeva e riusciva a confortarlo anche stando in silenzio.
Solo con lui poteva sentirti sé stesso e mai giudicato ed era da così tanto tempo che non si vedevano.
Aveva tanta voglia di baciare le sue labbra e di passare ore e ore a fissarlo mentre leggeva uno dei suoi tanti amati romanzi rosa.

Erano ormai le otto passate e il ragazzo girava per le vie di Milano con il trolley alla mano e lo zaino in spalla.
Erano arrivati molti messaggi da parte di sua madre e dei suoi fratelli, ma in quel momento li reputò poco importanti e finì per ignorarli.
Arrivato finalmente davanti a casa di Strecatto suonò il campanello.
Attese per molti minuti fuori dalla porta continuando a suonare il campanello dato che i genitori del ragazzo erano ormai fuori casa per il lavoro e lui probabilmente stava ancora dormendo.
La porta si spalancò rivelando una faccia irritata e degli occhi stanchi e gonfi.
La luce del sole dritta negli occhi fu l'ennesima cosa che fece irritare Strecatto e peggiorare il suo risveglio.
Però, non appena incrociò lo sguardo con la persona davanti a lui, il suo viso s'illuminó.
Il ragazzo saltó in braccio a Cico e, con un sorriso enorme sulle labbra, urlò il suo nome.
Con in braccio l'amato, il rosso entrò in casa sua facendo chiudere la porta con un colpo dato con il piede, dimenticandosi fuori il trolley.
Quando Strecatto tornò nuovamente con i piedi per terra e con la sua espressione felice ma confusa, ricevette un dolce bacio da Cico.
Le loro labbra erano fatte per unirsi in baci come questi.
Erano come due pezzi di un puzzle che, se uniti, completavano il capolavoro.
"Perché sei qui?" disse Strecatto dopo essersi staccato da Cico.
La sua espressione non era cambiata di un millimetro, era così felice che riuscì a far scoppiare in una risata il fidanzato.
"Mi mancavi, tutto qui" rispose Cico per poi tornare di nuovo a baciare l'altro.
"Ti amo" sussurrò Stre sulle labbra del rosso facendolo sorridere.

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