Capitolo II

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Aprii gli occhi, ormai era giorno e la luce entrava dalla finestra, scaldandomi il viso. Un altro di quei sogni.

Era da settimane che facevo sogni strani, finivano tutti allo stesso modo: io che precipitavo urlando. Scalciai via le coperte dal letto, che finirono arrotolate in una sottospecie di palla. Mi alzai, mi guardai un po attorno e sbadigliai. La mia era una stanza semplice: un letto, due scaffali pieni di libri, che ho comprato in paese con i risparmi che ottenevo dipingendo, infine una grande finestra davanti la quale si trovavano una sedia e un cavalletto su cui poggiava una tela per dipingere. Passavo la maggiorparte del mio tempo seduta lí, finchè non riescivo piú a sopportare la dura sedia di legno che mi torturava. Attorno, sui comodini, erano sparsi pennelli vari e tempere. Alla fine decisi di alzarmi dal letto e andai in cucina. Trovai mio fratello maggiore Ian, che prendeva da mangiare due pagnotte di pane con marmellata. Aveva diciassette anni, capelli biondo cenere e occhi azzurri, pieno di muscoli che si era guadagnato lavorando con papá alla fucina. Tutto sommato era un bel tipo, visto che tutte le ragazze del paese, mie coetanee e non, ne andavano pazze. -Buon giorno- : -Buon giorno anche a te marmocchietta-. Quanto odiavo quel ridicolo soprannome. -Lo sai che non mi piace quando mi chiami cosí.- : -Lo so, marmocchietta.- E si mise a ridere. Mi presi una fetta di pane con la marmellata e andai via, non ero in vena di ribattere, non avevo la mente abbastanza lucida, dovevo ancora svegliarmi. Non ero una tipa molto mattiniera, mi piaceva dormire fino a tardi, ma ci pensava mio padre a tirarmi giu dal letto. Andai fuori per prendere una boccata d'aria e trovai Gail, gemello di Ian, anche lui biondo, occhi azzuri, muscoloso, e anche lui aiutava papá alla fucina. Io ero l'unica che aveva capelli color argento, quasi bianchi e occhi azzurro-grigi ed ero anche di carnagione pallida mentre i miei due fratelli erano belli abbronzati. Diciamo che ero la pecora nera della famiglia ma bianca. Spesso Ian e Gail mi dicevano che quando nevicava mi si sarebbe potuto benissimo scambiare per un fiocco di neve un po troppo cresciuto. Comunque, essendo una ragazza, ero l'unica in famiglia a non lavorare e, anche se questo era sessista, a me andava benissimo. Passavo il tempo a casa dipingendo e leggendo ma mi piaceva anche esercitarmi nel tiro con l'arco e nel combattimento. Mio padre e i miei fratelli non volevano sentir parlare di queste cose, neanche per sogno. Non volevano che io imparassi a combattere. Mi sarebbe piaciuto un giorno viaggiare, scoprire nuovi posti, incontrare nuove persone e vedere tutte le creature magiche del Regno. Sapevo di avere una mente molto fantasiosa, peró sapevo anche di non essere il tipo "brava ragazza", che rimaneva a casa a cucinare e magari anche a ricamare. Se lo potevano scordare. Quella era la mia vita e decidevo io. Tra poco ci sarebbero state le selezioni per entrare a far parte della scuola W&W Queenshope. Tutti quelli che entravano a farvi parte poi potevano diventare Soldati Reali, Maghi di diverso tipo, in base alle loro potenzialità, Cavalieri Reali, Eroi del Regno o Ancelle. Io non possedevo la magia quindi il mio obbiettivo era diventare Eroina, un giorno. Intanto tornai a casa e mi preparai, le selezioni si sarebbero tenute dopodomani al calar del sole, nella cittá piú vicina al villaggio. Siccome non tutti potevano permettersi di andare a Marae, la capitale del Regno, allora il Consiglio Reale aveva stabilito che le selezioni avrebbero avuto luogo in ogni cittá principale. Per arrivare a quella piú vicina a Derenta, il mio villaggio, bisognava andare a Kimera, vicino alla costa e per arrivarci a piedi, come pensavo di fare io, si impiegava un giorno e mezzo.

Mentre aspettavo che arrivasse il tramonto, mi allenai con il tiro con l'arco nel bosco vicino a casa mia. Nessuno voleva mai andarci perchè vi erano legate storie di creature malvagie, di sparizioni misteriose, insomma come in tutti gli altri boschi. Dovevo dire che con l' arco ero migliorata, ma nel combattimento avevo ancora tanto da imparare; ero abbastanza brava nell' usare i coltelli durante il combattimento e, vivendo con un padre e due fratelli che lavorano in una fucina, diciamo che avevo imparato a distinguerli e a mantenerli affilati e puliti.

Il mio preferito era un pugnale che avevo preso dalla fucina di mio padre, non credo se ne fosse accorto. Aveva una lama a doppio taglio lunga più o meno una spanna e un impugnatura non molto elaborata, di colore nero. Era un semplice pugnale. Lo portavo sempre nello stivale destro, per sicurezza; da quelle parti non si sapeva mai. Intanto erano tornati Ian, Gail e papá. La cena consisteva in pane, formaggio e selvaggina, che i miei fratelli avevano cacciato nel bosco, forse è meglio chiamarlo foresta. Mentre mangiavamo nessuno parlava, eravamo stati educati cosí. La nostra era stata un'infanzia carente di affetto materno; non avevamo mai saputo chi fosse nostra madre e papá non ce lo aveva mai voluto dire. Ogni volta che qualcuno intavolava questo discorso, riusciva sempre a cambiare abilmente argomento. Ormai era sera, andai in camera e mi sdraiai sul letto, aspettando che gli altri cadessero nelle calorose braccia del Sonno. Appena fui sicura che stessero dormendo, tirai fuori da sotto al letto il sacco in cui avevo messo tutto ció che, a mio parere, era indispensabile: una borraccia d'acqua, pane, formaggio, carne secca (anche se non ne andavo molto matta), la faretra con le freccie che mi ero costruita. Presi l'arco, mi infilai gli stivali con il mio fedele pugnale, e mi incamminai verso la porta a passo felpato. Il legno del pavimento, mentre mi avvicinavo alla strada che mi avrebbe condotta alla libertá, si lamentava sotto il mio peso, tentando di avvertire gli altri. Riuscii abilmente a superare anche questo ostacolo ed uscii. La notte senza lune era piena di fuochi celesti che la illuminavano. Erano uno spettacolo bellissimo: alcuni violacei, altri bianchi, altri ancora gialli come il sole, ma molto piu piccoli. Da allora in poi sarebbero stati i miei compagni di viaggio. Mi incamminai verso il bosco, perchè era l'unico modo per tagliare la strada e arrivare a destinazione in tempo. Ammetto che un po di paura ce l'avevo, era la prima volta che andavo in giro di notte senza Gail o Ian. Cominciai a sentire strani rumori ma cercai di tranquillizzarmi, erano solo gli animali del bosco. Per arrivare a Kimera dovevo attraversare la foresta, fscendo metá della strada che si dovrebbe fare se si va per la strada normale, ma siccome non avevo una mappa e non lo conoscevo cosí bene da potermi orientare, mi toccava far affidamento ai fuochi fatui. Si raccontava che nel bosco ci fossero questi fuochi che aiutavano i dispersi a trovare la loro destinazione, ma dipendeva dal colore che avevano: quelli di colore bianco ti aiutavano, quelli di colore blu ti ingannavano, quelli di colore rosso erano i piú temuti perchè indicavano la morte, o almeno, la probabilitá di morte o il pericolo. Dopo aver camminato per qualche ora, senza vedere la minima traccia di un fuoco fatuo, trovai uno spiazzo d'erba e decisi di accamparmi lí. Non potevo accendere un fuoco, anche se mi veniva istintivamente voglia di farlo, ma cosí avrei attirato i predatori notturni e con le superstizioni legate alla foresta non era consigliabile.

Keyla Mandram e la Signora del DestinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora