Il giorno dopo, un giorno caldo e umido, Giovanni si svegliò con un forte dolore al collo. Aveva dormito all’angolo del materasso per paura di toccare Adele anche solo per sbaglio, si era addormentato coi piedi che sbucavano dal letto e il braccio piegato sotto la testa. Ma quella mattina si era concesso qualche attimo per guardarla.
Adele teneva il viso corrucciato velato dai capelli, i ciuffi castani sembravano creare tante piccole cascate che si dipanavano in varie direzioni sulle spalle e sul petto. Il corpo magro, tanto magro da aver paura che potesse spaccarsi con un movimento troppo difilato, se ne stava rannicchiato e inerme, leggermente teso. Probabilmente stava avendo un incubo.
Un raggio di sole entrò quieto attraverso i piccoli fori nel pizzo proiettando cerchi di luce sul materasso e rivestendo la pelle di lei di un leggero vestito a pois.
Giovanni sorrise.
Un nuovo giorno era cominciato, lo attendeva un altro giro sulla giostra della vita. Certo, spesso i meccanismi s’inceppavano e lui si trovava su una carrozza di metallo ferma nell’incertezza e nel buio, ma quando il motore partiva di nuovo, con le luci che pendevano dal cielo e una musica che riusciva a sentire nonostante neppure esistesse davvero, il suo cuore era di nuovo un po’ meno rotto.
Adele aprì gli occhi, il calore tagliava il vetro della finestra e le bruciava gli arti. Con le palpebre a mezz’asta sbirciò Giovanni da sotto le ciocche, le sembrò di vedere un bambino cacciato dentro vestiti troppo ingombranti.
«Partiamo?» gli aveva chiesto in un sussurro.
E lui, un ragazzo dai pensieri incostanti e dalle paure seppellite con qualche carezza, sorrise un’altra volta.
«Andiamo a vedere il mare.»
Quando Adele uscì dall’autostrada, l’asfalto si protrasse ben presto in strette curve e ponti incastrati fra colline cespugliose. Intorno al camioncino il paesaggio iniziò a delinearsi, grandi massi offuscavano la luce del sole nella parte sinistra della carreggiata. Un cartello che sbucava dagli arbusti aveva la scritta Livorno incisa in mezzo a un paio di adesivi attaccati agli angoli. Giovanni non sapeva nemmeno che esistesse una città del genere, la osservava incantato mentre le ville a schiera si sfoltivano sempre di più e gli stabilimenti balneari si affilavano in lunghe strisce di cemento.
Adele stava fumando una sigaretta, il finestrino abbassato per metà le scompigliava i capelli e le inondava le orecchie col rumore del vento.
Fu in quel momento che videro il mare.
Apparve loro come una distesa accecante e infinita, di un colore vago e tiepido. Si aggrappava alla scogliera con le sue dita spumeggianti, per poi scivolare e cadere indietro.
Era bello, il mare.
Affollato, piatto, limpido.
Quel mantello dagli occhi blu rimase impigliato per molti anni fra le ciglia di Giovanni. Lui che aveva visto il mare soltanto quando se ne stava assente sul sedile del passeggero e sua madre gli indicava distrattamente la spiaggia di Ostia.
Lui che non aveva mai guardato le onde crearsi e distruggersi in piccoli squarci bianchi.
Lui che non si era mai sentito scoppiare i polmoni sott’acqua.
«Non l’avevo mai visto un mare così» sussurrò Adele, gli occhi stavano divorando ogni centimetro di blu che vedeva. L’ultimo istante di tabacco fra le labbra, e poi lanciò la cicca nell’aria estiva.
«Mi sento strano.» Giovanni immaginò di increspare quell’acqua cristallina con le dita. Percepiva il rumore del motore lontano, quasi volasse sull’asfalto. La sua anima era leggera e incastrata fra gli scogli.
«Strano come?»
«Come se non avessi mai vissuto davvero fino a questo momento.»
Adele assimilò quella risposta con fare assorto, strinse la presa sul volante di pelle sbucciata ai bordi. Si sottomise al suo istinto, un po’ perché voleva rendere felice Giovanni, un po’ perché ne aveva bisogno anche lei.
«Ti va di sentire il sapore del sale sulle labbra e il freddo del vento sottopelle? Ti va di accarezzare le onde e renderti conto che non sei più lo stesso?»
«Sì. Mi va.»
Allora lei s’infilò in un posto libero a picco sulla scogliera, a qualche chilometro dal centro abitato. Entrambi tennero stretti i loro cuori in agitazione.
E poi scavalcarono il guardrail e iniziarono a correre verso il mare, le unghie piantate nella terra per non cedere e i muscoli che tiravano.
E poi, poi si consumarono i polmoni, la gola bruciava, il respiro fremeva e gli occhi ridevano, poi si riempirono di vita fino a far uscire le lacrime, gemevano impazienti con le braccia aperte e le scarpe che facevano male ai piedi.
Arrivarono sugli scogli più bassi che le gambe stavano per crollare. Dentro, però, sentivano di non poter crollare mai.
Giovanni lasciò cadere le lacrime senza vergogna, le sentì sbattere sulla roccia come note di un pianoforte.
«Finché non vedi il mare per la prima volta, non puoi dire di aver vissuto davvero» aveva detto. E comprese appieno le proprie parole quando, dopo un lungo silenzio tra i due, una pesante nuvola grigia scivolò sopra di loro e il vento si fece più forte.
Ogni cosa mutò.
Adele riprese fiato e osservò le onde prendere forma. In tutti i posti in cui era stata, non si era mai sentita così tranquilla con i suoi pensieri e le sue angosce.
Il mare ti cambia, ti sconvolge e poi ti rimette a posto. A volte, i dilemmi più complicati si risolvono solo guardando il mare. E ti basta qualche minuto per ricominciare a vivere.
Attimo dopo attimo, lacrima dopo lacrima, quella distesa limpida cambiò aspetto e prese vita con arroganza: l’acqua divenne presto torbida, un miscuglio di sabbia, alghe e sassi, l’aria scese violenta graffiando i loro visi e la nuvola si arricciò turbolenta.
Per Giovanni, il mare in tempesta fu un'immagine difficile da dimenticare.
Le onde danzavano impetuose e si infrangevano sugli scogli come un esercito pronto a combattere, per poi ritirarsi in un ciclo senza fine.
E sopra quel maestoso palco grigio e blu, c'era Adele. Sembrava quasi oscurare la bellezza del mare soltanto con il suo corpo ossuto, ondeggiava in balia del vento e della vita, era padrona di se stessa, le sue braccia erano ali di gabbiano e il suo cuore ammaccato uno scrigno aperto. C'era tutto quello che non diceva, lì dentro.
C'erano le lacrime di una madre per una figlia troppo difficile da gestire.
C'erano mille tramonti mai visti e centinaia di amori mai desiderati.
C'era un bisogno famelico di amore e una paura matta di morire senza aver amato davvero qualcuno.
Adele era tempesta ed era riuscita ad aggrapparsi al cuore di Giovanni per non volare via.
Continuò a muoversi, pareva seguire malamente i passi di un'altra persona ascoltando una canzone a volume troppo basso, aveva un'espressione contorta, il corpo scomposto e la mente altrove.
Le nuvole riversarono lacrime taglienti sulle rocce e ogni cosa si fermò. Il tempo iniziò a ripiegarsi su se stesso come un castello di carta, e Giovanni se ne accorse.
Osservò la pioggia inglobare i loro corpi, uno stormo di gabbiani attraversò gentile il cielo, l'eco di una vita mai vissuta accarezzò le orecchie del ragazzo insieme al suono delle onde rabbiose. «È bellissimo qui.»
Adele fermò la sua lenta danza e fissò negli occhi Giovanni attraverso le ciocche bagnate incollate alla fronte. «È bellissimo ovunque, basta solo saper guardare.»
«E tu come fai, a saper guardare?»
«Chiudo gli occhi.»
«E poi?»
«Lascio che le emozioni vedano il mondo.»
A volte erano davvero troppo complicati da capire, i pensieri di Adele. Un po' contorti, un po' crudi e forse anche troppo veri. A Giovanni ricordarono il rumore della carta vetrata sul legno grezzo.
Ma lei non ci pensava.
Accarezzò l’aria salina con cupidigia, la vita è mia, la vita è mia, non voglio perderla, non voglio perdermi. E non si perse.
Non si perse perché le sue ferite, nascoste chissà dove, avevano iniziato a rimarginarsi lentamente. I cerotti che soffocavano i tagli aperti sul passato gemettero, cadendo fra le onde.
Sono libera, danzo sulla mia tomba, sono libera e sorrido.
Le rocce fredde abbracciavano il suo corpo mentre lei continuava il suo viaggio dentro se stessa, si sentì leggera e tremendamente fragile, ma fragile andava bene, fragile voleva dire viva, e lei non avrebbe mai rinunciato a qualche attimo di vita in più.
La pelle si scosse in un brivido, le labbra cominciarono a tremare, piene di una sofferenza mai espressa e pensieri schiacciati sotto il cuore.
Basta, doveva smetterla di pensare al passato. In quel momento c’era un maestoso dipinto di cui lei era protagonista, e non avrebbe dovuto colorare tutto di nero come faceva sempre.
Respirò il grigio delle nuvole.
Assaporò il verde del mare e il bianco accecante della schiuma.
Allora vide i colori, li vide tutti per davvero, e vide anche il nero della sua anima sciogliersi e fondersi con l’acqua.
Raccattò il suo iPod dal giacchetto stropicciato a terra e infilò gli auricolari con naturalezza, come faceva sempre, e avviò la playlist.
Blackout dei Muse le s’infilò presto fra le ossa, sconquassandole e ricomponendole. Era
una melodia lenta e piacevole, il rumore della pioggia si unì a tutto il resto.
This life’s too good to last
And I’m too young to care.
Adele era troppo giovane per imparare a vivere, ancora troppo ancorata al passato per lasciarlo andare via.
Non era ancora arrivato il suo momento.
Giovanni si strinse nelle spalle, guardava quel dipinto con fare esperto, cercando di capirne i significati più profondi. Ma Adele era estremamente enigmatica e non sarebbe mai riuscito a scovare i suoi lati bui, a meno che lei non glielo avrebbe permesso.
La osservò a lungo mentre la pioggia creava solchi sulla sua pelle e la musica la portava via con sé. Rapito da quella scena, da quell’atmosfera, Giovanni tentò di raggiungere la sua mente lontana facendo qualche passo verso di lei, sentiva i piedi pesanti per via delle scarpe bagnate.
«Ti piace la pioggia?», le aveva chiesto.
Adele si era tolta un auricolare frenando la sua danza contro il tempo, e gliel’aveva passata. E Giovanni l’aveva guardata ancora, incessantemente, come se non fosse mai stanco di guardarla. Poi aveva ficcato l’auricolare nell’orecchio destro, le mani tremanti.
Ti prego, fa che possa sentirti, fa che possa viverti di nuovo.
La canzone la sentì, ma fu solo uno stanco riverbero per lui, come se l’ascoltasse attraverso una lastra di vetro.
Era fredda, a tratti disconnessa.
Le lacrime gli si erano seccate sulle guance, un dolore improvviso si avvinghiò alle sue spalle, pesante e confuso.
Non era la sua musica, quella, era un contenitore vuoto pieno di echi e sussurri. E come un contenitore vuoto, la sua testa non si riempì di suoni né di voci.
Silenzio.
Era per caso una maledizione? O una punizione per aver intrapreso un viaggio con una ragazza di cui sapeva solo il nome?
Giovanni strinse le labbra bagnate dalla pioggia, affranto e felice allo stesso tempo. Era nel posto giusto, con la persona giusta… Al momento sbagliato.

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Il tempo di una sigaretta
Romance«Tu potresti salvarmi» disse lui. Lei, con lo stomaco sottosopra e il labbro fra i denti, tentennò. Salite e discese, questo era il ritmo stancante della loro ingarbugliata relazione, di quell'amicizia improbabile, di quel gioco in cui vince chi è p...