La sabbia riempì i calzini di Giovanni non appena le scarpe ci affondarono, era calda e delicata. Avevano iniziato a passeggiare a pochi metri dall’acqua, in silenzio. Di tanto in tanto si scambiavano qualche parola che sfumava nella notte, erano troppo leggere per rimanere attaccate al cuore.
La sabbia nelle scarpe di Giovanni venne schiacciata dal peso delle sue emozioni, soprattutto quando si avvicinarono a un party da cui proveniva una musica sparata ad alto volume. I suoni si riversavano incautamente sulle onde e tornavano indietro con una forza sorprendente.
Adele aveva i capelli sparpagliati dietro le orecchie e gli occhi brillanti, pieni delle luci colorate che sfavillavano sul palco. A Giovanni parve quasi di tornare indietro, alla notte del concerto, la notte che cambiò per sempre la storia della sua vita.
Si avvicinò al corpo di lei per proteggerla da tutti quei ragazzi che saltavano e si spingevano a tempo di musica. Tentò di chiudere gli occhi, percepiva i bassi vibrargli la cassa toracica e centinaia di voci grattargli le orecchie, ma strizzò le palpebre quando si rese conto che, purtroppo, non sentiva ancora niente.
La musica lo aveva abbandonato.
Abbassò la testa, un sacco di scarpe sollevavano la sabbia, altre ballavano, altre stavano ferme come a ricaricarsi. Avrebbe voluto urlare, tanto nessuno l’avrebbe sentito.
Avrebbe voluto voltarsi e prendere a pugni la sabbia, rifugiarsi nel mare, sentire i capelli incollati alla nuca e le gocce d’acqua solleticargli la schiena.
Ma Giovanni era solo in quella sua sofferenza. Nel suo non sentire.
Adele, al contrario di lui, era consapevole della notte e dei ricordi con cui solitamente combatteva. Con la testa incassata nelle spalle e le mani alzate, sembrava vivere un momento fuori dal tempo e da ogni immaginazione, le era rimasto impigliato fra i denti un sorriso abbagliante.
In quell’istante si dimenticò di sopravvivere.
Solo così, forse, avrebbe potuto imparare a vivere.
E poi, vicino alla sua pelle, tutt’a un tratto, Adele non percepì più il calore di Giovanni. Si voltò giusto in tempo per guardarlo sparire oltre il muro di braccia alzate, lasciò un piccolo varco in mezzo alla folla dove lei si buttò senza pensare.
Dieci passi, e si ritrovò davanti all’acqua.
La schiena di Giovanni era una curva nera nel buio, si confondeva con l’aria soffocante dell’estate. Teneva le ginocchia incastrate nel petto, un braccio gli avvolgeva le gambe e l’altro giocava con la sabbia.
Adele si avvicinò, aveva i palmi sudati e le dita fredde che sbattevano sui fianchi mentre camminava. Si sedette accanto a lui, i piedi affondarono nella bassa marea, tutto taceva nella bolla che era di nuovo apparsa attorno a loro due. In lontananza si vedeva il Piccolo Mondo volare sull’acqua, avvolto dalle luci della città.
Giovanni tolse la mano dalla sabbia e se la passò fra i capelli, erano diventati stopposi e leggermente più lunghi di quando era partito.
«Non sento più la musica» asserì all’improvviso.
Adele lo osservò mentre le pareti di quel mondo parallelo si restringevano come un vestito lavato alla temperatura sbagliata. «Non devi per forza sentire la musica, per viverla.»
«Che intendi dire?», si era girato per guardarla di sbieco.
«Non hai bisogno di parole per essere in grado di sentire o capire la musica, è questo ciò che la rende un’arte unica e universale. La musica ha mille lingue, mille volti e mille specchi in cui ognuno si riconosce e si ama per ciò che vede.»
«Ma io non riesco proprio a sentirla, Del. So che è lì, ma non mi fa più venire i brividi, non mi fa più piangere o sorridere. C’è solo vuoto e silenzio.»
«Vuol dire che hai bisogno di cambiare. O probabilmente è lei che percepisce te in modo diverso.»
«In modo diverso.»
«Sì.»
Giovanni appoggiò il mento sulle ginocchia, in bilico fra la terra e il mare. Sentiva le lacrime premere agli angoli delle palpebre.
«Non so più cosa pensare, non capisco cosa mi manca.»
«Non pensare allora. Di solito capisci davvero quello che ti manca solo quando l’hai ritrovato.»
«E se perdessi me stesso? Come farei, a ritrovarmi?»
«In quel caso credo che tu debba lasciarti andare.»
Adele non sapeva bene come rispondergli: quello era un problema anche suo, un problema che l’aveva resa diffidente alla vita.
«E perché mai dovrei farlo?», aveva chiesto lui. Non aveva mai pensato di far cadere i cocci del suo petto crepato, aveva sempre creduto che fosse meglio sistemarli col nastro adesivo e sperare che non si staccassero.
«Perché quando soffriamo perdiamo costantemente pezzi di noi. Ma poi arriva l’alba e, sai, ti attendono sempre nuove cose.»
«E tu riesci a lasciar andare pezzi di te?»
Adele sorrise. Respirò il mare, il suo sguardo ci annegò dentro. «No.»
Restarono così per un altro po’, sospesi in quella nube d’incertezza, a farsi domande sulla vita a cui nessuno avrebbe potuto rispondere mai.
Tutto girava, ogni cosa evolveva.
Ma loro, loro no. Erano una statua d’argilla sul punto di seccare, piegata dal calore e dai rimorsi.
Adele, sorprendentemente, pose fine a quel plasmare silenzioso e si tirò su. Porse la mano a Giovanni, il braccio teso che pareva uno spicchio di luna.
«Andiamo.»
Lui afferrò dolcemente le dita di lei, sospirando. Si alzò senza lasciar andare il calore che gli dava quel piccolo bacio di pelle, e seguì Adele verso il beach party ancora pieno
di vita.
Arrancarono insieme nella sabbia cercando di farsi spazio tra tutte quelle mani e quelle gambe infinite, intagliate nella notte come ramoscelli ancora senza fiori.
Adele rischiò di cadere un paio di volte, ma la stretta di Giovanni era salda e non le avrebbe permesso di farsi male.
La promessa però non valeva per le pene di cuore.
Adele, infatti, sentiva il petto schiacciarsi sotto il peso dei sentimenti, a tratti agonizzanti, a tratti incandescenti.
Guardava Giovanni con fare assorto e sorpreso, quasi fosse la prima volta che lo vedeva davvero, che respirava davvero, che viveva davvero. Era un pianoforte scordato che aveva imparato a suonare la melodia più difficile del mondo, nonostante il lieve ticchettio legnoso sotto le note. Con gli occhi spalancati e le gambe tremanti, non ascoltò neanche più la musica che usciva dalle casse, era ferma ad osservare il volteggiare delle cose che poi svanivano. Tutto scomparve come il fumo delle sue sigarette.
Spinse i talloni sotto la sabbia. Era diventata improvvisamente troppo fredda, le ricordava le catene immaginarie che si sentiva addosso ogni giorno mentre camminava.
Una ragazza s’infilò nel mucchio sorridente, teneva in mano un secchio di plastica, di quelli che si usano per pulire i pavimenti, ci infilò una mano dentro e quando la tirò fuori aveva le dita coperte da un liquido fluorescente. Si allungò verso Adele con fare tranquillo, senza alcuna paura di essere respinta, e le dipinse alcune linee sul viso. Poi passò l’indice sulle guance di Giovanni in silenzio, anzi forse disse loro di divertirsi, ma non venne udito da nessuno.
Dopo pochi istanti le luci del palco si spensero, e tutto divenne colorato.
Due archi azzurri incorniciavano lo sguardo meravigliato e un po’ diffidente di un’Adele spersa nel tempo immoto di quella spiaggia, si reggeva alle spalle di Giovanni con le dita incastonate nella sua maglietta.
Non era stata ancora addomesticata, Adele, era soltanto un po’ più vicina al limite che tutte le persone si impongono di non oltrepassare per non finire nei guai.
Giovanni, dal suo canto, non riusciva neanche a capire dove fosse il limite, non lo vedeva o aveva deciso di non volerlo vedere per non stare peggio dopo.
Uno strano remix di Bitter Sweet Symphony fece tremolare il respiro di Adele. Si strinse ancora di più a Giovanni e gli sorrise incurvando le linee disegnate sul suo viso come una corda pizzicata.
Poi, ci fu un attimo in cui si guardarono dritto negli occhi.
Un attimo in cui i loro cuori scalpitarono, repressi dai dubbi infrangibili di cui entrambi erano vittima.
E poi Giovanni osservò con cura il viso di lei, gli ricordava un dipinto di Modigliani che aveva studiato a scuola, solo che lui non ascoltava mai le lezioni di storia dell’arte.
Le si arrampicò con le dita sui fianchi per salire fino alla schiena, sentì l’osso di una vertebra sotto il polpastrello dell’indice.
E poi Adele avvicinò la sua fronte a quella di lui, si scontrarono senza far rumore, incastrandosi alla perfezione.
E poi Giovanni non ce la fece più, i loro nasi si accarezzarono al buio e d’istinto le labbra si unirono.
Fu un bacio particolare, quello di Giovanni e Adele.
Un bacio difficile da scordare.
Un bacio complicato, scostante e pieno zeppo di emozioni.
Rabbia.
Ansia.
Paura.
Felicità.
Imbarazzo.
Confusione.
Desiderio.
Quel bacio divenne una lenta scalata verso l’estasi, verso una meta impossibile da raggiungere ma a cui vuoi arrivare lo stesso. Era forte, doloroso, passionale.
Fu un’accozzaglia di pensieri così incasinati che divennero incasinati anche loro.
Adele si staccò all’improvviso, non riusciva a prendere aria.
Deglutì sale misto a sabbia misto a un terrore tremendo di sentirsi un collare che le strizzasse il collo.
Non voglio essere addomesticata, no.
Ma questo vuol dire che dovrò stare sola per sempre?
Sfilò le braccia dalle spalle di Giovanni e lo spinse via prima di scappare e iniziare a correre, annaspando alla ricerca di solitudine, oppure di sicurezza. La folla si rimpicciolì dietro alle sue spalle a ogni falcata, fino a scomparire.
Si ritrovò un paio di volte a boccheggiare nell’oscurità, sentiva le piccole onde del mare sbattere sulle caviglie e l’acqua fredda tra le dita.
Continuò a correre.
Cosa stava cercando, esattamente?
Perché doveva sempre fuggire da ogni cosa?
Per andare dove, poi?
Verso quale luogo o persona si trascinava così faticosamente?
Non aveva idea di cosa cercare, di cosa trovare, di cosa avesse bisogno. Sapeva solo che, nel profondo di sé, c’era una piccola voce che la invogliava ogni volta a scappare per lasciarsi tutto alle spalle. Per dimenticare.
Ma dimenticare è difficile, un meccanismo troppo complesso da assoggettare.
«Adele!»
Adele correva così veloce che il vento le fischiava nelle orecchie, i capelli volavano di qua e di là, tutti arruffati. Non sentiva neanche più il dolore alle gambe.
«Adele fermati!»
Le caviglie affondarono nella sabbia bagnata, strinse i pugni per non arrendersi. L’affanno le aveva annebbiato la vista, vedeva solo nero, il mare e il cielo mescolati in un unico orizzonte lontano.
Era un passo sempre più vicino all’autodistruzione.
«Non andare via!»
Giovanni l’aveva afferrata per un braccio e strattonata con forza verso il suo petto. Lei scontrò la guancia con il cuore di lui, batteva forte e senza sosta. Non provò a divincolarsi, restò immobile come una statua di pietra, assopita dal calore delle braccia di Giovanni, la mente sgombra e le labbra bagnate dalle lacrime.
«Non andare via, non andare via, non andare via…»
Quei sussurri scavarono a fondo l’anima di Adele come un’antica preghiera, le torse le viscere e le scompigliò i ricordi. Anche lei, molti anni prima, aveva sussurrato in quel modo a qualcuno che non sarebbe più tornato.
Le parole di Giovanni l’avevano fermata dalla sua instancabile corsa verso il nulla. Osservò le stelle piangere sopra l’acqua e brillare nel buio, poi chiuse gli occhi e lasciò che l’abbraccio la ingoiasse.
«Non me ne vado.» Si arrese.
Lui la strinse ancora più forte e s’intrufolò nei suoi capelli, aveva ancora il fiatone e un groppo in gola che gli spezzava le costole.
Aveva perso suo padre, cos’altro gli rimaneva?
Gli vennero in mente gli sguardi stanchi che Fabrizio nascondeva con tenacia, le sue occhiaie cupe di fronte ai mesi che passavano e che, poco dopo, avrebbero cessato di scorrere. Il mondo era stato tremendamente cattivo con quell’uomo dai folti baffi e le guance paffute, gliel’aveva strappato via in silenzio, senza preoccuparsi del cuscino di Giovanni imbrattato di lacrime. Perciò disse l’unica cosa che potesse tenerlo ancorato al presente, la stessa parola che sussurrava fra le mani di suo padre mentre dormiva. «Resta.»
«Non sono abituata a restare.»
Giovanni sospirò l’aria calda della notte.
«Cos’è che ti ha fatto tanto male da voler sempre fuggire via?»
«Non lo so.»
Aveva mentito, Adele, ma non disse altro.
Perché la domanda giusta, comunque, sarebbe dovuta iniziare con un chi.

STAI LEGGENDO
Il tempo di una sigaretta
Romantika«Tu potresti salvarmi» disse lui. Lei, con lo stomaco sottosopra e il labbro fra i denti, tentennò. Salite e discese, questo era il ritmo stancante della loro ingarbugliata relazione, di quell'amicizia improbabile, di quel gioco in cui vince chi è p...