«Dove vuoi andare stavolta?»
Adele era appena entrata in autostrada, il busto sporto in avanti per cercare di vedere oltre il vetro sporco. Aveva posto quella domanda a Giovanni con un’aria spensierata che era completamente in contrasto con tutto il casino che aveva dentro, e lui se ne accorse quando vide le mani tremarle impercettibilmente attorno al volante, ma decise di non dire niente. Doveva essere Adele a tirarlo fuori, non poteva farsi costringere ogni volta a buttare la spazzatura nascosta nel suo sterno.
Rispose alla domanda di lei con un semplice: «Voglio vedere un altro mare, non ne avrò mai abbastanza.»
E Adele, credendo di star recitando molto bene la sua parte di persona imperturbabile di fronte al dolore, annuì. Accese la radio con le sue dita ossute e lasciò che la musica diventasse una coperta in cui raggomitolarsi.
I The Smiths, poi gli Abba, infine Sister Golden Hair degli America, la chitarra entrò in scena dando vita a un sorriso sul volto di Giovanni.
Quella era una delle canzoni che ascoltava sempre con suo padre, soprattutto quando lo aiutava a riparare la Ford che presentava un guasto garantito ogni settimana.
Chiuse gli occhi, e gli sembrò di riuscire a sentire di nuovo tutto.
L’odore di vernice della macchina.
Il sudore che appiccicava le magliette alle loro schiene.
Il puzzo dei sigari maciullati nel portacenere.
La polvere sugli scaffali.
Il calore che entrava dalla finestra col vetro macchiato d’olio.
Il rumore delle suole che calpestavano i trucioli abbandonati sul pavimento.
I baffi di Fabrizio che gli pizzicavano sul collo quando lo stringeva.
La radio sempre accesa.
Le loro mani sporche di grasso.
I sorrisi che si scambiavano ogni volta che lui faceva un buon lavoro.
Allungò il braccio e istintivamente alzò il volume della canzone, forse era riuscito a sentirla, uno sparo in una notte senza luna e senza stelle.
Sbatteva i palmi sui pantaloni a tempo con la chitarra, Adele aveva iniziato a canticchiarla sottovoce.
Paolo gli diceva sempre che quando cantava assumeva un buffo timbro nasale, ma quel momento era diventato troppo magico per dare peso all’imbarazzo.
«Will you meet me in the middle, will you meet me in the air? Will you love me just a little, just enough to show you care?»
Quell’insieme di sussurri divertiti diventò ben presto un’accozzaglia di urla così forti da strappare tutto il fiato dalla gola.
Adele aveva abbassato i finestrini e l’aria calda le scardinava i ciuffi, fu un’immagine così bella da guardare che Giovanni tirò fuori il telefono e senza farsi scoprire scattò una foto. La osservò per qualche istante, si perse fra le ciocche castane e lo sguardo graffiante, sempre un po’ diffidente e scontroso.
Si perse nei suoi lineamenti appuntiti, nel piccolo strappo dei jeans chiari, nell’incavo del suo collo marmoreo, nella sua pancia piatta che si gonfiava ad ogni respiro.
Giovanni era completamente sicuro di chi fosse prima di incontrarla, ora faticava pure a guardarsi allo specchio. Non si riconosceva più.
Ed è buffo pensare a come l’amore, a volte, ti faccia cambiare prospettiva.
Un giorno sei un ragazzo semplice che si gode la vita, il giorno dopo sei un ragazzo pieno di complessi che non pensavi nemmeno di avere.
La canzone finì, e con sé anche la parlantina nella testa di Giovanni che aveva ancora lo schermo del cellulare acceso sulla foto.
La guardò nuovamente, giusto il tempo di memorizzare qualche dettaglio, e ficcò il telefono in tasca, pronto per un nuovo tramonto.Con grande stupore, Adele notò che Sperlonga non era cambiata per niente negli ultimi dodici anni, o giù di lì.
C’era sempre la piazzetta con la chiesa dalle vetrate colorate, Maria che sfornava la pizza margherita più buona del mondo, c’erano gli stessi negozi di qualche metro quadro che vendevano vestiti e souvenir.
E poi, c’era la stessa immensa spiaggia.
Il mare, a Sperlonga, è nascosto da un’alta montagna verdeggiante che fa ombra alla sabbia nei giorni di pioggia e durante gli inverni più bui, di quelli che non sai mai se è mattina o se è sera perché il cielo è sempre nero.
Giovanni e Adele si affacciarono sul parapetto della piazza, lì dove potevano avere una vista completa del paesino arroccato, il chiacchiericcio caloroso tutt’intorno svanì poco dopo, quando i loro occhi si persero fra le onde e non riuscirono più a distogliere lo sguardo.
Il mare che colorava la spiaggia di una tonalità verde chiaro sapeva di gioventù, di ricordi teneri attaccati alla pelle, alla lingua, allo sguardo, sapeva di guance arrossate e lacrime silenziose, di rimorsi, sogni irrealizzabili e realtà difficili da accettare.
Ma era solo una sensazione legata probabilmente al fatto che Adele avesse passato un’intera estate lì sotto, a camminare su quella sabbia, a guardare le vite che le scivolavano intorno.
Le venne in mente una ragazzina, Carla, che alle due esatte di ogni giorno passava davanti al suo asciugamano. Andava a comprarsi un ghiacciolo alla menta, ma il calore del sole era così forte che non appena arrivava al suo ombrellone se lo ritrovava mezzo sciolto sui polsi. La sentiva piangere tutte le volte, e sua madre, già stufa in partenza, le dava uno schiaffo sulle cosce grassottelle per farla stare zitta.
Sembrava simpatica quella Carla, ma Adele – a quel tempo tredicenne – preferiva starsene seduta all’ombra con gli occhi invadenti dietro ai Ray-Ban.
Giovanni si schiarì la voce.
«Ci sei già stata qui?»
«Tanto tempo fa.» Adele scostò l’attenzione dalla lingua di sabbia che le aveva turbato i pensieri, e tornò improvvisamente alla realtà con un mezzo sorriso e uno sguardo malinconico.
«Si vede da come guardi le cose. Hai uno scintillio che non avevo mai visto.»
Lei lasciò quella frase alla brezza estiva che le scostava di poco la maglietta lasciando un nastro di pelle scoperto, lì dove Giovanni l’aveva accarezzata la notte prima.
Invece di parlare, si presero per mano. Non ci fu chi lo fece per primo, tutt’e due avvicinarono le dita nello stesso istante.
E, nello stesso istante, si legarono per sempre.
Perché quando incontri una persona che ti sconvolge i piani, che ti lascia sveglio tutta la notte e ti fa piangere e poi ridere e poi ballare sotto le stelle, capisci che è la persona giusta per te. Che ti insegna a vivere quando tu non sapevi nemmeno cosa volesse dire.
Adele si stava lasciando addomesticare senza controbattere, sovrastata dalle emozioni che le dava il contatto fra i loro lembi di pelle. Lui era riuscito a trovarla sotto la coltre di coperte, in quel buco nero dove nascondeva la sua anima per non farla vedere a nessuno.
«Posso donarti un tramonto?» aveva chiesto.
E Giovanni, sperso nei meandri del suo cuore un po’ acciaccato, strinse la presa.
«Sì.»
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Il tempo di una sigaretta
Storie d'amore«Tu potresti salvarmi» disse lui. Lei, con lo stomaco sottosopra e il labbro fra i denti, tentennò. Salite e discese, questo era il ritmo stancante della loro ingarbugliata relazione, di quell'amicizia improbabile, di quel gioco in cui vince chi è p...