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Si erano addormentati sul tettuccio del Volkswagen senza neanche rendersene conto, ma fecero sonni piuttosto tranquilli. Adele si svegliò poco più tardi dell’alba, il sole era già alto nel cielo e la spiaggia stava iniziando ad affollarsi.
Tastò con delicatezza la spalla di Giovanni, era girato dall’altra parte col braccio steso sul fianco e i capelli appiattiti sulla fronte.
Cercò di smuoverlo, sussurrò il suo nome, gli accarezzò una guancia, il naso, le labbra, le palpebre.
Niente.
Un gruppo di bambini iniziò a correre sulla battigia per buttarsi in acqua, sentì le mamme urlare loro dietro una lunga serie di ramanzine e parolacce per poi piantare gli ombrelloni e nascondercisi sotto.
Adele avvicinò le labbra al collo scoperto di lui, si intravedeva qualche vena scorrergli sottopelle e il battito del cuore gonfiargli la giugulare. Proprio lì, in mezzo a una piccola costellazione di nei, lasciò un lieve bacio. Impercettibile, ma che lui sentì come una scarica elettrica.
Giovanni aprì gli occhi, il sole gli bruciava il viso, si piantò nelle pupille fino a che Adele non coprì la luce col suo corpo magro. Gli sorrise.
«Dobbiamo partire.»
L’affermazione di lei aveva scosso la mente di Giovanni, che si alzò e scivolò a terra con un salto. «Ieri sera ho visto un ristorante che si affaccia sul mare, non vorresti andarci?»
«Ma il mare l’abbiamo già visto.»
«Volevo solo invitarti a cena fuori.»
Adele aveva cambiato espressione, era rimasta seduta sul tettuccio coi piedi penzoloni. I suoi occhi persero colore, non brillavano più. Si strinse nelle spalle, lo sguardo le era scivolato verso le scarpe.
«Non so se è una buona idea.»
Giovanni la fissava con insistenza, voleva sapere cosa le passasse per la testa perché sembrava avere troppi pensieri. L’alone di serenità e pace che si era costruito attorno ai loro corpi cadde inesorabilmente a terra, mostrando una realtà diversa e stonante.
Erano sempre gli stessi, purtroppo.
Lui un ragazzo che sognava un amore impossibile, lei una ragazza impaurita che fuggiva dopo ogni carezza.
Quel muro di mattoni che pareva aver perso forma, in quell’istante si fece più insopportabile di prima, oscurando i sentimenti come una nuvola carica di pioggia.
«Cosa c’è che non va?»
Giovanni aveva iniziato ad arrampicarsi di nuovo sui mattoni, le unghie spezzate e il respiro affannoso.
«Del?»
Adele scese dal camioncino, le tremavano le gambe.
«Non andartene, Del.»
Giovanni la osservò con le lacrime che iniziavano a bruciargli gli occhi, allungò una mano verso di lei, ma si ritrasse. Sembrava essere tornato tutto come all’inizio, due perfetti sconosciuti che tentano di comunicare nonostante parlino due lingue diverse.
«Adele, per favore. Parlami.»
Adele si sentì persa, vuota, come una tela bianca. Altri due passi indietro ed erano già lontani venti tramonti.
Deglutì, una lacrima le solcò la guancia incavata, e iniziò a camminare il più lontano possibile dal presente. «Vado a fare una passeggiata.» La sua voce graffiò l’aria e il rumore di catene scivolò lungo la sabbia.
Giovanni scosse la testa, no che non vai a fare una passeggiata, devi dirmi cosa nascondi per riuscire a combatterlo insieme, puoi piangere tutto il tuo dolore se vuoi, urlarmi addosso e rinnegare quello che provi, ma non te ne andare. Non posso perdere tutto un’altra volta.
«Quindi quello che è successo l’altra notte non ha avuto importanza per te?»
L’amore aveva cacciato fuori i denti, Giovanni sentiva il sapore amaro del dolore sulla lingua. La schioccò sul palato un paio di volte, ma niente. Quell’asprezza gli restava attaccata alla pelle, ruvida come carta vetrata sul legno.
Adele si era sempre chiesta se si potesse esistere senza la persona che amiamo di più al mondo, se si potesse sopportare l’idea di non averla accanto. Ed era giunta alla conclusione che, sì, una persona è in grado di convivere con quel tipo di dolore, basta solo fermare i pensieri. Ma passati dieci anni, venti, trenta, si ritroverà a riflettere sulle scelte prese in passato, e proverà soltanto una profonda solitudine.
Avrebbe potuto colmare quel vuoto con una serata a teatro a vedere Il lago dei cigni in smoking o mostrando le scarpe firmate ostentando sicurezza.
Avrebbe potuto ammirare il Colosseo di notte per ammettere a sé stessa che Roma, di notte, fosse molto meglio.
Avrebbe potuto fare colazione con crepes e burro d’arachidi senza dover cedere metà porzione a qualcun altro, senza guardare un altro paio di occhi assonnati e pensare che fossero ugualmente bellissimi.
Semplicemente, quella persona si sarebbe ritrovata a guardare i propri difetti allo specchio senza qualcuno che le accarezzasse i fianchi e le riempisse le orecchie di parole dolci.
Alla fine, si sarebbe rassegnata ad alzarsi tutte le mattine e a vedere solo i suoi vestiti dentro l’armadio.
Adele non si fermò, anzi, aumentò il passo come se non l’avesse neanche sentito. E quando Giovanni la raggiunse e la prese per il polso, si dimenò con forza e lo spinse via.
«Lasciami!», latrava come un animale selvatico ingabbiato, «Vattene via e lasciami in pace!»
Lui la strinse a sé, le urla della ragazza vennero ovattate dal suo petto, ma continuava a lasciargli pugni sui fianchi e sulle braccia per scacciarlo e fargli allentare la presa. Gli graffiava la pelle con i suoi artigli di volpe, lo soffocava con i suoi morsi e il suo bisogno estremo di liberarsi. Facevano davvero male, ma cercò di non pensarci.
«Devo fare una passeggiata!»
«Non è vero.»
«Lasciami!»
«No, non ti lascio.»
«Va’ via…»
Le sue mani si fermarono dopo qualche minuto, le sue urla si spensero lentamente, un respiro alla volta.
Si bloccò tutt’a un tratto, il fiatone le aveva indolenzito il petto.
Silenzio totale.
Le lacrime erano rimaste attaccate alla maglietta di Giovanni, così come i suoi pugni e le sue paure.
«Non potrai scappare per sempre, dovrai affrontare quello che hai dentro, prima o poi.»
Adele sospirò, un singhiozzo le rimbalzò in gola.
«Lo so.»
«Io posso diventare il tuo dolore. Così non dovrai soffrire più. Così potrai finalmente restare.»
«E perché mai dovresti farlo?»
Giovanni poggiò il mento sulla testa di Adele, qualche capello gli solleticò il naso.
«Perché non è mai troppo tardi per amare un cuore spezzato.»

Il tempo di una sigarettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora