Il giorno dopo Adele si svegliò con uno strano presentimento, come se si fosse dimenticata una cosa talmente importante da non poter essere tralasciata, le danzava sulla punta della lingua. Le faceva male la schiena e i capelli le cadevano nodosi sulle spalle.
L’infermiera l’aveva appena dimessa e si era raccomandata più volte di prendersi un paio di giorni di riposo a casa. “Io non ce l’ho una casa”, avrebbe voluto rispondere, “Nessun posto è casa, per me”.
Lanciò un’occhiata al letto davanti al suo, quando si tirò su a sedere: c’era solo il lenzuolo ripiegato su se stesso e i cuscini con ancora la forma della testa di Giovanni.
Se n’era andato e aveva lasciato un profondo vuoto nel petto di Adele, non lo sentiva più scalpitare e non sentiva nemmeno più il bisogno di cercare freneticamente l’iPod. Era sola, non aveva bisogno di nascondersi.
Con lo sguardo assente e i suoi vestiti di nuovo addosso si avviò verso l’uscita dell’ospedale, tra bambini piangenti e mamme esasperate in attesa. Varcò le porte scorrevoli e un caldo quasi soffocante si abbatté sul suo viso, si era quasi dimenticata che fosse estate. Non aveva stagioni preferite, Adele, mutavano in un ciclo senza fine davanti al suo sguardo passivo mentre ogni cosa attorno a lei cambiava inesorabilmente.
Ficcò le mani nelle tasche dei jeans e sfiorò l’iPod con le unghie. Le venne in mente Song to Say Goodbye dei Placebo mentre strusciava le suole delle Superga sull’asfalto
bollente.
You are one of God’s mistakes
You crying, tragic waist of skin.
Si sentiva esattamente così, uno spreco di sogni mai esauditi e pensieri impossibili da decifrare.
«Posso venire con te?»
Si voltò improvvisamente poco prima di attraversare la strada, a metà tra il fuggire e il restare.
Era Giovanni, il volto magro e bambinesco imperlato di sudore e i capelli drittissimi. La osservava in modo serio in attesa di una risposta, non sembrava scherzare. Aveva appoggiato la mano al palo del semaforo che diventò presto verde, le persone iniziarono a passargli davanti senza neanche guardarlo.
Ma Adele lo guardava attentamente cercando di comprendere cosa ci potesse essere nella sua testa di così complicato da farle una richiesta del genere.
«Perché mai vorresti?»
«Ho bisogno di sentirmi vivo.»
Lei si passò una mano fra i capelli per poi legarseli in una coda alta. Non aveva la più pallida idea di come comportarsi. Certo, da un lato le sarebbe piaciuto condividere con qualcuno le sue paure, dall’altro però pensava che rimanere da sola fosse la scelta giusta.
Qualcuno sarebbe potuto entrare nella sua tana e non farle più provare la solitudine, ma se invece quel qualcuno si fosse avvicinato troppo e l’avesse attaccata? Come avrebbe fatto a rialzarsi?
«Non ti conosco nemmeno», borbottò stringendosi nelle spalle. Tenne lo sguardo basso, non voleva rischiare di prendere una decisione affrettata a causa del suo cuore malandato. «Perché dovrei fidarmi?»
Giovanni provò una fastidiosa sensazione di rifiuto. Aveva immaginato una risposta diversa, ma non aveva messo in conto il fatto che quella fosse Adele, e Adele era – da quanto era riuscito a scoprire – una ragazza a dir poco imprevedibile.
Non rispose.
Effettivamente, cosa avrebbe potuto dire a suo favore?
I loro silenzi erano interrotti solo dai rumori delle macchine e dei chiacchiericci fra i passanti, erano entrambi persi in due battaglie diverse.
Alcuni piccioni volarono sopra l’asfalto, il sole brillava sui tettucci delle auto e un gatto si nascose dietro un muretto per non farsi accarezzare da un ragazzino che passava di lì.
C’era un bar da cui proveniva l’ultima hit estiva, un lieve sfarfallio tra gli ombrelloni del gazebo davanti all’entrata accolse nuovi clienti.
Accompagnati dalle vite ignare che scorrevano intorno a loro, Adele annuì improvvisamente. Sollevò lo sguardo, coraggiosa come un guerriero pronto a combattere in una guerra dove sa che, presto o tardi, morirà.
«D’accordo.»
«Sul serio?»
«Sì.»
Giovanni provò ad avvicinarsi, ma quando vide il suo busto indietreggiare impercettibilmente si limitò a tenderle la mano. «A un nuovo inizio, allora.»
Adele deglutì la saliva che le era rimasta intrappolata sotto la lingua, digrignò i denti e, con molta lentezza, strinse la mano di lui. Era enorme, dalle dita corte e squadrate, le venne in mente quella scena de I sentieri dei nidi di ragno… Pin lo conduce per mano, quella grande mano, soffice e calda, come pane.
«A un nuovo inizio. E a una nuova fine.»«Giovà, ma sei sicuro?»
Paolo biascicava frasi a raffica, si mangiava le parole e la sua voce bassa aveva un tono apprensivo. Dall’altra parte del telefono, invece, c’era un Giovanni spumeggiante dagli occhi radiosi e un sorriso pieno. Era sul sedile del passeggero del Volkswagen di Adele, alcuni pezzetti di pelle gli finirono tra le dita quando si girò per prendere la cintura. «Sì, Pà. Stai tranquillo. Tornerò presto.»
Buttò giù e ficcò il telefono nella tasca dei nuovi jeans che si era comprato poco prima. Erano entrati in un supermercato vicino al parcheggio, Giovanni aveva acquistato qualche indumento stropicciato da infilare dentro lo zaino e Adele si era trovata davanti alla vasta scelta di calamite nell’edicola della piazza lì davanti.
Poi erano saliti sul camioncino e adesso si trovavano con la schiena sui sedili, senza sapere cosa aspettarsi e come comportarsi, senza sapere dove andare.
Lui con la voce di Paolo ancora in testa, lei con mille pensieri che aveva paura di esprimere. Avrebbe provato a renderla una persona migliore? Si sarebbe ritrovata a cercare i suoi sguardi quando non l’avrebbe visto in mezzo alla gente?
Aveva la netta sensazione che quel viaggio l’avrebbe profondamente cambiata. Se in meglio o in peggio, non lo sapeva ancora.
«Dove vorresti andare?» Adele si era voltata a guardarlo, i capelli le scendevano ai lati del viso come pesanti tende di velluto.
Giovanni dette un’occhiata fuori dal finestrino. Molte macchine occupavano ancora qualche posto sull’erba, bottiglie di birra vuote erano disseminate fra le ruote e alcuni biglietti del concerto erano stati abbandonati accanto ai cassonetti ricolmi di spazzatura. Nell’aria c’era ancora un po’ dell’atmosfera di qualche giorno prima, un leggero scintillio.
«Voglio vedere il mare.»
Giovanni aveva risposto senza pensarci, l’aveva buttato fuori così, tra un pensiero e l’altro.
Adele annuì. Con le dita strette al volante e lo sguardo proiettato verso un futuro incerto, accese il motore e inforcò la via dove avrebbe dimenticato l’indifferenza dei suoi stessi sguardi.
La luce batteva con forza sul cruscotto quando lei si perse nell’asfalto, rischiando di affogarci dentro. Abbassò il finestrino, l’aria le arricciò i capelli e le raffreddò presto il collo bagnato di sudore.
«Perché sei voluto partire?»
Giovanni si adagiò sul sedile, sentiva il suo corpo vibrare di una forza di cui non conosceva il nome. Adrenalina? Felicità?
Un sorriso gli appannò i lineamenti.
«Perché non ti rendi conto dei bei momenti fino a quando non diventano ricordi, e tutto quello che ti rimane è ciò che hai lasciato indietro.»
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Il tempo di una sigaretta
Roman d'amour«Tu potresti salvarmi» disse lui. Lei, con lo stomaco sottosopra e il labbro fra i denti, tentennò. Salite e discese, questo era il ritmo stancante della loro ingarbugliata relazione, di quell'amicizia improbabile, di quel gioco in cui vince chi è p...