Passeggiarono fra le vie di Sperlonga, durante quel pomeriggio afoso.
Adele aveva raccolto i suoi pezzi sporchi di sabbia e lacrime e li aveva ricomposti dentro il suo cuore come se niente fosse, consapevole di doverli lasciare andare via per sempre, e il prima possibile.
Era diventata tutta un controsenso.
Voleva restare per Giovanni.
Voleva andarsene per se stessa.
Un quiz estremamente lungo, una tortura senza fine, senza neanche una risposta giusta.
Doveva scegliere lui o scegliere se stessa, come aveva sempre fatto?
Finora se l’era cavata con qualche lacrima e tante notti di solitudine riempite con la musica a tutto volume sparata nelle orecchie, non aveva ancora trovato un motivo valido per uscire fuori dal suo nascondiglio.
E adesso che lo aveva trovato, eccome se lo aveva trovato, aveva paura di lasciarselo sfuggire.
Si sentiva un po’ meno Adele a pensare che sarebbe potuta cambiare, affezionandosi all’idea dell’amore.
All’idea di un paio di mani sempre pronte a stringerti quando cadi.
All’idea di un bacio rubato.
All’idea di mille carezze, mille attenzioni, mille tramonti condivisi.
Giovanni camminava accanto a lei con passo lento e disinvolto, i capelli dritti come gli aculei di un istrice e gli occhi chiari persi fra i muri bianchi delle case.
Alla fine di un vicolo, fra un muretto e un portone, s’intravedeva uno scorcio del paesaggio marittimo. Il sole arrivava ormai a tagliare solo una parte della strada, stava calando e portava via un altro giorno estivo.
Era un bel ragazzo, Giovanni. Adele non sapeva ancora dove collocarlo, probabilmente fra i tipi irrequieti e solitari che talvolta si buttano nella mischia.
Come se si sentisse chiamare, lui la guardò e le sorrise, un istante che le rimase impigliato tra i capelli fino al tramonto, quando si prepararono per andare al ristorante affacciato sul mare.
Giovanni si era sistemato i ciuffi con le mani, senza alcun risultato. In compenso si era infilato una camicia a maniche corte e il suo paio di jeans migliore.
Adele invece aveva deciso di scoprire la schiena con un vestito lungo da sera che aveva preso dall’armadio di sua madre, poco prima di partire. Il velluto le cadeva un po’ pesante sui fianchi, ma l’effetto che dava di notte era spettacolare, di un colore blu elettrico.
Si tirò su i capelli con una forcina trovata nel portaoggetti del Volkswagen – cosa che odiava fare perché mostrare il suo collo troppo lungo la metteva a disagio – ma voleva vedere gli occhi di Giovanni puntati soltanto su di lei.
E quando lei scese dal retro, si guardarono, e quasi non si riconobbero.
Si guardarono a lungo, così, in silenzio, che tanto a loro il silenzio non bastava mai.
Non una parola venne filtrata dall’aria.
Ci furono solo due sorrisi impacciati, due corpi leggermente impettiti come a dire “guardami, sono qui”.
Ancora in silenzio, Giovanni le porse l’incavo del gomito, e lei ci avvolse la mano destra.
Le scoppiò il cuore.
Soprattutto quando si avviarono al piccolo ristorante.
Quando si sedettero a un tavolo circolare a due posti sulla terrazza aperta davanti alle onde placide.
Quando lui le riempì il calice di vino rosso.
Quando continuarono a volersi, a cercarsi, a dirsi parole intrise di un amore irruento e stravagante.
Erano ancora lì, a guardarsi.
Lei vedeva in lui la paura di soffrire, e lui vedeva in lei la paura di non poter essere più libera. Perché se Adele fosse appartenuta a Giovanni, non sarebbe più stata solo di se stessa. Non sarebbe più stato il mondo contro di lei, ma il mondo contro loro due.
Davanti a quel gioco di sguardi, erano diventati inermi alla vita. Si erano dimenticati del tempo, del mare sotto di loro, del salmone fresco nei loro piatti.
Un cameriere lasciò il conto sul tavolino alle tre di notte, chiedendo di lasciare il ristorante. Li osservava un po’ con malinconia, un po’ con divertimento. Gli vennero in mente le cene romantiche con la sua ex moglie, quando ancora si amavano, quand’era ancora tutto tremendamente idilliaco, quando non avevano litigi di ore sulle spalle e intere giornate di silenzio reciproco.
Adele prese Giovanni per un braccio, si era resa conto che fosse ubriaco dal suo biascicare e gesticolare veloce. Lo trascinò fuori, pagò il conto, e lo aiutò a sedersi su una panchina lì vicino.
Il sorriso di lui emanava un lieve odore di alcol. I suoi occhi – sempre limpidi e chiari – adesso avevano assunto uno strano colore scuro e vennero attraversati da un lampo d’eccitazione quando Adele catturò il labbro inferiore tra i denti, staccandosi una pellicina.
Lei gli si avvicinò per scostargli i ciuffi dalla fronte. Era fredda, ma leggermente umida.
«Hai… Bevuto troppo?» Lanciò un’occhiata furtiva ai jeans larghi e consumati dove lui aveva conficcato le unghie. Chissà se li aveva presi da un fratello maggiore o da un cugino troppo alto. Ebbe un vago ricordo di sua madre che le cuciva i vestiti quando era bambina, il suono di quella macchina da cucire le era rimasto bene impresso.
Giovanni espirò tutta l’aria che aveva in corpo dalle narici strette e smicciò l’incavo del collo di Adele. Era bianco e tutto spigoli, un pezzo d’alabastro delicato in un corpo ricolmo di disprezzante disincanto, ma non riusciva a smettere di osservarlo.
Osservare ogni parte della sua anima, anche quella inaccessibile e incomprensibile, era il suo passatempo preferito.
Un sorriso acceso proruppe sul suo viso.
«Sto bene, Del. Soprattutto quando sono con te.»
La ragazza percepì uno strappo alla pancia, ci appoggiò una mano sopra. Aveva bevuto troppo anche lei? Ma no, aveva preso solo un bicchiere di vino, il resto della bottiglia l’aveva lasciato a Giovanni. Però era un calore piuttosto piacevole…
Ancora dubbiosa, tirò fuori una sigaretta e l’accendino da una piccola tasca nel vestito, e l’accese.
La voce di lui, poco più tardi, le fischiò nelle orecchie.
«Vuoi andare?»
Adele si scostò di poco dal suo respiro senza smettere di reggerlo per un braccio, Giovanni percepì il suo allontanamento da una lieve scia di fresco che gli perforò il petto.
«Come mai ti allontani?»
«Non mi allontano.»
«Allora come mai sei così diffidente?»
Adele si impietrì. Era seduta su una panchina accanto a un ragazzo ubriaco, alle tre di notte, che le aveva fatto una domanda importante di cui, molto probabilmente, non si sarebbe ricordato la risposta. Rilasciò una boccata di fumo nell’aria.
Tanto valeva lasciarsi leggere un po’.
«Cerco di nascondermi.»
«Da chi?»
Eccolo. Il quesito giusto, proibito, che nessuno le aveva mai fatto.
Se l’anziano dalla barba bianca che abitava nel suo palazzo gliel’avesse chiesto, forse a quest’ora sarebbe tutta un’altra storia. Oppure il gelataio smilzo che le regalava sempre una cialda in più senza farsi notare. Pure il giornalaio all’angolo della strada, la bambina alla fermata dell’autobus che la salutava ogni volta che attraversava la strada, la postina con le rughe sul viso.
«Da mio padre.»
Giovanni la guardò da sopra la spalla, aveva corrugato la fronte.
«Ti segue?»
«In un certo senso.»
«E tu glielo lasci fare?»
«A quanto pare.»
«Ti ha fatto del male?» Gli occhi di lui si erano accesi, si stava quasi per alzare. Per fortuna Adele lo riacchiappò prima che sbattesse le ginocchia a terra.
«Sì, ma non nel modo in cui pensi tu.»
«Capisco.»
In realtà non aveva capito un accidente.
Cosa le era successo davvero?
Chi era la bambina spaurita che si celava dietro quella bellissima maschera d’indifferenza?
L’alcol gli rallentava un po’ i pensieri, ma era ben cosciente delle parole schive di Adele e del suo sguardo graffiante che gli ricordò il rumore del gatto della sua vicina che si affilava le unghie sul legno delle porte. Sembrava quasi una volpe che aveva appena intravisto un cacciatore da cui non sarebbe riuscita a scappare, si aggrappava ai ramoscelli, alle foglie, si nascondeva dietro agli alberi e alle rocce.
Non era più un’anima fuggitiva, ma un’anima rotta, calpestata, ignorata.
Giovanni le afferrò la mano e la strinse sul suo petto.
I suoi occhi erano illuminati da un lampione, e ci cadde dentro tutto.
«Io non ti farò del male.»
Adele fissò le loro dita incastrate, le tremava la voce. Buttò la sigaretta a terra, non le serviva più ormai.
«È una promessa?»
«È una promessa.»
Così si alzarono da quella panchina un po’ cresciuti, un po’ diversi.
Erano più caldi i loro palmi a contatto.
Era più brillante la luna sopra le loro teste.
Era più bello il silenzio.
Il rumore delle suole sulla pietra.
Gli sguardi veloci, che s’incontravano per caso.
I vestiti sulla pelle.
Le ciglia bagnate.
Ancora un po’ sopraffatti, arrivarono all’hotel più vicino, una struttura di mattoni dipinti di bianco, dove presero una camera con una grande finestra che si affacciava sul mare.
Salirono le scale a fatica, i cuori saltavano su e giù, dappertutto, e non smisero di battere neanche quando Giovanni si chiuse la porta alle spalle e iniziò a baciare Adele.
Neanche quando la sollevò da terra e la lasciò sul letto, facendole rimbalzare la schiena sul materasso.
Neanche quando le loro labbra si rincorsero di nuovo tra morsi, sussurri, qualche lacrima e qualche imprecazione.
Neanche quando i loro vestiti si trovarono sulle mattonelle accanto alle coperte già sfatte.
Neanche quando le loro mani si attraversarono a vicenda come se quei due corpi si conoscessero già da una vita precedente, o qualcosa del genere.
Neanche quando lui cominciò a lasciarle baci ovunque.
In un istante, divennero un unico respiro. E Giovanni, con la fronte imperlata di sudore e la schiena biancastra aperta alla luna, accarezzò ogni crepa nascosta nell’anima di Adele con un sussurro caldo sul collo.
«Io credo di amarti, Del. Così tanto che quando sto con te la notte e il giorno si fondono in un'unica realtà, come in un sogno. Tu sei il mio sogno proibito, sei ciò che non potrò mai avere ma che, nonostante questo, vorrò sempre poter accarezzare. Per poter plasmare le nostre notti stellate e tutti i sogni che non credevamo fossero possibili.»

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Il tempo di una sigaretta
Romance«Tu potresti salvarmi» disse lui. Lei, con lo stomaco sottosopra e il labbro fra i denti, tentennò. Salite e discese, questo era il ritmo stancante della loro ingarbugliata relazione, di quell'amicizia improbabile, di quel gioco in cui vince chi è p...