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«E tu, in cosa credi?»
«In cosa credo?»
«Sì.»
Giovanni si sporse un po' di più sul parapetto del balconcino della camera che avevano preso per quella notte. Era una stanza così piccola che a malapena ci entrava il letto, ma si trovava in centro e inoltre, se si fosse messo in punta di piedi, avrebbe potuto vedere il Colosseo dalla finestra.
Lanciò un'occhiata sulla strada trafficata sotto di loro. Chissà in quanti, e per quante volte, si erano posti la stessa domanda. Sicuramente la donna di mezza età con una malattia genetica rara che la costringeva a portarsi appresso le stampelle e mille sogni infranti. Sì, probabilmente anche quel bambino dall’aria un po' triste che osservava il cielo: gli angeli avevano portato via la mamma, così aveva detto suo padre. Chissà quando sarebbe tornata. Il ragazzo alzò poi lo sguardo verso le stelle, la fronte gli si adombrò sotto le rughe d’espressione. «Non lo so. Penso che nessuno lo sappia realmente. Semplicemente... L'uomo crede a ciò che gli sembra più conveniente credere.»
«Ovvero?» Adele aprì di più le palpebre. Lo faceva ogni volta che trovava un argomento affascinante. Le sue iridi verdi luccicarono davanti a quella notte senza Luna. «In che senso?»
«Nel senso che non c'è un vero senso.»
«Un vero senso…» ripeté, la voce ridotta ad un sussurro. Giovanni osservò in silenzio le sue dita aggrapparsi alla sbarra di ferro rovinata dalle intemperie.
Ecco, quello era uno di quei momenti in cui avrebbe voluto fermare il tempo, per guardarla ancora un po'.
La ragazza lasciò che una ciocca le sferzasse la guancia, e ascoltò la risposta di Giovanni.
«Siamo sempre così presi a cercare un senso in ogni cosa che ci capita. Ma in realtà alcune cose non si possono spiegare.»
«Alcune cose.»
«Sì.»
«Tipo?»
«Tipo… L’amore. Perché ci innamoriamo di una persona piuttosto che di un’altra? È una cosa che mi sono sempre chiesto. E sicuramente mentre lo sto dicendo altre persone si staranno facendo la stessa domanda, magari davanti a un camino con una tazza di tè bollente in mano, oppure in preda a una crisi di pianto, sulla porta di un bagno fatiscente di una discoteca. Molte cose non si possono spiegare, Del, ma io penso che sia proprio questo a renderle più interessanti. Un giorno ti piace la risata della bambina che gioca nel giardino accanto al tuo, e il giorno dopo… Ti sembra solo una risata qualunque.» E ripensò a quella piccola creatura con la bambola di pezza regalatale al suo quarto compleanno. Margot, si chiamava. Non si sarebbe mai dimenticato di quel tappeto di lentiggini e di quelle ginocchia tonde e sempre sbucciate.
«E secondo te, cos’è l’amore?»
Adele lo chiese così, il busto sporto verso di lui e le braccia penzoloni nel vuoto. Era troppo impulsiva per formulare le frasi in modo da farle apparire aggraziate. Di certo neanche la sua posa e il suo comportamento lo erano, ma si sentiva meno insignificante in quel momento perché, in un modo tutto suo, riusciva a coprire i suoi spigoli con il buio trasformandoli in docili curve.
Inoltre, da quando aveva conosciuto Giovanni, faceva molta più attenzione a questi dettagli, ignara che potesse finire inghiottita dalla notte.
Giovanni invece si era lasciato abbindolare dal sentimento, si comportava come se fosse in grado di poter essere qualsiasi cosa. Una roccia, ad esempio. O il sorriso della ragazza carina che ascoltava jazz nel negozio di vinili in fondo alla via di casa sua.
In quel momento c’era una donna simile a lei che sedeva su un balcone del secondo piano.
Sembrava serena, ma in realtà non lo era per niente. Aveva dei lividi che nascondeva con maglioni a fiori e urla nella testa che rattoppava con sorrisi incerti fuori dal balcone di quella casa che, ormai, non sentiva più sua.
Ma questo, Giovanni, non poteva saperlo. L’unica cosa di cui era sicuro però, era che non aveva la più pallida idea di come potesse rispondere alla ragazza accanto a sé.
«Insomma, io mi sono sempre chiesta che sapore abbia. L’amore, intendo. Non so la sua forma quando ci svegliamo al mattino, se assomiglia ad una nuvola o ad un gelato in piena estate. Se ti prende per mano e ti accompagna fino all’ultimo respiro che esali, oppure le sue unghie ti graffiano e ti fanno sanguinare. Forse non lo saprò mai, ma per quanto possa valere, mi piacerebbe sapere il suo sapore.»



Ci fu un istante in cui i loro respiri tentennarono. Sdraiati a pancia in su sopra le lenzuola bianche del letto, fissavano il soffitto alla ricerca di un argomento interessante di cui parlare o, almeno, un argomento che distogliesse l’attenzione dal fatto che fossero su un vero letto di una camera d’albergo, a notte fonda, vicini come non lo erano mai stati.
I capelli di Adele erano schiacciati sul cuscino, le solleticavano il collo. La luna che filtrava dalle tende di finto velluto proiettava strane ombre sulle pareti, si allungavano oltre i mobili e si arricciavano sugli angoli come artigli. Oltre il vetro poteva vedere le nuvole correre in mezzo alle stelle e i tetti dei palazzi rinascimentali.
Deglutì, il silenzio le stringeva il petto.
«E… Adesso?»
Giovanni ruotò la testa sul cuscino, vide la sua pelle bianca illuminarsi al chiaro di luna. Sembrava una statua di marmo che aveva appena preso vita.
«Adesso ti andrebbe di vivere questa notte con me?»
Lei si perse in un sospiro lungo e rumoroso. Strinse in un pugno il lenzuolo, abbattuta, spaventata, meravigliata per quella domanda che non si sarebbe aspettata mai.
Sentiva le sue costole schiacciarsi come tasti di un pianoforte, la melodia che aveva in testa era dolce, le ricordò gli sguardi che si scambiava spesso con sua madre, prima di diventare quello che era diventata.
Doveva lasciarsi andare, tanto a cosa sarebbe servito opporre resistenza?
Lo sapeva bene, Adele, che quella notte la desiderava anche lei.
Annuì, il cuore le era balzato in gola. «Mi andrebbe.»
Allora Giovanni le si avvicinò, aveva portato con sé tutti i suoi sentimenti, avevano preso vita dentro la sua pancia.
Allora lui la raggiunse piano piano, tutto intorno a loro era appeso a un filo sottile in procinto di spezzarsi, il silenzio ingoiava la polvere che s’intravedeva alla luce fioca.
Allora lui le solleticò la pancia con lo sguardo per poi sfiorarle il bacino sotto il vestito, la pelle a contatto con i polpastrelli era fredda e spigolosa.
A quel punto, la baciò.
Adele non si mosse, era come piantata nel materasso, le radici ben salde al legno delle doghe. Fremeva.
Soltanto una notte, poi non mi lascerò addomesticare più.
Giovanni le strinse leggermente il fianco mentre le loro labbra bruciavano, scappavano, si perdevano per poi ritrovarsi.
Poi lei afferrò una ciocca dei capelli di lui, erano dritti come sempre, come quando l’aveva visto la prima volta.
Poi lui le accarezzò i lineamenti del viso, la disegnò con l’indice, e osservò quel capolavoro nella semioscurità.
Poi lei gli tolse la maglietta con un gesto aggraziato, che non le si addiceva, ma che rese tutto più reale e vivido nella sua mente.
Poi si strinsero in un abbraccio quasi soffocante, i loro petti si scontrarono nel vuoto della camera, e il filo che reggeva il peso di tutto si spezzò nel silenzio di una notte di mezza estate.
La schiena di Giovanni era attraversata da rivoli di sudore, aveva caldo, ma stava bene, stava bene con Adele.
Erano insieme.
Delicati.
Calmi.
Spezzati.
Quasi felici.
E si erano dimenticati troppe volte di respirare. Avevano lasciato le lenzuola piene dei loro sospiri col sapore di guance bagnate, abbandonate sull'orlo di un precipizio mal delineato: da una parte giacevano i pensieri turbolenti per via di una possibile pena d'amore, dall'altra c'erano battiti di cuore già frantumati.
Come mai, a volte, l'amore è un insieme di fortuite condizioni sfavorevoli?
Come potevano costruire qualcosa se la terra sotto i loro piedi era estremamente fragile? Un po' come guardare fuori da una finestra col vetro crepato e vedere soltanto il panorama che c'è oltre.
Far finta che se Giovanni avesse digitato il numero di suo padre, lui avrebbe risposto dopo tre squilli.
Un po' come riuscire a tenere Adele stretta, perché tu la stringi, la afferri, ma lei scivola sempre in maniera dolce, senza farti rendere conto di ciò che stai per perdere. E così se ne va oltre il mare, oltre il cielo e le nuvole che sembrano un dipinto ad acquerelli, fuggendo oltre la tela.
Giovanni non sapeva che fine avrebbe fatto il suo cuore, ma se mai quella storia avesse avuto una fine, ne sarebbe valsa la pena. Quel viaggio era diventato una nuova scoperta di sé e non avrebbe rinunciato al sapore e all'odore delle emozioni.

Il tempo di una sigarettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora