13

4 0 0
                                        

Le strade romane si riempirono di urla offensive e di palmi sbattuti con forza sui clacson, Via Cristoforo Colombo era diventata un puzzle di ruote e finestrini abbassati che non riuscivano a districarsi.
A Giovanni era mancata quella realtà, quell’attesa snervante e la costante paura di fare tardi, il tram che puzzava, gli autobus doppi, le strade con le buche che sembravano pois.
S’immaginò le luci del centro commerciale di Bufalotta dove sua madre faceva la spesa quand’era piccolo. Poi l’Ikea, il quartiere di periferia dove stava con le case popolari sbilenche davanti al tramonto, il palazzo in cui abitava Paolo, a San Basilio. Lì i muri erano ricoperti di scritte e disegni fatti con le bombolette e le altalene del parco erano perennemente scoperchiate, lasciando solo le catene a ciondolare nel vuoto.
Seguì il cartello per Roma centro, Adele osservava il panorama in silenzio. Era tutto completamente diverso dal quartiere tranquillo e agiato in cui aveva sempre vissuto, quando si alzava e apriva le finestre si affacciava sul giardino dalle siepi sempre curate e i cespugli di rosa rigogliosi per l’intero anno.
La povertà non l’aveva mai sfiorata, tranne quando dava qualche spicciolo al senzatetto che vagava davanti al Duomo e lui le sorrideva con quei denti gialli e l’odore di chi non si lava da un bel po’.
Parcheggiarono in Via Sant’Agata, Giovanni le aveva detto che sarebbe tornato utile per i posti in cui l’avrebbe portata. Sembrava perfettamente a suo agio, come se fosse una canzone imparata a memoria e amata alla follia.
Poi, lui le afferrò la mano e iniziò a farle conoscere il suo mondo.
Il sole, dopo un’intera giornata a guardare le nuvole rincorrersi nel cielo, si era ammassato dietro alle rovine riempiendo gli spazi vuoti fra le colonne scheggiate, un gioco di luce che investì lo sguardo di Adele, la quale si era appena seduta su una panchina in Piazza Venezia, accanto a Giovanni.
L’Altare della Patria era un po’ più largo di come se lo ricordava lui, forse alla televisione dava un’impressione diversa, o non si capivano bene le dimensioni. Quando passavano sullo schermo delle immagini del centro storico di Roma, suo padre zittiva tutti sbattendo il pugno sul tavolino. Faceva sempre vibrare le posate e i bicchieri in un tintinnio sommesso.
Ma ora che era lì con Adele poteva godersi ogni monumento, fontana, pezzo di pietra o colonna.
«Guarda quante persone.»
Giovanni sorrise. «Già, chissà se sono felici.»
Lei assottigliò le palpebre per gli ultimi raggi di sole che le impedivano di mettere a fuoco la piazza, e la sua attenzione venne catturata da un uomo di mezz’età con la barba incolta e un cappello a tesa larga a coprirgli lo sguardo.
Lo indicò, ovviamente senza farsi vedere per non sembrare maleducata.
«Lui, ad esempio. Lui ti sembra felice?»
«Non saprei. Da come cammina sembrerebbe di no.»
«Ma non ci sono altri modi per capire se qualcuno è felice?»
«Forse, se vedi una persona soffrire puoi vedere anche quando non soffre. Forse sono tanti piccoli dettagli che non notiamo, che diamo per scontati, a fare la differenza tra l’essere felici o l’essere infelici. Magari questo signore conduce una vita dignitosa, ha una moglie a casa che l’aspetta e due nipotini che vedrà nel fine settimana, ma tutto ciò per lui non rappresenta una possibilità per sentirsi meglio. Magari si è lasciato qualcosa alle spalle che non è ancora andato via.»
«E perché le persone non riescono ad essere felici per tanto tempo? Ad esempio, può rendermi felice una canzone che passa alla radio quando meno me lo aspetto, ma quando passa la seconda volta non mi dà le stesse emozioni.»
«Non lo so Del, probabilmente non siamo più in grado di provare meraviglia.»
Il viso di Adele era rilassato, le sue guance erano diventate color miele.
«Io voglio provare meraviglia, invece. Guardare il mare centinaia di volte e stupirmi ogni volta come se fosse la prima, o innamorarmi di una persona nonostante conosca a fondo la sua anima come la mia.»
Il signore aveva attraversato la strada ed era scomparso dietro a un gruppo di turisti, portando via con sé la conversazione fra i due, che rimase sospesa a mezz’aria.
Il tramonto accarezzò la statua di Vittorio Emanuele II e il bronzo lucido s’illuminò, Via dei Fori Imperiali era già oscurata dagli alberi e dalle rovine di Traiano, si vedeva in lontananza il Colosseo.
Giovanni si alzò dalla panchina, prese per mano Adele e la sospinse verso le strisce pedonali.
«Vieni.»
Lei si lasciò guidare dalla mano calda e soffice di lui, le gambe si muovevano veloci sull’asfalto che sputava calore e i capelli le svolazzavano sopra le spalle.
Roma l’aveva travolta in modo inaspettato, era un luogo pieno di bellezze e tesori nascosti, sapeva di antico, di petricore, di amori platonici e filosofie incomprensibili.
La pietra pareva sussurrarle parole di commiato, il sole la faceva brillare.
Ma quando il sole scomparve oltre il Municipio, Adele vide il Colosseo illuminarsi improvvisamente come il flash di una fotografia, e strinse forte la mano di Giovanni per non cadere.
Era un enorme anfiteatro alto quasi cinquanta metri con centosessanta archi a circondare le mura di pietra che sembravano impossibili da scalfire, e con un fascino irripetibile.
«Bello vero?»
Giovanni adorava osservarla nei piccoli momenti in cui il suo viso emanava una spiccata espressività, soprattutto adesso che non riusciva a trattenere un sorriso. Gli occhi le luccicavano nel buio come due stelle, alzò un braccio e indicò il cielo.
«Non credevo di poter provare tutte queste emozioni.»
Sembrava essere tornata bambina, Adele, in quella notte fatta di incanto e di felicità.
Sembrava tutto sospeso, fermo, bellissimo.
Fecero il giro del Colosseo, poi Giovanni la portò in Piazza di Spagna e la fece sedere sulla stessa scalinata che percorreva John Keats nell’Ottocento per tornare al suo appartamento, all’angolo della piazza, e chiusero gli occhi per ascoltare il rumore dell’acqua che scorre sulla pietra.
E Adele si sentì acqua, pietra, notte, una città bloccata nel tempo, una statua dai tratti neoclassici e una poesia romantica, magari quella di Victor Hugo che le era sempre piaciuta.
Cos’è un tuo bacio? Un lambire di fiamma.
E dopo esser diventata molte cose, Giovanni le fece vedere la fontana di Trevi e lanciarono nello stesso momento una moneta da cinque centesimi nell’acqua esprimendo un desiderio che non avrebbero mai ammesso ad alta voce, e le mostrò il Tevere con qualche pezzo di plastica buttato nel mezzo e la corrente che sbatteva sui mattoni.
Adele si fermò un attimo a guardare le stelle riflesse nel fiume e con un balzo salì sopra il muretto che si affacciava nel vuoto. Si tirò giù il vestito che le era salito sulle cosce e allargò le braccia per mantenere l’equilibrio, almeno fisicamente parlando.
«Che giorno è oggi?»
Giovanni le sorrise dal marciapiede, il venticello gli rinfrescava la maglietta che si appiattiva morbidamente sulla pancia.
«Il quattro luglio.»
The fourth of July, pensò lei. Era una canzone dai toni leggeri che aveva sentito una volta fuori da un bar vicino casa sua. Iniziò a canticchiarla sottovoce, non sapeva a memoria tutte le parole, ma il senso delle frasi l’aveva compreso bene, era rimasto in un piccolo cassetto della sua mente, vicino all’orecchio.
The evil it spread like a fever ahead
It was night when you died, my firefly
What could I have said to raise you from the dead?
Oh, could I be the sky on the fourth of July?
Adele non aveva una voce melodiosa, però riusciva a trasmettere emozioni forti che a Giovanni arrivarono come tempesta.
E lui si perse di nuovo fra i suoi capelli, le sue labbra e le sue parole mal pronunciate.
Si perse così, camminando di notte, sulla riva del Tevere.

Il tempo di una sigarettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora