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Il lieve frusciare delle tende sotto il vento caldo di un nuovo mattino fece tremare la schiena nuda di Giovanni, che aprì gli occhi. Le lenzuola ai suoi piedi erano lisce, di un liscio simile al legno di alcuni mobili che restaurava suo padre, mentre dalla parte di Adele erano stropicciate e accartocciate sul suo petto, come se le abbracciasse.
Dormiva ancora, rannicchiata verso di lui, i capelli castani erano sciolti sul cuscino e sembravano un lungo tappeto persiano. Giovanni toccò con lo sguardo le sue clavicole sporgenti dove si nascondeva un neo, per poi scendere sulle spalle minute e le costole appena evidenti per via del poco sole che filtrava.
Osservò i fianchi stretti, l’ombelico, le cosce magre, le ginocchia squadrate e leggermente sbucciate.
Si reggeva a quel pezzo di coperta come se rischiasse di cadere, come se rischiasse di annegare fra le onde di un mare troppo grande in un mondo troppo piccolo. Con le braccia aggrovigliate sopra al seno e le sopracciglia folte aggrottate, sembrava voler chiedere aiuto, anche se un aiuto, lei, non l’aveva mai chiesto davvero.
Giovanni si tirò il lenzuolo sopra la vita e avvolse Adele fra le sue braccia poggiandole la testa sul petto, facendo avvicinare i loro corpi fino a toccarsi.
Fu un momento surreale.
Loro due insieme, senza vestiti, senza barriere, senza parole che li dividessero. Lui era riuscito a scavalcare quel muro di mattoni insormontabile, lei era riuscita ad ammansire la sua anima fugace.
Un momento strano, ma pieno zeppo di emozioni incontrollabili.
Adele si era svegliata, ma aveva paura di aprire gli occhi e vedere la realtà sbatterle addosso, cattiva e troppo diretta. Respirò l’odore di Giovanni, assaporò la sua pelle morbida e immaginò di rimanere così per tutta la vita.
«Sei sveglia?»
«Sì.»
«Come ti senti?»
«Sto bene», strizzò le palpebre, «Sto bene.»
«Sicura?»
«No.»
Lui le passò una mano tra i capelli.
«Puoi dirmelo, se ti va.»
«Ho paura.»
«Di cosa?»
«Ho paura di farti soffrire.»
«Può darsi. E con questo?»
Adele voleva abbracciarlo, dirgli che sarebbero stati insieme per sempre, che se avesse continuato a stringerla così non sarebbe più scappata via. Ma nella realtà le uscì un sussurro tiepido e un po’ distaccato.
«Voglio solo… non combinare casini. Sai come sono, io non ho il coraggio di restare.»
«Non ci vuole il coraggio, per restare. Per restare con qualcuno, devi amarlo.»
Devi creare dei legami, pensò Adele.
Le loro pelli bruciavano sotto il lenzuolo, pareva che si stessero sciogliendo per solidificarsi di nuovo, attaccandosi l’una con l’altra. Restarono così per qualche minuto, il piccolo raggio di sole si era spinto oltre la parete e adesso colorava il soffitto di un bianco accecante. Aveva la forma di un cuore, almeno così credeva Giovanni.
Quando iniziò a fare più caldo, verso le dieci, decisero di vestirsi per andare a fare colazione. Un paio di jeans e una maglietta con qualche macchia di candeggina, ed erano già pronti a perdersi fra le strade di Roma.
Via del Corso era molto diversa di giorno, non c’era più la magia delle stelle né il silenzio giusto per sentire l’acqua che scorre sulla pietra. Però era bello vedere tutte quelle persone camminare con lo sguardo sorpreso verso il cielo e gli altissimi monumenti, il cuore incastrato nel marmo e i ricordi avviluppati alle colonne dei templi.
Adele seguì il flusso di un gruppo di turisti inglesi, avevano la carnagione chiara come la sua. Giovanni la seguiva tenendola per mano e osservando, di tanto in tanto, come le loro dita combaciassero alla perfezione nonostante le mille imperfezioni di entrambi.
Passeggiarono spensierati fra le vie del centro storico, il Colosseo nascosto dagli alberi e qualche pietra d’inciampo incastonata fra i ciottoli.
Erano loro due, ancora immersi in quella bolla invisibile ma che si poteva toccare con un dito per avvertirne la presenza. Bastava guardare meglio l’orizzonte ed ecco che appariva una leggera sfumatura.
Il Palazzo Chigi, invece, era imponente e pulito come sempre, osservava immoto i due giovani addentrarsi in Via Condotti, per poi finire in mezzo al marasma di persone.
Da lì in poi fu Giovanni a guidare Adele, la sospinse leggermente.
«Hai visto il Colosseo di notte, ti sei seduta sugli scalini di Piazza di Spagna, adesso devi lasciarti travolgere dall’Antico Caffè Greco.»
L’Antico Caffè Greco era un bar storico di Roma, aperto più di duecento anni prima e ancora in voga nel ventunesimo secolo. Si presentava come un posto accogliente, dai tratti rinascimentali e un po’ cupi, Giovanni adorava immaginarsi Byron seduto a un tavolino in fondo alla sala coi gomiti piantati nella sottile lastra di marmo, a discutere animatamente di poesia e letteratura.
Entrarono nel locale e li accolse una serie di tavoli rotondi dal legno antico e leggermente consumato con attorno qualche sedia imbottita di stoffa color porpora. Le pareti erano tappezzate di quadri di qualsiasi corrente artistica, tanti rettangoli dorati che davano luce all’ambiente. Un cameriere col papillon e la fronte alta indicò un piccolo tavolo circolare attorniato da una sedia e un divanetto a due posti, sopra di questo giaceva un dipinto molto particolare, una spiaggia ripresa di notte con le onde spumose e il cielo senza stelle.
I sandali di Adele pestarono a piccoli passi il pavimento colorato, era uguale a quello di casa sua, un tipo di ciottolato antico.
Ringraziò il cameriere con un cenno della testa e si sedette sul divanetto insieme a Giovanni, spalla contro spalla, coscia contro coscia.
Ordinarono un cappuccino e una brioche appena sfornata, poi lui iniziò a indicarle tutte le opere d’arte che vedeva e a spiegarne lo stile e il tratto della pennellata, di alcuni si ricordava persino l’anno in cui furono terminati.
Adele restò in silenzio ad ascoltare tutte le storie, i ricordi, le idee, i colori. È sempre bello quando qualcuno ti rende partecipe delle sue passioni perché così le rende anche un po’ tue.                       
Il mare di notte incastrato nella cornice di legno, però, restò il suo preferito.
Le ricordava quella notte a Follonica, una notte nera come non l’aveva mai vista, niente stelle, niente di niente.
La notte in cui le loro labbra si erano sfiorate per la prima volta.
La notte in cui si erano desiderati sul serio.
La notte in cui Adele aveva capito che i sentimenti esistono, che hanno un sapore leggermente amaro in bocca e un odore di lenzuola appena lavate e stese in un mattino di brezza leggera.
La notte in cui qualcosa era cambiato.
Valli a capire i sentimenti, pensò, non so neanche amare me stessa, figurati se posso amare un’altra persona. E poi, come si capisce se si è innamorati? Cosa distingue l’amore da un sentimento qualsiasi?
Forse l’amore non distingue le persone, le riveste di emozioni e le spinge a correre tutti i rischi possibili, a cuore aperto verso la vita.
Forse l’amore non ha occhi per vedere né orecchie per sentire, ha regole strambe tutte sue, che te lo trovi impresso dentro e non ti lascia stare più.
Adele voleva sapere a tutti i costi cosa fosse questo dannato sentimento, ma aveva paura che potesse starle bene addosso. In un certo senso preferiva rimanere nel mistero, sospesa fra cosa fosse giusto e cosa fosse meglio per lei.
Osservò ancora i quadri appesi alle pareti dell’Antico Caffè Greco e, persa ormai nei propri pensieri, infossò le spalle nella stoffa morbida del divanetto vintage.

Il tempo di una sigarettaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora