Dieci minuti dopo si trovavano sulla sabbia umida di Ostia, il mare li abbracciava quieto e alcuni ombrelloni ancora chiusi li osservavano silenziosi.
Il camioncino era stato parcheggiato alla bell’e meglio su un piccolo piazzale asfaltato vicino alla spiaggia, il rosso acceso aveva assunto una sfumatura più chiara.
Giovanni non sapeva se dimenticare la notte appena trascorsa, spingeva il proprio corpo a muoversi in maniera tranquilla anche se dentro, in realtà, aveva una tempesta pronta a scoppiare.
Anche Adele era pensierosa, le ombre sul suo viso accartocciato la facevano assomigliare a un vecchio pieno di rimpianti.
La osservò meglio da sopra la spalla.
Era una fémme fatal, il soggetto di un dipinto grottesco e affascinante. Una donna col corpo teso dalle ossa, sciupato dall’interno, coi capelli scapigliati. Nonostante questo, però, aveva quel fascino che poche creature riuscivano a portarsi appresso.
Si voltò verso di lui, gli occhi spenti e bui, appagati dall’odore di sale e peccato che danzava nell’aria.
«Sembra bello» aveva detto.
Poi scavò coi pensieri le onde stanche che consumavano la sabbia, schioccò la lingua sul palato e, dopo aver inspirato un pezzo di alba, tirò su la schiena ingobbita.
Assaporò quell’attimo.
C’erano tante di quelle cose, nella sua vita, che erano andate storte: quella volta in cui si dimenticò di dire a sua madre che le voleva bene, ad esempio. Non glielo diceva quasi mai, in realtà. Neanche quando era diventata grande e aveva deciso di scappare dai suoi demoni interiori con il suo camioncino sganasciato.
Le era uscito un semplice “Me ne vado” che fece piangere gli occhi e il cuore della donna che l’aveva amata con tutta se stessa.
E così Adele buttò sul sedile macchiato di birra il suo zaino pieno di vestiti e sensi di colpa, e partì. Partì alla ricerca di un posto che la facesse sentire a casa, partì per ritrovare l’Adele che aveva perso. Partì, lontano dalla sua vita, da ciò che aveva ottenuto e da ciò che aveva perso.
In fondo si trattava di questo, doveva solo cercare di non perdersi.
Giovanni aveva raccattato i suoi dubbi esistenziali, piccoli stralci di emozioni, e aveva deciso di darli in pasto alla musica: ciondolò verso il Volkswagen, aprì la portiera e allungò il braccio. Dopo pochi istanti Apocalypse inondò la spiaggia, il suono del basso gli arrivò al cuore come un sussurro.
Erano le sette e undici.
Il sole stava dando il suo saluto migliore dipingendo i tratti ossuti di Adele, i primi raggi le toccarono le spalle, e a Giovanni vennero in mente i vecchi libri di sua nonna, quelli con le copertine slabbrate e la carta ingiallita, vissuta, amata.
Erano le sette e undici, entrambi avevano la testa zeppa di frasi incerte sull’amore e un desiderio soffocante di sopravvivere.
Erano così, lei una carezza rubata dal vento con le dita incastrate fra la mano e il cuore, lui un'onda nel mare, forte e inarrestabile fuori, destinata a sciogliersi nella vastità dell'universo fino a ridursi in schiuma.
Avevano tanti difetti, ma tanti di quei difetti che neanche venti paia di mani avrebbero potuto contarli sulle dita. Però erano giovani, pieni di una vita sbagliata, impressa nella solitudine dei loro ricordi.
Erano le sette e quindici e Adele si era rifugiata nel mare, i piccoli piedi nell’acqua bassa e le palpebre a mezz’asta.
Non perderti, diceva a se stessa. Non perderti.
La canzone dei Cigarette After Sex stava per finire, l’orizzonte era pronto ad accogliere il cielo. Si vedeva già qualche nuvola.
Giovanni si tolse le scarpe e i calzini senza neanche badare alla sabbia che ci era finita dentro. Entrò in acqua, il suono delle onde trascinò via gli ultimi accordi della canzone alla radio, e dopo, erano loro due. Soli.
«A cosa pensi?» chiese lui.
Il cielo si evolse taciturno, l'Aurora dalle dita di rosa iniziò a segnare nuove strade. Adele allargò le braccia per assorbire il calore ancora fioco del sole. Sentiva che il mondo, in quel momento, fosse un posto bellissimo.
«Penso che il mare all’alba sia una delle cose più belle che esistano perché è sia inizio che fine. Penso che se questi fossero i miei ultimi respiri, non mi preoccuperei troppo di cosa c’è oltre la morte. Perché il mare all’alba mi basta per sorridere, e per riuscire a non perdermi.»
«Perderti dove?»
«In me stessa.»
Giovanni annuì, le loro spalle si sfiorarono insieme alle loro anime. La guardò di sbieco senza farsi vedere, il cuore gli rimbalzò nella cassa toracica.
Era proprio come il sole, lei. Bella da morire, ma solo se si guardava per poco.
Figurarsi toccarla: chiunque si fosse avvicinato sarebbe finito per bruciare nel suo abbraccio pieno di spine.
Adele era fuoco, libertà. Nessuno mai avrebbe potuto dire “lei è mia”, perché lei non era neanche di se stessa. Apparteneva al mondo, a quel mondo in cui riponeva tutte le sue speranze rimaste pregando che non crollassero da un momento all’altro.
Erano le sette e venti quando l’ultima stella scomparì.
E fu sempre alle sette e venti, che Giovanni capì di essersi perdutamente innamorato di Adele.
Gli venne in mente un posto dove poterla guardare ancora più a lungo, un posto che gli ricordava casa. Le porse la mano, il palmo rivolto verso il cielo.
«Hai mai visto il Colosseo di notte, sotto la luce delle stelle? Ti sei mai seduta sugli scalini di Piazza di Spagna per poi chiudere gli occhi e ascoltare il suono dell’acqua che scorre sulla pietra? Ti sei mai lasciata travolgere dall’atmosfera dell’Antico Caffè Greco?»
«No.»
«Allora preparati.»
Adele lisciò le pieghe del suo vestito con aria assente.
«Per cosa?»
«Per le emozioni che vivrai stanotte.»
Partirono di nuovo dopo che l’alba si era trasformata in una torrida giornata di mare per famiglie numerose e anziani brontoloni.
La lancetta della benzina era rischiosamente vicino allo zero e i soldi che gli erano rimasti si riducevano a un numero a due cifre, ma a loro non importava. Dovevano scoprire ancora molte cose l’uno dell’altra, dovevano scoprire loro stessi e quel mondo a volte cattivo a volte buono che non trovava fine.
Dovevano accettare il dolore, magari dargli uno schiaffo e mandarlo al diavolo oppure prenderlo per mano e continuare a vivere come se niente fosse, che mica lo sapevano ancora cosa volesse dire soffrire fino a non avere più voglia di piangere.
Dovevano crescere tanto, loro due, dovevano soltanto decidere se farlo insieme o da soli.
Erano due anime scombinate, un intruglio di voci e sussurri e pensieri rivoltanti.
Persi.
Alienati.
Sconvolti.
Con tutte quelle notti sprecate a piangere, quella rabbia repressa, quella costante voglia di mandare ogni cosa all’aria e ricominciare. Ma come si fa a ricominciare?
Come si fa a buttar via emozioni, ricordi, parole, sensazioni, rumori, canzoni?
Come si fa a perdere tutto se quel tutto lascia poi un vuoto che non si può più colmare?
Non c’era una vera e propria risposta.
O forse la risposta c’era, ma sarebbe arrivata in un giorno di pioggia, un giorno qualsiasi che si può confondere con gli anni che passano, sotto forma di piccoli segnali.
Uno sguardo, una frase letta sul giornale, una foto ritrovata sotto il tappeto.
Giovanni saltò sul Volkswagen pronto per vivere la prossima notte tutta d’un fiato, quella sarebbe stata la sua notte e nessuno avrebbe potuto strappargliela.
Si lasciò scorrere Ostia dietro le spalle, Adele stava scegliendo una cassetta da ascoltare per rifugiarsi in qualcosa che non fosse il buio, le dita scorrevano veloci sui nomi e i titoli.
Poi ne sfilò una dalla pila, aveva un pezzo di nastro di carta incollato sul lato A, proprio in mezzo alle bobine, con sopra una scritta sbiadita dalla polvere.
Salvami, diceva.
La infilò nell’autoradio con uno scatto del polso e adagiò la schiena sulla pelle consumata dello schienale.
La musica partì.
C’erano molti segnali che risultavano quasi invisibili. Ma quello, pensò Giovanni mentre sentiva partire Hey Jude, era un segno molto chiaro.
Non l’avrebbe certamente fatto scappare nella notte.

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Il tempo di una sigaretta
Romance«Tu potresti salvarmi» disse lui. Lei, con lo stomaco sottosopra e il labbro fra i denti, tentennò. Salite e discese, questo era il ritmo stancante della loro ingarbugliata relazione, di quell'amicizia improbabile, di quel gioco in cui vince chi è p...