Si fece sera e il sole riapparve oltre le nuvole. Adele e Giovanni si erano fermati a mangiare pizza da asporto che avevano preso a un chiosco vicino al centro città. Avevano lasciato i cartoni sul cruscotto e riempito i sedili di macchie d’olio, ma erano sereni e volevano pensare solo alla libertà.
Dopo aver bevuto un paio di sorsi di birra decisero di fermarsi nel primo posto in cui avrebbero potuto parcheggiare il Volkswagen, e così, senza sapere bene dove andare, si addentrarono in una piccola strada piena di curve e salite, fino ad arrivare in una piazza gremita di gente: sulla terrazza di un ristorante un gruppo in smoking suonava musica jazz, il tabaccaio all’angolo vendeva giornali di tutti i tipi, erano ammassati dietro la vetrina creando un mosaico in bianco e nero. C’era anche una signora col viso contemplato dagli anni, se ne stava affacciata al balconcino di una casa di riposo, lo sguardo sul presente e il cuore legato a un passato troppo difficile per essere raccontato. Quella donna consumata dalle sigarette e dalle sofferenze guizzò gli occhi verso Giovanni e Adele. Li vide a malapena, ma ricordò bene il tempo in cui si era sentita anche lei forte e fragile allo stesso tempo.
E come erano apparsi, sparirono dietro gli alberi.
Adele era dietro al volante, lo sguardo perso tra le foglie cadute ai lati della strada. Girò improvvisamente a destra, l’asfalto divenne ghiaia e la piccola campanella appesa allo specchietto retrovisore ondeggiò.
Lasciandosi dietro quella piazza con centinaia di storie nascoste, le ruote usurate fecero fatica a salire l’ultimo tratto in mezzo a un piccolo bosco, ma oltrepassati gli ultimi rami fu come entrare in un sogno.
Il camioncino si spense davanti a un precipizio roccioso con un ronzio basso, le loro schiene vennero sbalzate leggermente in avanti per poi sbattere sui sedili. Quello spiazzo vuoto, avvolto solo dalla natura e da un mausoleo dalla pietra scalfita dagli anni, li aveva colti di sorpresa.
Oltre il cruscotto di pelle sciupato, Adele vide il tramonto — non un tramonto qualsiasi, lo sapeva bene. Ciò che aveva davanti si potrebbe ridurre a un'intera città fatta di luci e macchine che correvano sulle dritte strade, e a migliaia di possibili vite lì nel mezzo.
C'era la Terrazza Mascagni dalle mattonelle bianche e nere con una ruota panoramica che emanava risa, c'era l'Hotel Palazzo con la piscina sul tetto e il grattacielo accanto a Via Roma dove un ragazzino aveva perso la vita pochi tramonti prima, buttandosi nel vuoto. C'erano le navi mercantili sulla linea esile che separava il mare dal cielo, e qualche crociera da cui sbucava fumo nero. A Giovanni gli ricordarono i sigari che fumava suo padre, gli Habano, avevano un sapore acre che gli si incastrava fra i denti.
Le luci dello stadio erano accese per illuminare la partita appena cominciata: il Livorno avrebbe perso contro il Sassuolo insieme alle probabilità di poter entrare in serie B.
Le nuvole ritraevano forme bizzarre sull'acqua colorandola di rosa, e Adele capì perché quello non fosse uno dei soliti tramonti. Era il suo primo vero tramonto con Giovanni, per questo lei riusciva a scorgere i lati più nascosti e contorti della cornice che separava vetro e dipinto, giorno e notte.
Avrebbe potuto toccare con un dito la sensazione di attonimento che vibrava fra i due sedili e dire di aver vissuto davvero. Invece, scese dall'auto senza preavviso, così, i piedi sulla ghiaia umida e gli occhi lucidi. Sfregò i palmi sulla felpa e andò verso il grande monumento alla sua sinistra, se ne stava immobile e guardingo ad osservare il tramonto, proprio come lei. Un grande ammasso di pietra con le scale sbeccate e il tetto pericolante.
Adele sfiorò il muro del mausoleo abbandonato e percepì il calore del sole che aveva assorbito durante il giorno, le arrivò docile sulla pelle come gli abbracci di sua madre che lei non ricambiava quasi mai.
Coi denti grandi e squadrati incastonati nel labbro si fece forza con le braccia e scavalcò il cancello arrugginito nascosto fra l'edera rampicante. Un salto, una breve scalinata in pietra e fu sopra il tetto.
Il sole stava comodamente adagiato sul ciglio dell'orizzonte, spegnendosi i raggi uno ad uno e calando lentamente oltre il mare blu.
Stette attenta a non scivolare, non c'erano parapetti né recinzioni a trattenerla dal guardare giù fin quasi a cadere.
Il grigio della pietra era avvolto in parte dal verde del fitto bosco, qualche ago di pino sorvolava leggiadro la testa di Adele per poi precipitare nel vuoto. Sarebbe stato un paesaggio perfetto per essere effigiato su una tela, ma lei si accontentò di dipingerlo con gli occhi.
Dal garbuglio di rami apparve Giovanni, aveva metà corpo esposto alla fievole luce del tramonto e l'altra metà celata dal buio degli alberi. Si sentiva titubante, un po' smarrito. Aveva in testa una canzone senza nome e senza testo, un ammasso di note dai toni bassi e persistenti. Se la scrollò di dosso e si avvicinò alla ragazza dai capelli aggrovigliati con passi lenti e silenziosi.
Le afferrò i polsi cautamente sperando che non scappasse via, e con un leggero scatto se li portò dietro la schiena. Adele restò con le braccia rigide per un po’, senza respirare, senza indietreggiare. Era la volpe, e lui, il suo Piccolo Principe… Ma si sarebbe fatta accarezzare senza provare paura o diffidenza?
«Non voglio essere addomesticata» aveva sussurrato. La voce di lei arrivò come una carezza sul collo di Giovanni, che sorrise lievemente.
Allora lui le sfiorò i capelli con la punta del naso, erano morbidi, pieni di nodi, sapevano ancora di mare.
«Non voglio addomesticarti», scosse la testa e scorse dei brividi sulle sue spalle magre, «Vorrei soltanto…viverti. E sentirmi libero con te.»
Adele non aveva mai ricevuto un abbraccio così caldo. Quando vedeva due persone stringersi in quel modo fuori dal finestrino del Volkswagen arricciava le labbra, immaginandosi storie d’amore platoniche e dai finali incantevoli.
Ora, invece, era lei a trovarsi dall’altra parte del vetro.
Erano un gomitolo di pensieri e paure, ne percepivano l’odore. Adele iniziò a muovere i fianchi, le sue gambe erano rapide come le dita di un pianista esperto e le sue braccia sinuose come ali di un albatro. A Giovanni venne in mente la poesia di Baudelaire, quella in cui l'uccello si libra in volo maestoso, ma quando cade sulla barca si trasforma presto in un animale goffo e trasandato. Lui, poc’anzi così bello, com’è comico e brutto! Era proprio come un albatro, lei. A tratti libera e inarrestabile, a tratti incatenata su una barca che non sentiva sua.
Volava.
Cadeva.
Ma se Giovanni fosse ceduto, gli sarebbe bastato poter stringere la sua mano come stava facendo in quel momento. I loro palmi erano saldati insieme, come i loro petti e i loro cuori.
Ballarono davanti alla fine di un nuovo giorno, un altro giorno sprecato, buttato e rigettato. Le gambe erano un labirinto di mancanze e gli occhi un buco vuoto da riempire con anni di solitudine.
Si trovavano sul ciglio del mausoleo, piccoli pezzi di cemento crollavano sotto i loro piedi in attesa di schiantarsi al suolo. Il tramonto era ormai un'eco sugli scarabocchi incisi nella pietra, regalò un lieve rossore sulle guance di Adele, Adele che aveva sempre la pelle marmorea e spenta.
Si studiavano attraverso gli sguardi, si persero in un sogno grottesco, di quelli che ti inquietano ma che ti affascinano allo stesso tempo.
Si erano cercati, lasciati, ripresi.
E quando il sole scomparve completamente, Giovanni strinse Adele ancora più forte.
Poi lei sfiorò la sua guancia con quella di lui.
Poi lui sorrise, e una ciocca di lei gli finì sulle labbra.
Poi entrambi piroettarono su quel palco di cemento crepato, immaginando di potersi sentire sempre in balia delle emozioni, fino a quando la realtà, come una lunga e pesante tenda, non calò sulle stelle. E pose fine allo spettacolo delle loro anime.
Giovanni e Adele erano sudati, con le costole indolenzite e le bocche semiaperte. La stretta salda delle loro dita si sciolse come cera e, tra un respiro veloce e l’altro, si sdraiarono sul tetto del mausoleo senza dire niente. Perché era vero, loro non avevano bisogno di parole per capirsi.
Le stelle iniziarono a spogliarsi del buio e illuminarono presto il cielo.
Adele aveva lasciato i capelli liberi al vento leggero, le ciocche scompigliate le si agitavano sulle tempie come lingue biforcute. Senza perdere di vista il mare che di notte sembrava non avere alcun orizzonte, guardò di sottecchi Giovanni.
«Ti senti mai stanco?»
«Stanco di cosa?»
«Di tutto. Non ti capita mai di svegliarti al mattino, guardarti allo specchio e vedere il riflesso di te stesso e poi nient'altro?»
«Mi è capitato.»
Ci fu un breve silenzio, le cicale avevano cominciato a frinire in mezzo ai rami.
«Quando?»
«Quando ho perso tutto.»
Giovanni sperò di non dover scavare ancora più a fondo, sperò di riuscire a coprire la sua fossa con un tappeto di indifferenza per poter andare avanti. Ma non ce la fece. Cadde nella sua stessa trappola, con un piede infangato nella buca e uno fuori, pronto a riportarlo su.
La sincerità in quel momento gli pesava come una catasta di mattoni sulle spalle, si ritrovò a incurvare la schiena per un dolore che non riusciva a comprendere ma che sperava riuscisse a farlo qualcun altro.
«Quando ho perso mio padre, ho perso me stesso.»
Lo tirò fuori lentamente, il respiro labile e la mente affacciata al buio, come se stesse esprimendo i pensieri di un'altra persona. Adele invece era proprio lì, tutta intera, con un nodo alla gola che le solleticava le corde vocali.
«Io mi sento così da molto tempo, ormai. Un po’ come se galleggiassi e annegassi nello stesso istante, come se riuscissi a respirare per la prima volta ma con la consapevolezza di stare per soffocare.»
Giovanni ruotò il collo e la guardò negli occhi, si ritrovò colpito da quelle parole crude e taglienti come il suo nome. «E quante cose credi di aver perso?»
«Troppe.»
«Tipo?»
«Tipo la bellezza dei tramonti, la forza delle albe e il profumo delle rose, tipo il suono delle ossa che stridono quando cadi e delle lacrime quando piangi. Tipo il vento fra i capelli mentre corri e il sapore delle labbra di qualcuno che amo, la sabbia che scorre, le forme delle nuvole che non ho visto mai, l’odore degli agrumi sotto le unghie e il sudore sulla pelle. Ecco, questo è quello che ho perso, capisci?»
La confessione di Adele rimase incastrata in ogni parte di Giovanni, nella mente, nel cuore, sotto le ciglia, in mezzo al petto. Un po’ ovunque.
Percepiva il suo cuore pieno di un qualcosa che non riusciva a spiegare, come se fosse arrivato al termine della sua vita e dovesse scegliere quali ricordi portare via con sé. Ma sarebbe stato davvero difficile decidere, soprattutto per la commozione che in quel momento stava opprimendo il suo respiro.
Allora allungò la mano e si aggrappò alle dita di Adele, le strinse con forza per paura che andasse via, per paura che non capisse.
Sto crollando, ti prego, tienimi.
Lei rispose alla stretta, in silenzio. Aveva bisogno di una sigaretta, ma aveva lasciato il pacchetto sul cruscotto e non voleva muovere un solo muscolo. Vide le stelle formare strane scritte nel cielo, l’inchiostro bianco e luminoso le attraversò lo sguardo facendole ricordare le parole incastonate nella carta del suo libro preferito.
Aveva appena creato un legame con Giovanni, seppur limitato. Le loro mani si incastravano perfettamente nel limbo incerto dei loro sospiri e Adele aveva dubbi su dubbi, pensò di scappare fino a non avere più fiato nei polmoni e lasciarlo solo con il suo odore di tabacco e vita sciupata.
Invece… Restò lì a godersi quell’unico attimo di possibile serenità.
Lasciò cadere le sue paure oltre il cemento, se le immaginò come un enorme scarabocchio nero che rotolò fino al precipizio, per poi colare sulle pareti e confondersi con l’aria.
Restò lì a godersi il calore del corpo di Giovanni accanto al suo e disegnò con la mente ogni dettaglio della sua mano.
Per la prima volta era riuscita a creare un legame e di nuovo per la prima volta aveva preferito restare, piuttosto che fuggire via.

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Il tempo di una sigaretta
Romance«Tu potresti salvarmi» disse lui. Lei, con lo stomaco sottosopra e il labbro fra i denti, tentennò. Salite e discese, questo era il ritmo stancante della loro ingarbugliata relazione, di quell'amicizia improbabile, di quel gioco in cui vince chi è p...