Capitolo 5

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La vita al centro d'addestramento era faticosa, estenuante, ma alla fine non era nemmeno troppo male. Per qualche strana ragione, ogni mattina, Beatris si svegliava col cuore pieno di calore. Forse era la vicinanza con Mikasa, il loro dormire sempre insieme, a metterle il buon umore, o forse la quantità innumerevole di nuove amicizie che stava stringendo. Tutte quelle persone, tutte le loro particolarità, la rallegravano, la divertivano, la distraevano. E poco importava se non era un granché negli esercizi, se faceva sempre più fatica rispetto agli altri, durante le pause lei aveva sempre qualcosa e qualcuno con cui sorridere.
Quella mattina si vestì con la divisa il più velocemente possibile, affamata come poche volte lo era stata. Si infilò una canottiera più pesante sotto la camicia, quella notte aveva spolverato un po' di neve le temperature erano particolarmente rigide.
«Dai, Mikasa!» gridò, uscendo fuori dal dormitorio. Non l'aspettò e corse fuori.
Dietro di lei, pochi istanti dopo, sentì l'urlo euforico di Sasha mentre correva per raggiungerla. «Ha nevicato!» gridò, rossa in volto forse per l'emozione o forse per il freddo. Beatris alzò gli occhi al cielo, ancora plumbeo.
«Forse ne farà ancora in giornata» mormorò, affascinata dal colore opaco delle nuvole. Una palla di neve, piccola e ben compattata, tanto da sembrare più ghiaccio vivo, le volò incontro e la prese in piena nuca. Con un lamento per poco non cadde a terra.
«Che male!» gridò, voltandosi a cercare l'artefice di quell'affronto. Sasha era china per terra e stava già cercando di formarne un'altra con la poca neve che riusciva a raccogliere in giro. Christa si inginocchiò di fianco a lei, preoccupata. «Sasha, ferma! Non è neve morbida, stai creando dei proiettili non delle palle! Rischi di fare male a qualcuno» ma la ragazza patata la ignorò e scavò per terra cercando di prendere quanta più neve possibile. Non appena pronta, puntò gli occhi infuocati a Beatris e sghignazzò, pronta a colpirla ancora.
«Ferma!» gridò Beatris e si voltò, per scappare il più lontano possibile. Sasha iniziò a urlare carica di determinazione e sprintò tanto rapidamente che se fosse stato un altro degli esami di Shadis probabilmente sarebbe arrivata prima nella valutazione. Brandendo la palla di ghiaccio, più che di neve, come fosse un'arma, rincorse Beatris per tutto il campo, che cercava come poteva di allontanarsi il più possibile. Troppo lenta, venne raggiunta e infine colpita. Il colpo alla schiena le tolse quasi il fiato, mentre Sasha dietro di lei rideva a pieni polmoni come un cacciatore sadico che aveva appena abbattuto la preda. Per il colpo, ma soprattutto per il terreno umido e ghiacciato, Beatris perse stabilità nei propri piedi. Cadde in avanti con un urlo e, ancora per il suo stupido istinto, alzò le mani al cielo piuttosto che provare ad attutire la caduta. L'abrasione che si fece al mento l'avrebbe accompagnata per almeno una settimana, ma come tutte le sue ferite nemmeno quella la sentì troppo, probabilmente abituata. Ma lo scivolone in avanti fece penetrare neve e ghiaccio dentro al colletto, tra i bottoni della camicia, e non ci fu canottiera di lana abbastanza calda da proteggerla. Urlò, in preda alle convulsioni per il freddo mentre sentiva il ghiaccio scivolarle nel petto e sul ventre, e d'istinto si sollevò in ginocchio e cominciò a spogliarsi.
«Bea!» gridò Christa in preda al panico e le saltò addosso. «Non puoi spogliarti in mezzo al cortile» e lanciò occhiate preoccupate in giro, dove ora non solo passavano le ragazze uscite dal dormitorio femminile, ma anche i ragazzi usciti da quello maschile che si trovava esattamente a pochi metri da loro.
«Ho il ghiaccio dentro la divisa!» urlò Beatris, cercando di strapparsi i bottoni della camicia per togliersela.
«No! Non qui!» gridò Christa e lottò contro di lei per impedirle di spogliarsi. «Mikasa!» chiamò, in cerca di aiuto, ma la ragazza passò loro a fianco con la sua solita apatia, senza preoccuparsi molto della situazione. «Lasciaglielo fare, si accorgerà da sola dell'errore» e si allontanò. La distrazione di Christa fu fatale, Beatris la spintonò a terra riuscendo così ad allontanarsela, e infine aprì tutto, restando solo con la canottiera smanicata e aderente. L'alzò, scoprendo il ventre, e fece gocciolare giù acqua e ghiaccio, riuscendo a liberarsene. Ebbe qualche secondo di tempo per riuscire a riprendersi dallo shock, ora che era libera, prima di accorgersi di aver solo peggiorato la situazione. Quasi del tutto scoperta, il freddo dell'aria esterna a contatto con la sua pelle ora bagnata, le diede il colpo di grazia. Christa, a terra, d'istinto si guardò attorno preoccupata ed esattamente come si era aspettata un buon numero di spettatori si era fermato a fissarle. E nessuno di loro aveva espressione neutra. Jean, forse più di tutti, sembrava essere andato in black out. Occhi vitrei, espressione paralizzata e volto rosso come un pomodoro, non riusciva a togliere gli occhi di dosso dal ventre e le spalle scoperte di Beatris. E nonostante il seno fosse ancora coperto, la maglietta era così aderente e ora bagnata per via della neve, che era quasi come se non l'avesse. Christa scattò verso l'amica, si tolse di dosso la propria giacca e la propria sciarpa, e ce l'avvolse dentro.
«Non c'è tempo di tornare a cambiarti, salteremo la colazione così. Andiamo nella sala comune, ti metti vicino al camino e provi a scaldarti» le disse, ma Beatris era come paralizzata, completamente congelata non riusciva più neanche a pensare.
«Sto per morire» sibilò appena.
«Ehy!» Reiner le chiamò e corse verso di loro, seguito da Marco e Bertholdt. «Che succede? State bene, ragazze?»
«Sasha l'ha colpita con una palla di neve troppo fredda e indurita, l'ha buttata a terra e tutto il ghiaccio le è entrato dentro la divisa. Penso sia in shock termico» spiegò Christa, preoccupata.
«Dobbiamo portarla al caldo» disse Marco, mentre Reiner si inginocchiava di fronte a Beatris. Le mise una mano sulla spalla, una sul volto per costringerla a voltarsi e guardarlo, e cercò di esaminare la situazione. Aveva le guance completamente rosse e non c'entrava né l'imbarazzo né nessun tipo di emozioni. Alcuni capillari erano scoppiati, poteva vederne le macchioline sugli zigomi. L'iride eccessivamente ristretto gli suggeriva inoltre che fosse in preda a un qualche tipo di confusione, per questo era paralizzata e non reagiva. Sarebbe potuta svenire da un momento a un altro, non era certo che fosse ancora lì con loro, a capire chi avesse attorno.
«Va scaldata gradualmente. Andate a prendere una coperta» disse, voltandosi verso Marco, ma non appena terminò Beatris finalmente si mosse. Camminando con le ginocchia si avvicinò rapida a Reiner e si aprì un varco tra le sue braccia. Reiner non ebbe tempo nemmeno di capire cosa stesse accadendo, che si trovò improvvisamente Beatris avvinghiata addosso. Aveva infilato le braccia all'interno della sua giacca, si era accasciata per riuscire ad arrivare col volto al suo petto -e data la differenza d'altezza non era nemmeno stato difficile- e si era stretta contro di lui. Le braccia avvolte intorno al ventre, sotto la giacca, il volto schiacciato sulla spalla e il resto del busto il più schiacciato possibile contro quello del ragazzo.
«Sei caldo» la sentì mormorare contro la propria spalla. E Reiner restò paralizzato, completamente inerme. Persino lo sguardo era ancora fisso davanti a sé, come una statua, incapace di muoversi o di pensare a qualsiasi cosa. Sentiva solo che stupidamente il proprio cuore nel petto aveva deciso di esplodere più e più colpi, tanto da arrivargli nelle orecchie e assordarlo. Forse sarebbe stato lui quello che sarebbe svenuto, sopraffatto dalla vergogna, privato di qualsiasi pensiero. Se avesse avuto un qualche senso attivo, avrebbe percepito il gelo intorno a sé e non solo della giornata di neve. Christa, Marco e Bertholdt erano altrettanto paralizzati per l'incredibile scena che stavano assistendo.
Reiner cominciò a riprendere coscienza di sé, a riattivare i sensi, ormai troppo tardi. A destarlo furono le mani di Beatris che si muovevano dietro la sua schiena e che in un solo gesto avevano afferrato il retro della sua camicia e lo stava sollevando per sfilarla dai pantaloni. Preso dal panico, portò indietro le mani e provò a fermarla, ma era tardi... troppo tardi. Beatris infilò le mani sotto la sua camicia, direttamente a contatto con la pelle nuda della schiena, all'altezza dei reni. E tutto l'imbarazzo di Reiner, che l'aveva fatto accaldare spaventosamente, calò d'improvviso sotto al gelo di quelle dita di ghiaccio contro i propri reni.
«Sei congelata!» gridò, in preda al dolore di quel contatto.
«Adesso va un po' meglio» mormorò invece Beatris, beata del calore del corpo di Reiner contro le sue dita di cui cominciava a riavere sensibilità solo in quel momento. Reiner si dimenò, provò a scacciarla, ma lei gli si era avvinghiata peggio che un animale, e riusciva a sgusciare via dalla sua presa per infilare di nuovo le mani di ghiaccio sotto la sua camicia.
«Vado a prendere una coperta» riuscì finalmente a dire Marco, sbloccandosi dalla sua paralisi non appena vide Reiner che cominciava a dimenarsi come un'anguilla e a ruggire. Corse dentro il dormitorio e sparì per qualche secondo, il tempo di trovare ciò che gli serviva, e quando uscì nuovamente vide che le acque parevano essersi calmate. Reiner si era arreso, vinto anche dalla priorità di cercare di tenere al caldo la ragazza, e aveva smesso di ribellarsi. L'espressione non era delle più felici, anzi sembrava veramente incazzato, ma lasciava che Beatris gli restasse avvinghiata, con le mani poggiate alla pelle della sua schiena. Aveva afferrato i lembi della propria giacca e li aveva tirati in avanti, per avvolgerla meglio al suo interno e cercare di scaldarla. Il suo buon cuore aveva avuto la meglio sul proprio istinto di autoconservazione, e aveva dato priorità al benessere dell'amica piuttosto che al suo. Marco li raggiunse, appoggiò la coperta sulle spalle di Beatris, e infine riuscì a tirarla via da Reiner e liberare l'amico.
«Se mettiamo i suoi vestiti vicino al camino si asciugheranno prima dell'inizio dell'addestramento, e intanto potrà fare colazione» propose Christa, prendendo Beatris per le spalle e iniziando a guidarla verso la sala comune. Marco le fu accanto, parlò con loro, mentre Reiner e Bertholdt rimasero pochi passi indietro. Bertholdt aiutò l'amico a rialzarsi, offrendogli una mano, e seguirono il resto del gruppo. La faccia di Reiner era quella di un animale pronto a saltare al collo di una preda e sgozzarla.
«Forse te l'ho già chiesto...» disse Bertholdt, ma si lasciò scappare un sorriso divertito. «Sei sicuro di aver fatto la scelta giusta?»
Non specificò l'argomento, ma Reiner sapeva che si riferiva al fatto di voler diventare amico di Beatris così da essere meglio accettato da quelle persone. Grugnì, frustrato. «Probabilmente lo è...» disse. «Ma sarà una bella sfida».
«Niente che un Guerriero come te non possa sostenere».
«Non prenderti gioco di me» borbottò Reiner, frustrato, e Bertholdt non riuscì a non trattenersi dallo sghignazzare.
Entrarono nella sala comune e Christa corse ad appendere subito gli abiti di Beatris vicino al camino così da permettere loro di asciugarsi. La ragazza venne invece accompagnata da Marco a uno dei tavoli, sempre lì vicino, e la fece sedere mentre lui andava a prendere la colazione per entrambi. Le diedero del té caldo, per aiutarla a riprendersi, e Beatris si fece accudire come una bambina. Mangiò, bevette e restò tranquilla, avvolta nella coperta, fintanto che il freddo non cominciò finalmente a lasciarla libera. Non ci volle molto, che l'accaduto con la neve venne completamente dimenticato, e tutti presero a parlare vivacemente come al solito. Solo Christa restò l'unica a preoccuparsi delle condizioni di Beatris ancora a lungo, chiedendole di volta in volta se stesse bene, se avesse bisogno di qualcosa, e portandole altro té caldo quando lo finiva.
Terminarono la loro colazione, i vestiti di Beatris per fortuna si asciugarono in tempo e lei poté ricomporsi prima dell'inizio dell'addestramento. Ad aspettarli nel cortile c'erano dei carri e dei cavalli, con gli istruttori già pronti a partire. Seguirono le loro indicazioni, caricando zaini e attrezzature sui carri, e infine salirono anche loro, diretti verso le montagne. Lassù la neve non solo non stava cominciando a sciogliersi, come invece stava facendo in pianura, ma era addirittura caduta più fitta che mai. Non appena misero piede fuori dal carro, i loro stivali affondarono fino al polpaccio.
«Altra neve» sospirò Beatris, chiudendosi all'interno di una giacca pesante e un mantello. «Speravo di non vederne più per un po'».
«Bea! Guarda!» esclamò Sasha, intenta a fare un pupazzo di neve al loro fianco. Non troppo grande, non ne avrebbe avuto il tempo, ma con l'aiuto di Connie riuscì a completarlo prima di partire. Con legni e aghi di pino avevano dato un'espressione corrucciata e malvagia al pupazzo.
«È Shadis» esclamò Sasha, prima di ridacchiare. Al suo fianco Connie si mise le mani davanti alla bocca per attutire, se non l'avesse fatto sarebbe scoppiato in risate sganasciate decisamente troppo forti. Cosa che invece non fece Beatris, che scoppiò a ridere a crepapelle, attirando così sguardi e occhiatacce da parte di compagni e soprattutto istruttori. Provò a raggiungere i due, voleva dare il suo contributo, ma una mano ferrea l'afferrò e iniziò a trascinarla via.
«Mikasa!» esclamò, frustrata.
«Stiamo partendo. Non perdere tempo» l'ammonì l'amica, trascinandola via dai guai prima che avesse potuto finirci. Infatti Shadis arrivò di lì a poco e punì sia Connie che Sasha, schiacciando loro le teste nella neve.
Passarono davanti a Reiner e Bertholdt, non li considerarono, troppo impegnate a bisticciare tra loro, ma il primo dei due si ritrovò a sospirare nervosamente. Quella ragazza era un'attira guai naturale, se non ci fosse sempre stato qualcuno a badare a lei non sarebbe durata così tanto lì fuori. Gli istruttori partirono a cavallo e anticiparono il plotone lungo la strada, dopo aver dato loro mappe e istruzioni. Avrebbero dovuto cavarsela da soli su quelle montagne gelate, trovare la via, e arrivare alla base istituita prima che fosse calata la notte. Non avevano molto tempo, era già ora di pranzo quando erano arrivati, ma proprio per questo si trattava di una sfida. A peggiorare la situazione c'erano gli zaini ricolmi di attrezzature e pesi, per dare loro un grado di difficoltà adeguato.
«Cercate di non perdere il sentiero, tra non molto riprenderà a nevicare, rischiate di perdervi» suggerirono, e infine partirono, sparendo tra la vegetazione.
«Ci conviene mangiare adesso un boccone, dopo non ne avremo il tempo e dovremmo pensare solo a camminare» suggerì Armin e fu ascoltato. Era sicuramente la scelta migliore, anche perché gli istruttori avevano detto loro di aspettare di vederli sparire prima di iniziare il percorso, così sarebbero stati soli. Mangiarono, bevettero, cercarono di rifocillarsi e infine cominciarono la traversata. Restarono in gruppo, assolutamente poco propensi all'idea di separarsi, quelle erano montagne inospitali, piene di pericoli, ma soprattutto ricoperte di neve. Un'ora dopo la loro partenza, i primi fiocchi cominciarono a cadere raggiungendoli.
«Ha già iniziato» mormorò Armin. «Speravo avesse retto un pochino di più, così sarà difficile continuare a seguire il sentiero. Copriranno le tracce degli istruttori».
«Non fa niente» ansimò Beatris al suo fianco, già distrutta ma non per questo meno determinata. «Abbiamo Sasha con noi, lei è cresciuta sulle montagne. Può seguire le tracce anche con la neve, vero Sasha?»
E si voltò a guardarla, trovandola intenta a cercare qualcosa in una siepe. Ne uscì poco dopo con delle bacche tra le mani. «Guardate!» esclamò, felice. «Assaggiatene una, sono buone».
«Sasha... le tracce» mormorò Armin, affranto.
«Fidiamoci del suo intuito. Anche se distratta, immagino non voglia comunque morire qui... se costretta saprà condurci lungo la via» suggerì Reiner, passando avanti a continuando a camminare. «Non fermiamoci, comunque! Tra poco la neve si farà più fitta».
Beatris annuì, decisa, e provò a corrergli dietro per raggiungerlo. Fu un'impresa decisamente ardua, molto più di quanto si sarebbe aspettata. Reiner davanti a lei camminava spedito, nonostante l'ingombro, sembrava risentire poco del peso trasportato e delle neve che gli cadeva addosso e gli impediva il cammino, bloccandogli gli stivali. Lei invece già ansimava, era sudata fradicia, e doveva fare molta più forza con le gambe per riuscire a contrastare la neve. Ma proseguì, determinata.
«Forza, Bea» l'affiancò Eren. «Possiamo farcela, continua a camminare».
Lei annuì, strinse i denti e proseguì. Un'ora, forse due, forse addirittura tre. Ormai la neve aveva ricoperto completamente il sentiero, appesantiva i loro abiti e gli zaini con tutta la sua umidità ed era penetrata attraverso i vestiti raggelandogli i muscoli. Beatris iniziò a rallentare, sempre più stremata, restando infine in fondo al gruppo. Armin non era troppo lontano da lei, ma al suo contrario, anche se rosso in volto per la fatica, non mollava e continuava a sforzarsi più che poteva. Cercò di imitarlo e per un po' ci riuscì, quando alla fine non crollò definitivamente a terra. Il gruppo si voltò a guardarla, preoccupato, e le si avvicinarono.
«Sto bene» ansimò. «Ho solo bisogno di riprendere un attimo fiato».
«Se ti fermi raffredderai i muscoli, sarà peggio» le disse Mikasa, offrendole una mano. «Ti aiuto io, andiamo».
«Ma... vi rallenterò» mormorò lei, guardando il suo gruppo fermo ad aspettarla.
«Ci rallenterai di più se resti qui ad aspettare di congelarti».
Eppure, tra tutti, lei era stata l'unica a crollare a terra. Era frustrante, persino Armin era riuscito a tenere il passo, nonostante si equivalessero in quanto a forza e resistenza. Era così frustrante.
Era entrata in accademia con le migliori intenzioni, anche se non considerava la sua motivazione eroica e valorosa come quella di tutti gli altri, ma era comunque decisa ad arrivare in fondo, a rafforzarsi, a tenere il passo dei suoi amici, e arrivare al suo obiettivo. Aveva giurato a se stessa che avrebbe fatto di tutto per proteggere le persone, per evitare che altri fossero potuti morire a causa dei giganti. Aveva giurato che quello che era successo a loro avrebbe impedito con tutte le sue forze che succedesse di nuovo. Ma se i giganti avessero di nuovo sfondato il muro, se il colossale e il corazzato fossero tornati, lei, in quelle condizioni, cosa avrebbe potuto fare? Era ancora quella bambina che era scappata, aiutata da tutti quelli che aveva attorno, e che non era riuscita a fare niente. Non seppe nemmeno lei il perché, ma cercò lo sguardo di Reiner, in cima alla colonna. Lui era forte, lo aveva dimostrato fin dall'inizio e continuava a farlo. Niente sembrava abbatterlo, lo ammirava così tanto. Ripensò al loro allenamento intensivo di una settimana per insegnarle a restare in equilibrio. Lei si era impegnata tanto, Reiner l'aveva aiutata veramente molto, e non avrebbe mai dimenticato le sue parole. Piangere e dire di far schifo non le sarebbe servito a niente. L'importante era continuare ad avanzare, in qualunque situazione. Non avrebbe gettato al vento quegli insegnamenti tanto preziosi.
Strinse i denti, si corrucciò, e infine si rialzò.
«Ce la faccio!» disse, più a se stessa che agli altri. E riprese a camminare, sotto lo sguardo sorpreso di Mikasa, che presto tramutò in uno orgoglioso. Era la prima volta che Beatris rifiutava l'aiuto di qualcuno e provava a farcela da sola. Che quel posto la stesse realmente migliorando?
«Andiamo» incitò gli altri e a pugni e denti stretti continuò a camminare. Ogni passo era faticoso come spostare una montagna e questo la portava ad ansimare rumorosamente, gorgogliare a volte per la fatica. Ma riuscì a stare al passo, riuscì a camminare, tanto concentrata, tanto determinata, che nemmeno si accorse che Reiner le si era messo davanti abbandonando la postazione in prima linea, lasciando che fosse Jean a guidare il gruppo, così da aprirle un po' la neve davanti alle caviglie e aiutarla. Non glielo fece notare, voleva che pensasse di riuscirci da sola, perché era quello di cui aveva bisogno. Doveva farcela da sola, così da sentirsi meglio e cominciare ad avanzare.
Proseguirono per un'altra ora, arrivando infine ad accostare uno piccolo precipizio, lungo una via più stretta e difficoltosa.
«Restate vicini alle pareti» suggerì Jean, cercando di stare il più lontano possibile dallo strapiombo. Era una discesa ripida, ricoperta di neve e alberi, una vegetazione abbastanza fitta. Nonostante fosse piena di ostacoli contro cui aggrapparsi in caso di caduta, la neve rendeva tutto scivoloso e lo strapiombo era così ripido che probabilmente gli alberi sarebbero serviti a poco per salvarsi. Oltre questo, solo oscurità. Non era ancora notte, ma doveva essere circa il tramonto e le nuvole nere in cielo non aiutavano la loro visibilità. Furono costretti ad accendere delle torce per riuscire a proseguire. E avanzarono, distrutti, spostando neve che volta volta scivolava giù dal pendio al loro fianco, in fila indiana per riuscire a passare senza pericoli. O almeno, così credevano.
Armin, alle spalle di Beatris, inciampò trovando sotto ai piedi un lieve dislivello. Provò a spingersi verso la parete alla sua destra per evitare di cadere, ma il piede scivolò verso sinistra e sarebbe caduto giù, rotolando lungo la parete, se Beatris non avesse svelato di avere dei riflessi spaventosamente pronti. Il che era strano, per una come lei. Riuscì ad afferrarlo, lo tirò indietro, ma questo provocò la sua di scivolata e senza neanche che i compagni avessero tempo di riuscire a capire cosa stesse accadendo, lei era sparita nell'oscurità.
«Bea!» gridò Eren, prima di lanciarsi verso il vuoto. Piantò i piedi davanti a sé, cercò di frenare la scivolata per impedire di perdere il controllo, ma andò a ruota libera verso il primo albero che incontrò.
«Eren!» chiamò Mikasa, in preda al terrore. Reiner, poco avanti, fu il secondo a buttarsi nel vuoto e cercare di raggiungere Beatris, ovunque fosse finita. Mikasa non aspettò altro tempo e seguì i due, pronta a dare il suo contributo.
«Piantate dei paletti, cercate di fissare le corde a qualcosa!» suggerì Jean, cominciando a rovistare tra le cose del suo zaino qualcosa che avesse potuto aiutarli. Il resto del gruppo lo imitò immediatamente, e sotto le sue direttive iniziarono a montare picchetti, a legare corde, e cercare di creare un sistema di salvataggio d'emergenza.
Davanti a loro, intanto, Reiner, Mikasa e Eren erano spariti del tutto nell'oscurità della foresta, giù per la gola.
La discesa non era così lunga e ripida come poteva sembrare, senza farsi troppo male, aggrappandosi di volta in volta agli alberi, Reiner riuscì a raggiungerne il fondo dopo pochi istanti, tornando su terreno pianeggiante. L'oscurità aveva loro tratto in inganno, facendogli credere che chissà quanto fosse profondo, ma restava comunque una bella caduta, se non si fosse tenuto fermo agli alberi e non avesse fatto ben leva con le gambe, sarebbe arrivato in fondo rotolando e rischiando di colpire rocce e alberi. Cosa che sicuramente Beatris aveva fatto e per questo andava ritrovata immediatamente.
«Beatris!» provò a chiamarla. Non riusciva a vedere nemmeno più Eren né Mikasa e non sapeva se era colpa del buio o se magari loro fossero arrivati in qualche altra zona di quel bosco.
«Reiner!» qualcuno lo chiamò, sopra la gola. Riuscì a riconoscere la voce di Jean, anche se molto ovattata dal vento.
«Sto bene! Preparate la corda, io intanto la cerco» gridò verso l'alto.
«Reiner!» Eren finalmente lo raggiunse.
«Non può essere molto lontano, anche se fosse rotolata non sarebbe finita troppo più avanti di così» disse Reiner, guardandosi attorno.
«È troppo buio e lei non risponde» disse Mikasa.
«Deve aver perso i sensi. Dividiamoci, setacceremo meglio la zona» e si voltò, prendendo la direzione alle sue spalle. Camminò per qualche secondo, quando cominciò già a sentire le voci dei suoi compagni, alle sue spalle, che la chiamavano. Da sopra lo strapiombo, o Mikasa e Eren alle sue spalle, ovunque era un risuonare di voci che chiamavano Beatris. Reiner camminò in lungo e in largo, ma senza allontanarsi troppo dalla zona di caduta, trovando improbabile che fosse finita chissà dove. Eppure non riusciva a trovarla. Tornò sui suoi passi, ripercorse la solita via, avanti a indietro, puntando gli occhi a qualsiasi cosa si muovesse. Fu il caso a fargliela trovare: era finita sotto un cumulo di neve, contro un albero. Nel sbatterci contro doveva aver fatto cadere la neve dai rami e questo doveva averla seppellita in parte. Le corse incontro, si tolse rapido lo zaino dalle spalle e cominciò a scavare a mani nude per riuscire a tirarla fuori dalla neve. Si assicurò immediatamente del suo stato di salute, prima di chiamare aiuto, preoccupato che fosse ancora viva. Si avvicinò al suo volto e riuscì a sentirne il respiro. Debole, ma c'era. Scostandole il cappuccio dalla testa vide un rivolo di sangue macchiarle i capelli e cadere lungo la guancia. Aveva i vestiti zuppi, sapeva che avrebbe dovuto come prima cosa trovare il modo di scaldarla.
«Oggi non è la tua giornata, eh?» mormorò, cominciando a togliersi il giaccone di dosso per poterla avvolgere al suo interno. Si voltò poi, pronto a chiamare aiuto, ma sbiancò quando sentì il terreno tremare e nessun altro rumore se non quello di un boato.
«Una valanga! Reiner!» sentì urlare da sopra la via, ma non ebbe tempo di reagire in nessun modo. Prese Beatris, se la strinse al petto e si spinse dietro degli alberi per cercare riparo mentre l'enorme cumulo di neve cadeva nella loro direzione. Non riuscì a puntare bene i piedi, a trovare un riparo decente, o forse la slavina era stata semplicemente troppo forte. Venne travolto e trascinato via, giù, lungo la discesa della montagna. Rotolò nella neve, preoccupandosi solo di tenere Beatris stretta a sé, di non perderla. Durò pochi istanti, ma sembrò un'eternità all'interno del quale Reiner venne trascinato quasi fino a valle, chissà per quanti metri. Sentì la neve sovrastarlo, ribaltarlo, il boato rombargli nelle orecchie, il fiato mancargli. E alla fine capì che poteva esserci solo un modo per salvarsi. Pregò solo che il rumore della slavina fosse più forte... e si morse una mano.
Come gigante corazzato, riuscì a riemergere dalla neve della valanga, a contrastarla, fintanto che questa infine non cessò del tutto di cadere nella sua direzione. Dentro la propria mano, stretta al petto, nella zona più sicura, Beatris ancora non riprendeva conoscenza e lui ringraziò che il coma dentro cui sembrava essere caduta fosse così intenso. Ebbe tutto il tempo di rimproverarsi dell'imprudenza solo successivamente, ormai a mente fredda. Se Beatris si fosse svegliata in quel momento, se qualcuno dei suoi compagni l'avesse visto o sentito, come si sarebbe giustificato? In che modo sarebbe riuscito a tornare a casa vincitore? Aveva davvero messo tutto in pericolo per così poco?
Posò Beatris sulla neve non appena la valanga si fu calmata e infine uscì dalla nuca del suo gigante, lasciando che questo si dissolvesse lentamente nel vapore. Scese dal suo corpo, si avvicinò alla ragazza e se la caricò in spalla. Si preoccupò solo di allontanarsi il prima possibile, così da permettere al suo gigante di dissolversi senza che nessuno lo vedesse, senza preoccuparsi della direzione da prendere. Anche perché non era sicuro di saperlo adesso.
Poggiò Beatris a terra quando finalmente si sentì al sicuro e si preoccupò solo in quel momento di constatare la terribile situazione in cui si trovava. Erano soli nel bosco, con una bufera in corso, quasi al calar del sole e avevano perso zaini e soprattutto la direzione da seguire. Con il cielo coperto dalle nuvole non avrebbe nemmeno potuto contare sulle stelle per riuscire ad orientarsi. Per di più lei era ferita, forse anche gravemente. Non aveva molte possibilità di salvarsi, anzi forse erano rasenti allo zero, e ancora pensò a tutte le sue possibilità. L'unica soluzione che riuscì a trovare era quella di trasformarsi ancora e sfruttare le capacità del suo gigante per uscire indenne dal bosco, ma se Beatris si fosse svegliata nel mentre per il suo segreto sarebbe stata la fine. Non poteva portarsela dietro, non poteva mettere a rischio la sua missione, nemmeno per lei. Se avesse proseguito da normale essere umano sarebbero morti entrambi per il freddo, non avrebbero ritrovato la strada. Non c'era soluzione, almeno lui doveva salvarsi, ma avrebbe significato lasciare Beatris lì... a congelare. Questo per preservare il suo segreto. Per riuscire a portare a termine la sua missione. Le si avvicinò e le tolse la giacca di dosso. Avrebbe così potuto dire di non essere stato in grado di trovarla e dare la colpa alla valanga.
Si voltò, pronto ad allontanarsi, ma esitò. La testa glielo diceva chiaramente, doveva farlo, ma allora perché il suo corpo si rifiutava di muoversi? Cercò di pensare a casa sua, a Marley, al desiderio di tornarci ricoperto di onore e orgoglio, ma per qualche strano scherzo del suo subconscio tutti quei pensieri erano accompagnati dalla voce scaldante e vivace di Beatris che rideva, che lo chiamava, come uno spettro che non faceva che sussurrargli nelle orecchie, incessantemente. Chiuse gli occhi e serrò i pugni, combattuto e frustrato, cercando di focalizzarsi sul pensiero di casa sua, sulla via principale che aveva percorso anche all'andata, con i coriandoli e la folla ad acclamarlo. Ma non appena lo fece, tutto ciò che vide fu Shiganshina devastata e un sussulto terrorizzato lo colse costringendolo a tornare alla realtà. Si accorse solo in quel momento che il suo improvviso palpitio era risuonato all'unisono con la voce moribonda di Beatris, alle sue spalle, che lo aveva chiamato.
«Reiner».
Si voltò a guardarla. Era ancora stesa lì dove l'aveva lasciata, ancora moribonda, tanto che non aveva nemmeno gli occhi completamente aperti. La vide voltare la testa nella sua direzione, ma fu difficile capire se lo stesse guardando realmente o meno.
«Come sta Armin?»
Il suo primo pensiero, non appena ripresa conoscenza, era stato rivolto all'amico che aveva salvato dalla caduta. L'amico di cui aveva preso il posto, scivolando giù al posto suo. Chissà perché gli tornò in mente ancora una volta il ricordo del loro primo incontro, nella cattedrale, quando disse di non avere fame e volette lasciare tutto il pane agli altri.
«Sta bene» le rispose, sforzandosi di risultare calmo. «Sei riuscita a salvarlo».
Beatris spalancò gli occhi e per quanto fosse moribonda riuscì comunque a farli brillare di una luce tutta loro. Si distese in un luminoso sorriso e tornando a socchiudere gli occhi sospirò, felice: «Meno male».
La sentì respirare affannosamente per qualche secondo e restò lì, ad ascoltarla, immobile nella sua posizione. Avrebbe dovuto lasciarla lì, sapeva che era la scelta migliore, salvarsi col suo gigante corazzato e mantenere intatto il proprio segreto. Ma non era riuscito a farlo e ora che era sveglia sarebbe stato impossibile trovare una scusa adeguata.
«Reiner, non aspettatemi. Continuate a camminare, io vi raggiungo tra un attimo. Mi riposo solo un pochino» ansimò lei, lanciando uno sguardo a Reiner. Neanche si era accorta che erano soli, neanche si era accorta della situazione in cui si trovava, ma si preoccupò solo -ancora una volta- di salvare prima gli altri. Di pensare prima agli altri.
«Beatris» sospirò Reiner, turbato da un pensiero. Era consapevole che sarebbe morta? Perché sembrava non interessarle? «Perché ti comporti così? Perché fingi che non ti interessi nulla di te?»
«Io... non fingo» mormorò lei, corrucciata.
«Mi stai dicendo che davvero non t'importa di morire?»
Beatris tornò a riaprire gli occhi e li puntò in quelli di Reiner, a pochi passi da lei. E per la prima volta da quando la conosceva, vide sul suo volto farsi strada una gravante tristezza.
«Io... non....» mormorò, ma non riuscì a dire altro.
«Cosa credi che succederà se ti lasciamo qui e procediamo da soli? Cosa credevi sarebbe successo sacrificandoti per salvare Armin?»
«Non lo so... forse mi aspettavo che Mikasa fosse venuta a prendermi. Forse mi aspetto ancora che Mikasa venga a prendermi» si chinò, il cappuccio le coprì in parte il volto e Reiner non riuscì più a scorgerle gli occhi, ma la vide dopo pochi istanti tremare. E un singhiozzo le strozzò la voce. Stava piangendo. «Mi dispiace».
Lasciarla lì, procedere da solo, l'avrebbe salvato. Era l'unica scelta che aveva davanti. Eppure tornò indietro. Si tolse nuovamente la giacca dalle spalle e la mise addosso a Beatris, esattamente dov'era poco prima. Sospirò. «Credo che ci siamo persi. Mentre eri svenuta una valanga ci ha travolti e ci ha portati lontano dal resto del gruppo».
Ma lei non rispose e continuò a singhiozzare silenziosamente.
«Proverò a trovare un modo per uscirne, non preoccuparti» disse ancora, sedendosi al suo fianco.
«Sei stato travolto per venire a cercare me?» biascicò Beatris, cercando di non far risuonare troppo il suo pianto che aveva tutta l'intenzione di tenere nascosto il più possibile.
«Saremmo stati travolti comunque» mormorò Reiner, sovrappensiero.
«Sei di nuovo finito nei guai a causa mia».
«È stata una mia scelta».
«Lo so» rispose repentina, prima di aggiungere: «Se sopravviveremo, penso che domani me ne andrò».
«Mh?» si corrucciò Reiner.
«Sono mesi che provo invano a dare un senso a tutto quanto. Sono arrivata ultima in un sacco di esami, ho superato quello del movimento tridimensionale per un pelo e solo grazie al tuo aiuto, e in più non faccio che causare problemi a te o a Mikasa. Credo di aver fatto un errore ad iscrivermi. Ora ti ho persino messo in pericolo... ho decisamente superato il limite».
«Adesso poteva esserci Armin al tuo posto, ma tu lo hai impedito. Hai fatto un buon lavoro, non autocommiserarti».
«E a cosa è servito? Tu sei qui, hai rischiato la vita. Non era ciò che volevo» singhiozzò.
«Volevi morire?» chiese Reiner, distrattamente.
«Io... volevo solo proteggere le persone» rispose debolmente Beatris, come se lei stessa non ne fosse totalmente convinta. «Mi sono iscritta pensando che sarei stata in grado di imparare a proteggere qualcuno... almeno una volta. Ma sono sempre io quella che deve essere protetta. Non funziona» pianse più rumorosamente. «Non funziona mai niente di quello che vorrei fare».
«Provare a proteggere le persone è un'ottima motivazione, perché non provi a crederci di più? Armin sei riuscita a proteggerlo».
«Non sono abbastanza forte...»
«Puoi diventarlo, io l'ho visto. Se ti impegni in qualcosa sei in grado di migliorare molto rapidamente» si voltò a guardarla, anche se non riusciva a scorgere il suo volto sotto al cappuccio. «Posso aiutarti».
Beatris parve immobilizzarsi e per un attimo Reiner si chiese se non fosse svenuta di nuovo. Ma poi la vide poggiare una mano a terra, alzarsi su di un gomito e puntare lo sguardo a lui. Forse a causa delle lacrime che le inumidivano gli occhi, ma ebbe come l'impressione che fosse più luminosa che mai.
«Dici sul serio?» chiese, speranzosa.
Diventare il gigante corazzato, lasciarla lì e proseguire da solo era sicuramente la via che gli avrebbe permesso di sopravvivere. Era la scelta migliore. Eppure in quel momento sorrise, sincero. «Certo. Ti aiuterò io, te lo prometto».
La prima volta era stata lei a chiederglielo esplicitamente e aveva accettato un po' forzatamente. Si era convinto che lo avesse fatto solo per mostrarsi amichevole, per ingannare il nemico e fingersi come loro, ma se il suo intento era solo quello di sembrare gentile... perché quella volta era stato lui a proporglielo? Perché aveva quasi sentito il desiderio di farlo davvero? Quella settimana che avevano passato ad esercitarsi insieme era assurdamente tra i ricordi più dolci che aveva conservato, in mezzo a tutti quelli di una vita intera. Si sentì come se avesse finalmente avuto un'occasione, una scusa, per replicare senza sentirsi sciocco e potersi aggrappare a qualche altra motivazione. Non lo faceva per sé, era questo che voleva pensare, lo faceva solo per finta gentilezza. Quei sentimenti che stava provando non potevano essere reali. Convincersi di questo, lo aiutò ad accettarli.
Aspettarono pochi minuti, il tempo necessario a permettere di Beatris di riprendersi un po'. Non appena fu in grado di muoversi, Reiner la fece salire sulle sue spalle. Nella caduta aveva preso una brutta storta alla caviglia, riuscire a muoversi da sola era praticamente impossibile. Non fece in realtà troppa fatica, Beatris non era poi più pesante che lo zaino che gli istruttori l'avevano costretto a portarsi in spalla. Inoltre, in quel modo, il suo giaccone poteva coprire sia lei che lui stesso, evitando entrambi di finire in ipotermia. Non fu facile ritrovare la strada, dovettero vagare per ore, ma stranamente fu molto meno faticoso del percorso fatto fino a quel momento insieme al resto del gruppo. Ormai Beatris era bella sveglia, anche se non riusciva a muoversi a causa della caviglia, ma era di ottima compagnia. Superato il momento depressione, per aver tirato Reiner di nuovo nei guai, era tornata la solita solare, allegra Beatris. Appesa la suo collo, non aveva fatto che parlargli vicino all'orecchio, tenergli compagnia e ogni tanto era persino riuscita a strappargli una risata. Scherzando su Connie e Sasha, su Shadis, o raccontandogli qualche bizzarra avventura della sua infanzia, non era stata zitta nemmeno per un istante ma Reiner sentì suo malgrado che era proprio quello di cui aveva avuto bisogno. Sì, decisamente trasformarsi in gigante l'avrebbe aiutato a salvarsi più facilmente, ma che cosa avrebbe lasciato dietro di sé? Sarebbe davvero riuscito a dormire ancora, senza il suono della voce di Beatris nei suoi ricordi che cantava quella splendida canzone a sua sorella?


NDA.

Quanti traumi si è risparmiata Beatris, restando svenuta durante la slavina, secondo voi? xD Non ho molto da dire in queste NDA, anche perché qui ci sono stati dei primissimi elementi particolarmente importanti e non voglio spoilerarvi niente. Perciò vi lascio qui, con semplicemente la canzone del giorno :P
Può sembrare banale ma in realtà nasconde molte cose, a me ha fatto emozionare molto pensare a Bea in queste parole (capirete meglio più avanti, probabilmente, sempre se non avete già intuito qualcosa). È tutta di Bea, come ho detto, ma la parte del "you're not alone in all this" mi immagino sia di Reiner che quasi si intromette nei suoi pensieri per ripeterglielo.

Come sempre enjoy e alla prossima :3

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora