Capitolo 59

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«Floch!» la voce di Armin riuscì a sovrastare persino il rumore del mare. «Dove sei?!»
Lo jaegerista sul tetto si voltò nella sua direzione, allarmato, e fece un passo indietro, per andare a vedere meglio cosa stesse succedendo dall'altro lato rispetto al vicolo che teneva d'occhio. Beatris si sporse da dietro al muretto su cui era nascosta e approfittò per sgattaiolare fuori. Fece scattare il proprio meccanismo e velocemente superò quel tratto, infilandosi dietro due colonne, più avanti. Si aggrappò a un balcone, salì e restando appesa fece sporgere la testa oltre, cercando la porta finestra. Oltre le tende vide altri jaegeristi, ma nessun accenno degli Azumabito. Proseguì, infilandosi dietro dei container e si nascose alla vista di un altro gruppo di jaegeristi che setacciavano quella zona.
«Il gigante soma si trova con il corazzato! Stanno andando a nuoto verso il continente, dobbiamo preparare gli idrovolanti per raggiungerli!» sentì Armi urlare ancora, nel pieno della sua recita. Beatris aggirò il container, restò nascosta dietro alcuni teli e infine arrivò a un'altra strettoia tra gli edifici. Si aggrappò ai tetti, e volò verso l'altro, setacciando ogni finestra che incontrava.
"Potrebbero averli portati nel seminterrato" pensò, preoccupata. Ormai era quasi in fondo alla colonna di edifici e ancora non era riuscita a trovare niente. Vide in quel momento sopra il suo tetto uno degli jaegeristi che non aveva notato prima. Allarmata, scattò rapida verso un balcone e si nascose sotto al portico proprio nell'istante in cui il nemico si voltò nella sua direzione e provò ad affacciarsi, preoccupato.
«Che c'è?» sentì chiedere da qualcuno, sopra la sua testa.
«Mi era sembrato di sentire qualcosa... vado a controllare».
"Merda" si voltò verso la porta finestra che aveva alle spalle, lievemente socchiusa. E non esitò ad entrare dentro, per nascondersi all'interno dell'edificio.
«Ehy» sentì dire al suo fianco proprio in quel momento e presa dall'allarme reagì istintivamente. Serrò le mani sui manici della propria attrezzatura e usò questi per colpire al suo fianco, indiscriminatamente. L'uomo venne colpito alla tempia e senza aver tempo né di reagire né di urlare, cadde a terra, privo di sensi, forse addirittura morto. Beatris si piegò su di lui, lanciando uno sguardo allarmato alla porta finestra, e velocemente lo spinse contro il muro, nascondendolo a chiunque fosse passato di fronte a quel balcone. Si schiacciò a sua volta contro il muro e lanciò uno sguardo fuori, guardando lo jaegerista che era sul tetto passare davanti a questo proprio in quel momento, ma procedere oltre. Sentì ancora Armin urlare dal porto, ma ora, dalla sua posizione, faticò a capire cosa stesse accadendo. Corse vicino alla porta che portava al corridoio e ci appoggiò un orecchio contro: pareva che dall'altro lato fosse silenzioso. Controllò dal buco della serratura. Niente. Poggiò la mano sulla maniglia e lentamente l'aprì, sbirciando all'esterno. E trovò l'ennesimo uomo appoggiato lì, al muro, proprio di fianco a lei. Questo le rivolse uno sguardo allarmato, ma come il primo, non ebbe neanche il tempo di capire che stesse accadendo che era a terra, colpito violentemente alla testa. Beatris lo afferrò e lo trascinò nella stanza, nascondendo anche lui, poi tornò a guardare fuori dalla porta, nel corridoio. Sembrava libero. Corse ancora, fino alla seconda porta semi-aperta. Ci sbirciò dentro e contò altri tre jaegeristi all'interno, concentrati a guardare cosa stesse accadendo fuori dalla finestra.
"Quanti diamine sono?" rifletté contrariata e riprese a correre nel corridoio, proseguendo. "Sto andando alla cieca, non c'è modo di riuscire a trovarli. E il tempo stringe".
Sentì dei passi provenire da un corridoio perpendicolare e prima che potesse veder arrivare altre persone si infilò in un'altra porta, alla sua sinistra, senza prendere alcuna precauzione. Come per i luoghi precedenti, anche quella era tenuta sotto controllo, e i due jaegeristi vicino alle finestre scattarono allarmati nel vederla. Non diede loro tempo di intervenire. Fece scattare i rampini del proprio meccanismo e li centrò entrambi in piena testa, perforandogliela. Ma i loro lamenti, l'accenno di urlo allarmato, e il peso dei loro corpi che caddero a terra fecero fin troppo rumore. Qualcuno aprì la porta alle sue spalle.
«Che succede?!» gridò, ma furono quelle le sue ultime parole. Si trovò di fronte Beatris, ora armata, che gli conficcò la lama della sua attrezzatura dritta in gola. Lo spinse a terra, in mezzo al corridoio, e lo seguì uscendo così dalla stanza. Un colpo netto a sinistra, con la lama libera, e tagliò la gola al secondo mentre con un calcio colpiva il terzo alla sua destra. Questo cadde a terra, ma si rialzò immediatamente su di un gomito.
«Intrus-» provò a gridare ma il rampino di Beatris lo colpì in volto prima che riuscisse a terminare. Abbastanza da zittirlo, non così tanto da evitare di fare altro rumore. Almeno due porte si aprirono in quel momento, in quello stesso corridoio, e sentì altri passi correre verso di lei dall'incrocio che aveva visto poco prima. Lasciò lì i cadaveri e corse dentro una porta di fronte, consapevole che ormai la sua presenza era stata individuata. Si trovò un uomo di fronte, sempre vicino alla finestra, che non appena la vide alzò su di lei il fucile. Sparò un colpo, ma Beatris si arpionò al soffitto e riuscì a sollevarsi in tempo per schivarlo. Diede gas, si lanciò contro di lui e lo colpì con un calcio, lanciandolo contro la finestra. Il vetro si sfondò, l'uomo cadde fuori, proprio in mezzo al porto, a pochi metri da dove si trovavano Armin e Connie. Beatris saltò fuori da quella stessa finestra un istante prima che una pioggia di proiettili le cadesse addosso. Oscillò bassa, sotto al davanzale, sotto lo sguardo terrorizzato e allarmato di Armin e Connie. Una decina di uomini si affacciarono dal tetto, puntando a lei i propri fucili, e fecero fuoco. Ma nel suo volo Beatris riuscì infine a intercettare Floch, affacciato da una finestra. Incrociò il suo sguardo e lo vide corrucciarsi, furioso, un attimo prima di voltarsi verso l'interno della stanza, forse per allontanarsi. Beatris puntò agli uomini sul tetto la pistola col razzo di segnalazione e gli sparò addosso un fumogeno rosso. Questo riuscì a distrarne, coprire la visuale, almeno a quattro di questi, ma servì soprattutto a dare il segnale: copertura saltata, era il momento di passare al piano B. Dovevano combattere, adesso. Nello stesso slancio si lanciò infine contro la finestra di Floch, prima che potesse essere colpita dai fucili dei nemici, ed entrò. Con le gambe tese di fronte a sé riuscì a colpire Floch, lanciandolo a terra. La pistola che aveva in mano gli saltò via. Un rapido sguardo all'interno della stanza e finalmente li vide: gli Azumabito erano lì, insieme ad almeno cinque jaegeristi. Due di questi afferrarono un paio di uomini degli Azumabito, puntando le pistole alla loro testa per minacciarli. E Beatris fece altrettanto, putando la sua lama alla nuca di Floch, steso sotto di lei, ancora schiacciato dal suo peso.
«Vogliamo vedere chi di noi avrà la perdita più ingente?!» li provocò. «Credete che me ne freghi qualcosa di quei nemici di Marley?» e con un cenno del capo indicò rapidamente la fascia di Reiner, sul suo bicipite sinistro.
«Che cosa vuoi?!» le ruggì Floch ma parte del suo urlo venne sovrastato dal boato proveniente dal porto. Giganti si erano appena trasformati, almeno due. Forse proprio il gigante carro e il corazzato, gli unici che sapevano trovarsi ancora sull'isola. E questo confermò la sua recita: lei stava con Marley.
«Con il potere di Reiner e Pieck posso raggiungere il continente anche a nuoto, questi idrovolanti e i vostri ingegneri non ci servono, ma ci sarebbero solo d'impiccio. Vi impediremo di raggiungerci e permetteremo alla madre patria di uccidere Eren in santa pace, senza avervi tra le palle».
«Proteggete gli Azumabito e gli idrovolanti!» gridò Floch alla sua squadra, mentre il rumore della battaglia tra giganti e jaegeristi nel porto cominciava a rimbombare.
«Fate solo un movimento e il vostro stupido capobanda perderà la vita!» gridò Beatris, premendo la lama contro la nuca di Floch. E ghignò, lanciando un macabro sguardo a Floch, sotto di sé. «Sai, Floch... è dai tempi della nostra fuga da Liberio col dirigibile che desiderio piantarti questo coltello nella schiena».
«Sei una sporca traditrice!» le gridò contro Floch, furioso, e lei rispose con freddezza: «Sì, lo sono».
La finestra alle sue spalle si sfondò in quel momento e Mikasa piombò nella stanza, colpendo con un calcio il primo dei due uomini che tenevano uno degli Azumabito in ostaggio. Fu talmente violento da sfondargli la mascella. Beatris reagì simultaneamente. Saltò via da Floch e si lanciò sulla pistola che gli era saltata via dalle mani poco prima. L'afferrò, si voltò e sparò al secondo uomo che teneva l'altro ostaggio. Uccidendolo. Volando a una velocità spaventosa nella stanza, Mikasa colpì anche il resto degli jaegeristi in una frazione di secondo.
Beatris tornò a voltarsi verso Floch, che ora aveva lasciato libero, e lo vide in quel momento volare fuori dalla finestra sfondata usando il proprio sistema di movimento tridimensionale. Provò a puntargli la pistola contro, a sparare un colpo, ma lo mancò e Floch riuscì a volare via.
«Mikasa! Nel seminterrato! Spareranno lance fulmine dalle finestre!» gridò Beatris correndo verso la finestra, pronta a lanciarsi all'inseguimento.
«Bea!» gridò Mikasa, preoccupata nel vederla volare dritto in mezzo al fuoco, ma non fece in tempo nemmeno a fare un passo verso di lei. «Andiamo signora Kyomi, fuori di qua» disse alla donna a capo degli Azumabito, correndo verso la porta, pronta a scortarli. Fuori da lì, al piano di sotto, trovò Jean, Hanji e Magath pronti a scortarli, dopo essersi aperti la strada nei corridoi.
«Nel seminterrato!» gridò Mikasa, raggiungendoli.
«Ricevuto!»
Beatris nel frattempo si lanciò fuori dalla finestra, ma volò lungo il muro per raggiungere il tetto. Si voltò e puntò in direzione della traiettoria di chi si trovava sopra questo, impegnato a sparare a Annie e Reiner, trasformati in giganti. Estrasse nuovamente il razzo di segnalazione e lo sparò proprio davanti alle loro facce, oscurandogli così la vista per qualche secondo. Il tempo necessario per sbucare dal fumo all'improvviso, senza essere vista, e riuscire a ucciderne due. Il resto del gruppo si voltò subito verso di lei, puntando con i propri fucili, ma Beatris diede gas e usò i rampini ancora aggrappati al muro sotto di sé per darsi un contraccolpo all'indietro e volare di nuovo attraverso il fumo rosso, sparendo alla loro vista. Si voltò e guardò i due giganti che combattevano selvaggiamente contro uno sciame di nemici. Si staccò dal muro, si aggrappò alla gamba di Annie che in quel momento di mosse in un calcio e si lasciò trascinare per acquistare velocità. Si lanciò contro un altro jaegerista, che aveva impugnato la propria lancia fulmine ed era pronto a colpire Annie. Arrivò più rapidamente del previsto, tagliando l'aria con la propria lama riuscì a ferirlo abbastanza profondamente da fargli perdere contatto con il proprio braccio armato e sparare ai piedi di Annie, senza colpirla. Beatris tornò a voltarsi e si aggrappò al braccio di Annie, tirato indietro nello slancio del calcio. Riuscì a farsi tirare via così abbastanza velocemente da schivare altri colpi di proiettile, non restando mai in traiettoria.
«Fai attenzione a quelle!» gridò ondeggiando sotto la spalla di Annie e volando alle sue spalle, talmente in alto da riuscire a raggiungere il suo volto. «Sono pericolose per voi!» Annie le rivolse un'occhiata, semplice, ma fu abbastanza da comunicarle che aveva capito. Beatris tornò a voltarsi e si aggrappò questa volta a Reiner, sfruttando la stessa tecnica, usando i movimenti dei giganti per accelerare. E volò intorno a loro, uccidendo nemici, spargendo sangue e tirandosi indietro in tempo per evitare di essere colpita. Volò aggrappata alla spalla di Reiner, intercettò l'ennesimo nemico, e riuscì ad abbatterlo. Ma una squadra di tre di questi le comparvero alle spalle, disposti a rinunciare alla preda più grossa per eliminare lei. Li guardò, pallida, sapendo di non avere tempo di schivarli.
«Reiner!» gridò e nell'istante in cui vide i tre lanciare verso di lei la propria lancia fulmine, il braccio di Reiner si frappose tra loro, prendendosi il colpo al posto suo. Beatris si voltò, approfittando della copertura del braccio di Reiner, e invece che scappare si aggrappò al suo bicipite. Si tirò verso la sua schiena a gran velocità, restando coperta dall'arto del gigante, e si nascose alle sue spalle. Vide un uomo puntare alla nuca di Reiner, approfittando della sua distrazione per proteggere Beatris, ma lei lanciò il proprio rampino proprio verso di lui, trafiggendolo. Tirò, riavvolse il cavo, e mentre questo cadeva morto riuscì a raggiungerlo. Afferrò i suoi polsi, prendendolo da dietro, e usò la sua attrezzatura per continuare a volare alle spalle di Reiner. Sbucò nuovamente nella parte frontale, dove aveva lasciato i tre che avevano provato a colpirla, sbucando direttamente da dietro la sua spalla con il corpo dello jaegerista a farle da scudo, intenta a usare la sua attrezzatura invece che la propria. Mirò ai tre, tirò indietro il braccio dell'uomo ucciso ancora armato della lancia fulmine, e la sparò verso questi. Ne uccise uno, gli altri due vennero feriti dall'esplosione e li vide volare via, incontrollati, fino a raggiungere terra. Lasciò andare il cadavere, spingendolo via, e saltò infine sulla spalla di Reiner.
«Scusa per il braccio» ansimò, stanca. Si inginocchiò, tenendosi aggrappata a lui e approfittò per riprendere un po' di fiato. Ma vide in quel momento altri due jaegeristi volare alle spalle di Reiner, pronti a colpirlo.
«Voltati!» gli gridò, indicandogli così la posizione del nemico. Reiner riuscì a girarsi in tempo per colpirli con un braccio e scacciarli via, prima che avessero potuto sparare. Beatris saltò giù dalla spalla di Reiner e si lanciò su uno di questi, che aveva schivato il pugno di Reiner. Usò nuovamente il braccio del gigante come appiglio e si lanciò verso questo, volandogli dal basso.
«Che cazzo!» ruggì, un istante prima di ucciderlo tagliandogli il petto. «Mi lasciate prendere almeno un po' il fiato?!»
«Bea!» una voce attirò la sua attenzione e Beatris volò nuovamente sulla spalla di Reiner, per voltarsi a guardare chi l'avesse chiamata. Mikasa uccise almeno due jaegeristi, mentre volava verso Annie. «Cambio di programma!» le urlò. «Ce ne andiamo in nave, prepariamo l'idrovolante dal continente! Copri la fuga degli Azumabito!»
«Ricevuto!» rispose Beatris, saltando via dalla spalla di Reiner dopo il suo ennesimo movimento brusco per colpire altri nemici. Cercò di guardarsi attorno, valutare la situazione, trovare il modo migliore per riuscire a neutralizzare quanti più nemici possibili e proteggere il gruppo che sarebbe corso verso la nave in quel momento. Ma non appena voltò lo sguardo vide Floch volarle addosso, ruggendo come un animale. La intercettò l'afferrò, e la spinse verso terra.
«Avrei dovuto lanciarti giù da quel dirigibile insieme ai mocciosi!» gridò, puntandole la pistola della sua attrezzatura alla testa, pronto a sparare. Ma Annie lanciò in quel momento un grido assordante, uno dei suoi urli per attirare i giganti che aveva ancora usato all'interno della foresta, anni prima. Non ottenne alcun risultato, nei paraggi non c'erano giganti da usare, ma questo bastò a distrarre Floch, che la guardò improvvisamente terrorizzato. E Beatris lo colpì in pieno sul naso con una testata. Raggiunsero il suolo, vi si schiantarono entrambi e non restarono completamente indenni all'impatto. Con un lamento, Beatris poggiò le mani doloranti a terra e tentò di rialzarsi. Sentì movimento al suo fianco e riuscì ad alzare lo sguardo in tempo per vedere Floch di nuovo in piedi, puntare di nuovo la pistola a lei. Ebbe solo il tempo di prendere la mira che il piede di Annie cadde verso di loro, in un tentativo di calpestarlo. Lo mancò, troppo impegnata a proteggersi dall'attacco nemico, ma l'impatto avvenne comunque molto vicino a Floch e lo lanciò via, facendolo cadere in mare. Beatris alzò lo sguardo sorpreso al volto di Annie e riuscì a intercettare il suo sguardo, un istante prima che riprendesse a combattere per i fatti suoi. Le aveva appena salvato la vita. Annie l'aveva sempre detestata, e nonostante le cose fossero cambiate con gli anni, aveva comunque mantenuto in lei quel disprezzo verso quello che aveva sempre considerato un peso morto. Un inutile ragazzetta. Ma in quel momento aveva rischiato di esporsi, per salvarla.
Avrebbe dovuto ringraziarla appena ne avesse avuto il tempo, se lo appuntò mentalmente.
«Reiner!» sentì gridare Magath, ora fuori dall'edificio, intento a scortare gli Azumabito fino alla nave. Reiner si lanciò su di loro e li coprì con il proprio corpo, mentre un numero abbastanza consistente di lance fulmine lo colpirono da più parti. Beatris si alzò da terra e cominciò a correre verso il gruppo, piegandosi a metà strada solo per raccogliere un fucile caduto a uno degli jaegeristi morti.
«Andate! Alla nave!» gridò, raggiungendoli. Si fermò di fianco a Magath, si voltò verso il gruppo di jaegeristi, e sparò un paio di colpi nella loro direzione. Li mancò, troppo veloci e imprevedibili nel loro movimento, ma concesse un'apertura al gruppo scortato da Magath e permise loro di raggiungere la nave. Si nascose dietro Reiner, piegato a terra con il corpo quasi del tutto dilaniato, ma ancora ostinato a proteggerli. E sparò ancora contro gli jaegeristi che vedeva intenzionati a puntare agli Azumabito. Riuscì a colpirne un paio, e il gruppo corse lungo la battigia, allontanandosi da loro. Restarono scoperti solo per qualche metro, ormai vicini alla nave, ma gli jaegeristi si accanirono su di loro e tentarono di colpirli ancora sparando lance fulmine. Annie si mise in mezzo, facendosi saltare un braccio, riuscendo a proteggerli. E, anche così colpita, tornò a caricare.
Reiner si alzò in piedi e Beatris, ormai scoperta, si agganciò di nuovo a lui per riuscire a sfruttarlo nei movimenti e nella copertura.
«Colpisci all'indietro!» gridò a Reiner, che adesso aveva iniziato a correre verso Annie per darle supporto nella copertura. Reiner non si chiese nemmeno il motivo, obbedì, cercando di muovere come poteva il braccio. Non fu molto, era talmente ferito che il suo corpo non reagiva a dovere nei comandi, e non riuscì assolutamente a raggiungere il gruppo di jaegeristi alle sue spalle. Ma Beatris sfruttò il suo slancio per arrivare in mezzo a loro. Colpì il primo con il retro del fucile che si era portata dietro, puntò a un secondo, al suo fianco, e sparò un colpo. Lo centrò in testa, ma l'aver usato una banale arma da fuoco mentre usava l'attrezzatura la sbilanciò spaventosamente all'indietro nel rinculo. Perse stabilità, volteggiò all'indietro priva di controllo, e finì addosso un altro jaegerista, trascinandolo con sé nel suo vorticare impazzita. Questo l'afferrò per il collo, ignorando il dove si trovassero e dove fossero diretti, e si preparò a puntarle la pistola alla tempia. Beatris reagì istintivamente, si portò il fucile alle spalle e sparò un colpo. All'uomo saltò parte del viso e lei restò assordata, oltre che incontrollata, per il boato dello sparo. Non capì cosa stesse succedendo, ormai completamente disorientata, ma quando riuscì a tornare in sé si trovò chiusa all'interno del pugno di Reiner. Si sentì trascinare alle sue spalle, venne nascosta dietro la sua schiena, ma un attimo prima di sparire tra lui e Annie vide un altro gruppo di nemici sparare lance fulmine contro il suo viso. Capì solo successivamente che si era messo in mezzo di proposito, proteggendo Annie da quel colpo che era destinato a lei, usando la sua corazza che gli permetteva di resistere maggiormente a quei colpi. Ma nonostante questo, la sua faccia venne completamente squarciata e aperta e poco dopo le dita di Reiner persero presa su Beatris. Lei cadde verso terra, guardando Reiner accasciarsi in ginocchio, ma non la raggiunse. Annie si sporse verso il basso, la prese al volo e infine la lanciò delicatamente alle loro spalle, a un passo da terra. Rotolò lontano dai due, senza farsi male, e quando sollevò di nuovo lo sguardo vide entrambi presi d'assedio da una serie infiniti di colpi che tentavano di bloccare con i propri corpi, per proteggere lei, gli Azumabito alle loro spalle e la nave.
«Reiner!» gridò, spaventata nel vederlo sempre più debole, sempre meno stabile sulle sue gambe. Ma il terrore aumentò quando si accorse che riuscì a sentire la sua stessa voce solo dall'orecchio sinistro. Si portò istintivamente una mano al destro, toccandolo, e si accorse di essere bagnata. Quando si guardò le dita scoprì essere sangue. Perdeva sangue dall'orecchio... il suo timpano quanto era stato danneggiato dallo scoppio dello sparo di quel fucile? Si guardò le dita impregnate di sangue con terrore, ma alzò subito gli occhi alla battaglia, decisa a non pensarci in quel momento. Reiner era in ginocchio, immobile, e Annie di fianco a lui addirittura senza più la testa. E gli jaegeristi non si fermavano ancora. Si alzò da terra e corse verso di loro, impugnando la propria attrezzatura. Fece scattare il rampino, si aggrappò alla spalla di Reiner e diede gas, cercando di superarlo. Raggiunse con un urlo rabbioso il gruppo di jaegeristi e si lanciò contro il primo, che già era pronto a rispondere al fuoco. Ma venne ucciso prima di sparare, non da lei.
«Connie!» esclamò, sorpresa di vederlo volare davanti a lei. Connie le lanciò uno sguardo, prima di virare e tornare a colpire e ucciderne altri. Era stato un sottile messaggio: lei non sarebbe più stata l'unica a sporcarsi le mani. Lo aveva compreso, lo aveva accettato ed era pronto a combattere. Beatris si voltò verso altri dei loro nemici, e volò in mezzo a loro, dilaniando e tagliando. Non sentì arrivare uno di questi dalla sua destra, assordata da quel lato, e lo vide solo troppo tardi tentare di mettersi in traiettoria per colpirla in pieno. Un colpo di fucile, all'uomo saltò la testa, centrato in un occhio da un proiettile. Beatris si voltò, cercando di capire cosa fosse successo, e vide in quel momento Jean appostato sul tetto al suo fianco, nascosto parzialmente dietro un comignolo, con un fucile tra le mani. Anche lui, alla fine, era riuscito a premere quel grilletto. E l'aveva salvata. Su quello stesso tetto vide almeno cinque degli jaegeristi morire, colpiti in un vortice di lame da Mikasa e Hanji. Non restò a guardarle, tornò a prendere parte alla battaglia, che adesso affrontavano tutti insieme. Insieme a Connie, Mikasa e Hanji uccisero con le lame chi intercettavano, mentre Jean, sul tetto, copriva loro le spalle con il fucile. Si lanciò contro l'ennesimo nemico, gli tagliò la gola ma nello stesso istante Mikasa, alle spalle di questo, gli recise la nuca e l'uomo perse completamente la testa. Cadde, permettendo alle due di intercettarsi, e Mikasa le allungò una mano. Beatris l'afferrò, diede gas per spingersi verso di lei, e Mikasa voltandosi la lanciò infine contro un gruppo di tre uomini alle sue spalle. Urlò, carica, mentre li raggiungeva a una velocità decisamente troppo spedita per essere fermata prima, e con un solo colpo orizzontale riuscì a uccidere tutti e tre nella sua spinta in avanti. Si voltò, bloccò il suo volo aggrappandosi a un muro, e si lasciò cadere verso terra. Un colpo di gas, dondolò come fosse su un'altalena e questo le permise di raggiungere un'altezza decisamente superiore al resto degli uomini. Si guardò attorno rapidamente nell'istante in cui raggiunse il punto più alto, riuscendo a dare uno sguardo generale a tutto il porto.
«Ne arrivano altri!» gridò, mentre scendeva. «Il gigante carro li sta combattendo, ma è in difficoltà!» ma le sue ultime parole vennero sovrastate da un altro boato più potente degli altri, seguito da un enorme lampo di luce. Lo conosceva fin troppo bene: quella era una trasformazione in gigante di qualcuno. Ma chi? Si voltò a guardare, spaventata, e vide dalla battigia un nuovo gigante, simile a una bestia, con zampe da rapace, arrampicarsi sui tetti. Furioso, vorace, riuscì a ucciderne almeno una decina solo con quella mossa. Ma non si fermò e si lanciò temerario verso un altro gruppo, distruggendoli. Beatris si aggrappò al tetto a fianco e si allontanò rapidamente dal campo di battaglia. Riuscì a raggiungere Jean vicino al suo comignolo.
«Ma quello...» mormorò, confusa, guardando il gigante che da solo riusciva a fare una strage.
«È Falco!» le disse Jean, dando così conferma ai suoi sospetti. «Gli avevamo detto di scappare, ma ha voluto a tutti i costi prendere parte alla battaglia!»
«Approfittiamone! Sono confusi, possiamo farcela!» disse Mikasa, lanciandosi in direzione di Falco e di chi restava intorno a lui. Non esitarono, ascoltarono il suo suggerimento, e tornarono a combattere, facilitati questa volta dalla presenza furiosa di Falco che faceva gran parte del lavoro. Un urlo rabbioso attirò l'attenzione di Beatris e alzò gli occhi appena in tempo per vedere Floch, ancora vivo, saltare giù dal tetto e lanciarsi verso la nave con la lacia fulmine pronta a sparare.
«Lurido...» gridò, piantando i piedi a terra e correndo nella sua direzione per raggiungerlo. Non aveva appigli, non aveva a cosa aggrapparsi per riuscire a raggiungerlo prima che avesse sparato, se non i corpi di Reiner e Annie ancora immobilizzati di fronte a lei. Saltò, si aggrappò a Reiner e diede quanto più gas possibile, aumentando al massimo la pressione. Floch era alto, ed era lontano, ma riuscì a ondeggiare sotto il braccio di Reiner usando lo slancio del salto e la potenza del gas. E lei sapeva che tra tutti i suoi compagni era l'unica che riuscisse a raggiungere quote così elevate. Ringhiò, urlò, e si distese per aumentare l'aerodinamicità. Piombò su Floch a gambe tese, colpendolo alla schiena, riuscendo a fermare il suo colpo e spintonarlo da un lato. Ma non si limitò a questo. Lei non era lì per bloccare i nemici, lei era pronta a sporcarsi le mani. E il sangue di Floch sarebbe stato quello che avrebbe visto scorrere più volentieri, tra tutti quelli uccisi fino a quel momento.
Siamo in guerra! Bambini, donne, o soldati non fa alcuna differenza! Sono tutti nemici e vanno eliminati!
Quei discorsi senza logica, pieni di odio, senza alcun tipo di compassione, erano gli stessi che faceva Eren. E a lei dava il voltastomaco. Nello slancio, impugnò la propria lama saldamente e la fece scendere su di lui, di punta, come una coltellata... dritta alle spalle. Era sempre stato quello il suo timore, che Beatris prima o poi avesse potuto pugnalarli alle spalle, e ironicamente era ciò che era appena successo. Gli perforò la spalla, facendo uscire la lama dall'altro lato, e ascoltò le sue grida piene di dolore senza sentire, per la prima volta, l'angoscia attanagliarle il cuore. Aveva avuto ragione, su quel dirigibile: era la prima volta che una morte le dava così tanta soddisfazione. Floch, per anni, non aveva fatto altro che accusare Armin di essere ancora vivo al posto di Erwin, non aveva fatto altro che attaccarlo e denigrarlo. Lo sapeva, anche se era in cella, le veniva raccontato ogni cosa. E aveva visto la tristezza sul volto di Armin nell'ammettere che avesse ragione. Non ce l'aveva, non ce l'aveva mai avuta, e quello era bastato per far nascere in lei la sua antipatia, che era tramutata in puro odio su quel dirigibile. Quando per colpa del suo insensato entusiasmo per aver ucciso civili innocenti a Marley, aveva coperto il rumore di Gabi che si era arrampicata, aveva impedito loro di intervenire per tempo prima che Sasha venisse sparata. Quando di fronte alla morte della compagna la sua unica preoccupazione era stata quella di uccidere ancora, scaricando il suo odio su dei semplici ragazzini vittime della sua stessa guerra. Quando gli aveva fatto quell'assurdo e vomitevole discorso privo di compassione, nell'affermare che tutti meritavano di morire, anche gli innocenti, solo perché nati nel capo del mondo sbagliato. Non aveva mai avuto intenzione di ucciderlo, si era limitata a disprezzarlo, ma di fronte all'occasione non si era comunque tirata indietro. E il sangue con cui la sua lama e i suoi vestiti si macchiarono restò a guardarlo scorrere, senza provare alcun tipo di rimorso.
«Avevi ragione, Floch» gli disse, cominciando a cadere verso il mare insieme a lui. «Avresti dovuto lanciarmi giù da quel dirigibile insieme ai ragazzini».
Lo spinse via con un piede, estraendo la sua lama dal corpo ormai immobile del ragazzo, e lasciò che cadesse in mare. Si voltò a mezz'aria e diede gas, per cercare di tornare alla terra ferma, ma la potenza che riuscì a dare al getto fu molto minore rispetto al previsto. E solo allora si ricordò di lanciare uno sguardo al suo livello di gas, sugli indicatori: quasi esaurito. Ancora una volta, nel suo lanciarsi a piena potenza ovunque senza controllo, aveva finito col sprecare troppo gas. Cercò di usare il residuo per riavvolgere il cavo, avvicinarsi alla terra ferma mentre continuava a cadere verso il mare, ma non fu abbastanza per raggiungerlo. Cadde in acqua, a pochi metri dalla battigia. Per sua fortuna non fu un atterraggio mortale, nonostante l'altitudine da cui era caduta, era riuscita ad attutire un po' la cosa e a cadere dritta, per evitare che l'impatto fosse troppo grande. Si aggrappò alle sue funi, ancora arpionate alla spalla di Reiner, e li usò come corda per arrampicarsi sulla battigia. Con gran fatica, riuscì infine ad emergere e risalire sulla passerella. Cercò di issarsi su, tirandosi e arrampicandosi, ma sentì ogni muscolo bruciare per lo sforzo. Era decisamente troppo stanca. E quando infine riuscì a sporgersi oltre la passerella, trovò delle mani allungarsi nella sua direzione e afferrarla per i vestiti. Gabi piantò bene i piedi a terra, fece leva e con uno slancio riuscì ad aiutarla a issarsi completamente sulla terra ferma.
«Stai... bene?» le chiese Gabi, preoccupata.
«Sì» ansimò Beatris, inginocchiata a terra. Era arrivata al limite, decisamente stravolta, troppo stanca per fare qualsiasi altra cosa e ora anche senza gas. Si corrucciò, trovando il tempo di impensierirsi, e si portò la mano all'orecchio destro. Il sangue ora era secco e grumoso, aveva perlomeno smesso di scendere, ma si accorse che ancora non riusciva a sentire assolutamente niente da quel lato. Un ruggito, il caos di una battaglia, ed entrambe vennero improvvisamente attirate nuovamente verso il gruppo che lontano da loro ancora si scontrava. Ma non più contro gli jaegeristi...
Falco era appena saltato al collo di Pieck, la stava mordendo, e i due erano in pieno combattimento per la sopravvivenza.
«Falco!» gridò Gabi, alzandosi e slanciandosi in avanti per provare a raggiungerlo. Beatris le si lanciò addosso, e l'afferrò.
«Ferma! Finiresti coinvolta anche tu!» le disse, stringendola e cercando di trattenerla.
«È la prima volta che si trasforma, è confuso!» gridò Gabi, preoccupata, e Beatris ricordò le prime trasformazioni di Eren. Anche lui non riusciva a controllarsi all'inizio, tanto che la prima volta che si era trasformato volontariamente aveva tentato di uccidere sia lei che Mikasa. Era pericoloso, e per questo strinse ancora di più Gabi, intenzionata a non lasciarla andare. Magath corse davanti a loro in quel momento, superandole per raggiungere Falco e Pieck, in piena lotta.
«Magath!» gridò Beatris, fermandolo. Estrasse due lame nuove e gliele lanciò contro, staccandole dal resto dell'attrezzatura. «Lo tiri fuori da lì!»
Magath prese da terra le lame di Beatris e annuendo tornò a correre verso Falco, gridando: «Pieck! Tienilo fermo!»
Ribaltandosi, afferrandolo, Pieck riuscì a immobilizzare Falco e Magath poté così raggiungere la sua nuca. Nonostante non sapesse usare quelle armi concessogli da Beatris, riuscì comunque a utilizzarle abbastanza efficacemente per tagliare con precisione la zona della nuca di Falco intorno al suo vero corpo. Lasciò andare le lame, afferrò Falco all'interno e lo tirò via, staccandolo così dal resto del gigante.
Prese il ragazzino in braccio, svenuto, e tornò verso la nave insieme al resto dei compagni. Pieck, Reiner e Annie uscirono dai loro rispettivi giganti e tentarono di stargli dietro, ma la battaglia aveva ferito profondamente tutti e tre ed ebbero bisogno di aiuto per raggiungere la nave. Hanji aiutò Pieck, Mikasa corse a sostenere Annie che camminava a stento, e Jean e Connie dovettero tenere Reiner sollevato per le spalle per riuscire a trascinarlo letteralmente, incapace di camminare con i suoi stessi piedi.
«Tris...» mormorò Reiner, sentendo Jean al suo fianco. «Non l'ho più vista...» gracchiò affaticato, lasciando trapelare la sua preoccupazione, senza neanche avere la forza di alzare lo sguardo e cercarla.
«Piantala di fare il ragazzone innamorato!» ringhiò Jean, irritato. «Mi dai la nausea!»
Smettetela di ostentare così il vostro amore in faccia a chi un amore da ostentare non ce l'ha!
Un ricordo così vecchio, da sembrare quasi un sogno. Ma ebbe lo stesso dolce effetto nostalgico, nel suo riportarlo per un istante al passato, quando il massimo dell'ostilità di Jean era motivata dalla sua invidia nel vederli così felicemente innamorati. Non faceva che rimproverarli, quando osavano dimostrare un po' più del loro attaccamento in mezzo agli altri. Era stato così ingenuo, allora. Beatris e Reiner reagivano sempre arrossendo, pieni di vergogna, come due banali ragazzini che vivevano la loro vita con serenità, lontani da ogni preoccupazione. Era stato solo un attimo, ma per un istante li aveva rimandati indietro, a quel tempo, quando non avevano fatto altro che vivere una vita normale in mezzo a una felicità normale. Il volto di Reiner si distese in un sorriso e ridacchiò, divertito, per quanto avesse la forza di ridere. Jean continuò a guardarlo irritato, ma lentamente sentì il nervoso cominciare ad abbandonarlo, travolto dalla stessa nostalgica sensazione. E sospirò, arrendevole. Nonostante tutto, forse, non avrebbero mai smesso davvero di essere i compagni che erano stati un tempo.
«Mi dai proprio sui nervi, lo sai?» disse, ma non ci fu alcun rancore nella sua voce, solo una velata malinconia.
Raggiunsero la nave ma tornarono presto a sentire il rumore dei nemici, alle loro spalle, correre per provare a raggiungerli. Erano lontani, avevano tempo, ma la minaccia non si era ancora conclusa.
«Andate!» disse Magath, fermandosi in coda al gruppo e lasciando Falco tra le braccia di Onyankopon. «Vi coprirò le spalle».
«Generale...» mormorò Pieck, angosciata. Da solo, contro un gruppo così numeroso di nemici, cosa avrebbe mai potuto fare?
«Forza! Non perdete tempo!» gridò Magath, notando i primi jaegeristi sbucare oltre un tetto. Puntò loro il fucile e disse ancora: «È un ordine!» prima di correre nella loro direzione. Lo guardarono per qualche istante, timorosi e preoccupati, chiedendosi se non avessero dovuto provare a fermarlo. Ad aiutarlo. Ma in quelle condizioni, così feriti, cosa potevano fare? Non avevano altra scelta che andarsene il più velocemente possibile... ascoltando l'ultimo ordine del loro generale. Il primo marleyano nella storia che avesse apertamente ammesso di aver commesso un errore e avesse fatto un atto di pace verso il nemico.
Salirono a bordo della nave, che venne messa subito in funzione, e si lasciarono alle spalle quell'ennesimo addio.


«Reiner!» chiamò Beatris, allarmata. Si sganciò dalle spalle di Gabi, che l'aveva aiutata a salire sottocoperta, e si avvicinò a lui rapidamente, ora seduto con le spalle poggiate alla parete della nave. Si inginocchiò davanti a lui e lo prese per il volto, costringendolo così ad alzare lo sguardo. Era stanco, ferito, ma sembrava ancora tutto intero. Ed era sveglio.
«Stai bene?» gli chiese, sondando rapidamente le sue condizioni.
«Lo sai che mi riprenderò in fretta» le disse Reiner, intenerito per la sua insensata preoccupazione. Anche se non era messo così bene, certo non sarebbe mai morto e presto sarebbe tornato in piedi. Ma nonostante anche lei lo sapesse, l'angoscia di Beatris era reale. E questo gli scaldava egoisticamente il petto. Era così dolce...
Reiner allungò una mano sul volto della ragazza, le appoggiò le dita sulla mandibola e lentamente la costrinse a voltarsi, così da riuscire a guardare meglio il sangue che le macchiava l'orecchio e parte del collo. «Che ti è successo?» le chiese, preoccupato.
«Oh...» mormorò Beatris, coprendosi l'orecchio con una mano. Sforzò un sorriso, uno di quelli che in passato avrebbero illuminato il mondo intero, ma che adesso aveva solo l'ombra di ciò che era stato un tempo. «Solo un piccolo incidente, non preoccuparti» disse e lui riuscì a rivederla: quella era la Beatris che sorrideva per nascondere il suo reale dolore. Qualche anno prima ci sarebbe riuscita decisamente meglio, ma nonostante adesso fosse più cupa e decisamente meno convincente, tentò lo stesso di ripescare quella vecchia abitudine. Reiner la guardò ammonitore, e restò in silenzio, lasciando che fosse solo quello sguardo a farle capire che certo non l'avrebbe convinto e tranquillizzato con così poco.
«Io...» mormorò Beatris, abbassando lo sguardo, vinta. «Credo che per un po' non avrò piena consapevolezza di cosa mi colpirà da questo lato, forse...»
«Si è rotto il timpano?» chiese Reiner, allarmato.
«Non lo so... forse... ma per fortuna è solo il destro. Ci sento ancora da quello sinistro».
«Come...?» mormorò Reiner, allarmato, pronto a chiederle come fosse successo. Ma la voce di Annie li interruppe. «Come sarebbe a dire che andiamo a Ubidah?!» quasi gridò, barcollando verso Hanji. Mikasa l'afferrò per le spalle e la trattenne, evitando così che arrivassero a scontrarsi, anche se non sembrava così intenzionata a combattere. Solo profondamente frustrata. «Ma Liberio... non arriveremo mai in tempo!» gridò, appendendosi alle braccia di Mikasa.
«Mi dispiace, Annie» le disse Hanji. «È stata una decisione presa insieme a Magath, era consapevole anche lui di questa deviazione. Abbiamo capito che ormai era troppo tardi per salvare Liberio».
E le due ebbero addosso gli sguardi di tutti i marleyani a bordo, sconvolti, pieni di terrore. «Non possiamo farci niente» insisté Hanji, rammaricata. Beatris sentì persino Reiner trattenere un lamento e, tornando a guardarlo, lo vide abbassare lo sguardo, addolorato.
«Quindi... io non ho più motivo di combattere...» lamentò Annie, lasciandosi cadere a terra con le lacrime agli occhi.
«Anche se adesso andassimo direttamente lì, non faremmo in tempo» continuò Hanji. «Anche Magath lo aveva capito, ma ha comunque deciso di sacrificarsi per darci una possibilità. Non lo ha fatto per Liberio o per Marley, lo ha fatto per affidarci la missione di salvare quante più persone possibili, anche se si trattano di sconosciuti».
«Mikasa...» mormorò Annie, atterrita. «Ti ripeto la mia domanda, allora: sarai in grado di uccidere Eren? Se io provassi a ucciderlo... proveresti a fermarmi?»
Mikasa abbassò lo sguardo, avvilita e atterrita, e non riuscì a trovare risposta. Non poteva vederla, l'evidenza, non poteva accettare una soluzione simile benché sapesse essere la più ragionevole e sensata.
«Io...» sibilò Annie, prima di alzare lo sguardo pieno di lacrime su di lei. «Sono stanca di combattere. Non voglio più combattere contro di te! Né contro di voi... e nemmeno contro Eren!» disse, quasi sull'orlo del pianto.
E poterono comprenderla. Poterono sentire quella stessa disperazione premere sull'anima di ciascuno di loro. Erano stanchi, avviliti, senza più alcun motivo di andare avanti perché ormai avevano perso ogni cosa. Avevano perso Paradis, in mano agli jaegeristi, e avevano perso Liberio, distrutto da Eren. Non restava più niente per cui combattere, se non le nobili ragioni di voler salvare l'umanità. Quanta forza avrebbe avuto, quella nuova motivazione, sulle loro coscienze? Loro, che erano così umani da volersi spingere a tanto solo per egoismo, ognuno con le proprie motivazioni, a cos'altro avrebbero potuto aggrapparsi per trovare la forza di andare avanti?
Il silenzio calò tra loro, ma nella loro tristezza non poterono che scambiarsi sguardi. Erano un gruppo così disomogeneo, nemici di un tempo che adesso combattevano fianco a fianco. Senza più le loro ragioni per continuare a farlo, se non una pressante sentenza che cadeva sul mondo intero. Erano costretti a vestire i panni degli eroi, proprio loro che avevano ucciso così tanti compagni.
Beatris si accasciò vicino a Reiner, mettendosi a sedere al suo fianco.
«Salvare il mondo...» mormorò in un sospiro avvilito. «Sono parole così affascinanti... non è vero?»
La sua non fu una provocazione, quanto più una resa. Lei si era mossa per anni ammaliata da quel sentimento che non le apparteneva ma che credeva permeasse in Reiner, trovandolo incredibile solo per quello. Lo credeva un eroe, per quanto non comprendesse appieno la situazione. E aveva commesso atrocità, fatto errori madornali, solo perché accecata dalla sua luce abbagliante. Per anni era stata accusata per quello, considerata una traditrice, per anni era stata incompresa... ma ora erano tutti su quella stessa nave. In quella stessa situazione. A trovarsi nelle condizioni di dover accettare di macchiarsi le mani indelebilmente, solo per qualcosa di tanto esterno e lontano. Qualcosa che forse non gli apparteneva. Avrebbero veramente trovato la forza di combattere solo per quello? Di accettare gli stessi compromessi a cui era scesa lei, anni addietro? Uccidere compagni... tradire un amico. Lo avrebbero fatto?
«Io non sono mai stata una persona d'animo nobile» confessò, lasciando che i suoi timori trapelassero da quelle parole.
«Nessuno di noi lo è mai stato» sospirò Jean, accasciandosi dall'altro lato della stanza e mettendosi a sedere per terra. «Ognuno di noi ha sempre avuto un obiettivo personale per andare avanti, e tutti, bene o male, ci siamo sempre creduti nel giusto. Persino mentre uccidevano dei compagni...»
«Non abbiamo ucciso Floch e gli altri per egoismo» gli fece notare Beatris. «Ma perché accecati da quella luce. Almeno per noi, Jean. Lo abbiamo fatto per il mondo...»
«Ma nonostante questo, mi sento come se avessi fatto qualcosa di imperdonabile» mormorò Jean, guardandosi le mani, come se avesse potuto vedere il sangue impregnargliele.
«Già...» sospirò Beatris, stringendosi nelle spalle. «È così che funziona».
E lei lo sapeva fin troppo bene. Quante vite aveva spezzato, quanti tradimenti aveva commesso, sapendo di fare la cosa giusta, ma sentendosi poi sempre più abbattuta e avvilita? Adesso... erano tutti come lei. Ma questo ancora non rispondeva alle loro domande. A cosa si sarebbero aggrappati per andare avanti? Dopo aver assaggiato quel momento di follia, dopo aver visto cosa realmente si provava, avrebbero trovato la forza di affrontarlo di nuovo? Puntare l'arma contro un amico... per il bene del mondo.
Lei lo aveva fatto, lei aveva sparato a Eren, e nonostante la ragione le dicesse che era stato giusto, non riusciva ancora a perdonarsi. E forse non lo avrebbe mai fatto. Egoismo o nobili ragioni... cosa avrebbe vinto?

Elefanti?
Già! Guarda, Beatris! Qui ce n'è disegnato uno, sono così strani.
Che roba è quella cosa sulla loro faccia?
È il loro naso. Lo possono usare per afferrare le cose.
Sono così ridicoli! Guarda, Eren! Il loro naso sembra quello di un maiale. Ehy, Scemo-Eren... tu saresti il più brutto degli elefanti con il naso da maiale!
Ma che dici, Bea-stupida?! Che c'entro io?
Sono così buffi... vorrei tanto vederli, un giorno.

Una risata limpida, cristallina, le rimbombò nella testa. La risata di un bambino. Forse era la sua? Riaprì lentamente gli occhi, sentendosi assurdamente più leggera ma anche improvvisamente così triste. E si mosse dalla sua posizione seduta, sentendo le ossa scricchiolare. Quanto tempo era rimasta in quella posizione? Sentì un lieve peso sulla testa impedirle di muoversi troppo e si accorse solo in quel momento che aveva dormito con la testa poggiata sulla spalla di Reiner, al suo fianco, e che lui aveva a sua volta poggiato la propria guancia su di lei. Ma sentendola destarsi, si mosse anche lui e si sollevò, per guardarla.
«Ti sei svegliata?» le chiese.
Beatris si massaggiò la testa lentamente e mormorò, con la voce ancora impastata dal sonno. «Credo di aver fatto un bel sogno...» confessò, confusa. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordarlo. «Anche se mi ha lasciato addosso un bel po' di tristezza».
«C'ero anche io?» le disse Reiner abbozzando un sorriso malizioso. Ma Beatris lo guardò ancora più confusa, e stranita nel sentire quel genere di battuta arrivare proprio da lui. «Ma che stai dicendo?»
«Scusa...» ridacchiò, nervoso. «Cercavo di risollevarti un po' il morale» e con un sospiro tornò ad essere lo stesso di sempre, mostrando così che aveva solo provato a indossare una maschera.
«Le tue battute sono sempre state terribili» commentò Beatris, con uno sbadiglio. «Ricordi la prima volta che mi chiedesti di far l'amore?»
Reiner sospirò amareggiato e si portò una mano alla testa, facendola scorrere tra i capelli e arrivandosi a grattare la nuca imbarazzato. Un lieve rossore gli colorì le guance, sentendosi pervadere dalla vergogna. «Sono proprio un idiota a volte».
E solo allora riuscì a far ridacchiare Beatris, divertita, nonostante non fosse stata quella la sua intenzione. Ma si sentì comunque soddisfatto. Vederla ridere era sempre stata la migliore delle medicine, gli dava un sollievo che nient'altro era in grado di dargli. Anche quando rideva di lui.
Restò a guardarla, ammaliato, sforzandosi di imprimere a fuoco nella memoria quell'espressione che avrebbe voluto portare per sempre con sé. E un leggero sorriso riuscì a distendere persino il suo viso. Beatris si guardò attorno solo in quel momento, e si rese conto che non c'era più nessuno dei loro compagni in quella stessa stanza dove erano rimasti fino a quando non si era addormentata.
«Dove sono tutti?» chiese, curiosa.
«In giro» le rispose Reiner. «A prendere una boccata d'aria, credo».
«Tu come ti senti?» chiese poi, guardando Reiner al suo fianco, esattamente dove l'aveva lasciato.
«Molto meglio» le rispose, sgranchendosi la schiena. «Mi sono ripreso quasi del tutto. Te l'ho detto, guarisco in fretta. Il tuo orecchio, invece?»
«Ancora silente» sospirò Beatris. «Non fa niente, almeno sono sopravvissuta» e tornò ad appoggiare la testa sulla sua spalla.
«Sei migliorata davvero molto» le disse, con una punta d'orgoglio mista a rammarico nella voce. Era felice del fatto che fosse riuscita a rendersi forte come desiderava, felice che non fosse più la ragazzetta imbranata di un tempo, ma non poteva togliersi dalla mente le parole di Jean. Lei era migliorata davvero tanto, e l'aveva fatto lontano da lui, quando non poteva guardarla né aiutarla. Lui non c'era stato, mentre lei affrontava il mondo intero diventando il soldato che aveva sempre desiderato essere. Quante cose si era perso in quegli anni?
«Ho continuato ad allenarmi anche mentre ero in cella e Jean mi ha aiutata a riprendere dimestichezza con l'attrezzatura, quando sono uscita di lì».
«Quanto sei stata in prigione?»
«In realtà, dovrei esserci anche adesso» rispose Beatris e Reiner spostò lo sguardo sorpreso su di lei, prima che potesse specificare: «Mi era stato dato l'ergastolo. Tecnicamente sono un'evasa».
«Cosa?!» sbiancò.
«Quanto te ne sei andato, mi era stato dato solo un anno per tradimento, ma con l'attenuante di essere stata vittima a mia volta del tuo inganno, di essere inconsapevole di ciò che mi stava succedendo. E poi ho prestato un grosso servizio per il colpo di stato, in questo modo ho dimostrato la mia fedeltà al corpo d'armata. Historia ha inoltre messo una buona parola per me, questo mi aveva inizialmente salvata. Ma dopo il casino che ho fatto a Shiganshina non c'è stato niente che mi abbia potuto proteggere dall'accusa di alto tradimento. È già tanto che non sia stata condannata alla pena capitale».
Le cose erano andate così male, erano successe così tante cose mentre lui non c'era. Non lo avrebbe mai immaginato, quando l'aveva lasciata aveva fatto in modo che almeno lei non dovesse vivere alcuna preoccupazione, con quella sua ridicola bugia. Ma non aveva funzionato, aveva combinato altri pasticci e lui non era stato lì per proteggerla. Sapere, immaginare, cosa avesse passato mentre era lontano lo riempiva così tanto di dolore.
«Perché hai dovuto raccontare la verità? Perché non hai potuto semplicemente essere la vittima che ho tentato di farti diventare?» le chiese, lievemente colpevolizzante. Se non avesse fatto di testa sua e avesse seguito il copione, niente di tutto quello sarebbe successo.
«Perché ho capito che le cose orribili che mi hai detto su quel muro erano bugie».
«Non sono riuscito a essere abbastanza convincente, eh?» sospirò, rammaricato.
«Mi hai chiamata Tris» spiegò lei, facendogli capire qual era stato il suo errore. «E mi hai guardata come se mi stessi dicendo addio. Ho capito che lo stavi facendo solo per proteggermi, ed io sono stanca di essere protetta. Tutte le volte che qualcuno lo fa, finisce sempre col farsi del male e io puntualmente lo perdo. Stava succedendo di nuovo, hai cercato di proteggermi andandotene, e se ti avessi permesso di farlo avrei perso sia te che Eren. Non volevo più essere quella che restava ferma a guardare mentre le persone morivano davanti ai miei occhi, ho deciso di agire. Ho deciso che da quel momento avrei combattuto, per riportarvi indietro, e sapevo che per riuscirci avrei dovuto sconfiggerti. Fermarti. Ho usato per questo le informazioni che mi avevi dato come arma contro di te. Ho continuato per tutto questo tempo a combattere con e contro di te, come una pazzoide» abbozzò un sorriso divertito. Sì, lei era proprio una pazzoide, accanita a in un ruolo troppo vacillante, con un obiettivo impossibile, ma decisa a non arrendersi. Perché lo desiderava, lo desiderava con tutta se stessa, poter riavere tutti indietro. Poter restare accanto alle persone che amava, in mezzo a qualsiasi tempesta.
E, assurdamente, alla fine ci era quasi riuscita. Non era ancora riuscita a recuperare Eren, anzi lo stava perdendo completamente, ma era infine riuscita ad arrivare a Reiner. Con un'ostinazione che mai si sarebbe aspettato da quella ragazza che aveva conosciuto nove anni prima, che partiva scoraggiata di fronte a qualsiasi addestramento, e continuava a piagnucolare che non avrebbe mai combinato niente di buono.
Sorrise, malinconico. «L'ho sempre saputo che dentro te c'era nascosta una forza inarrestabile, dovevi solo trovare il modo di tirarla fuori».
«Non c'era nascosto proprio un bel niente, invece» gli rispose e lentamente, timorosa, andò a cercare la sua mano per riuscire a intrecciare le loro dita. «L'ho trovata con te. Sei sempre stato tu la mia forza, anche quando non potevo vederti. Mi sono sempre mossa solo per riuscire a raggiungerti».
Reiner si ammorbidì, sentendo il tocco delle sue dita contro il palmo ruvido della sua mano. La vide intrecciare delicatamente le dita con le sue e stringerle lentamente. La lasciò fare, senza rispondere alla stretta, ma alla fine sospirando chiuse morbidamente le dita arrivando a sfiorare il dorso della mano.
«Tutto quello che abbiamo vissuto allora era un'illusione. Ho ingenuamente creduto di poter essere una persona normale e ti ho trascinata in quello che era semplicemente un sogno ad occhi aperti. Ora dovresti capirlo, quanto fosse insensato... la tua ostinazione nel volerlo riottenere è sbagliata, Tris».
«Se lo credi davvero perché adesso sei qui con me?»
«Perché...» mormorò, abbassando lo sguardo addolorato. «Perché... io...»
«Hai cotinuato a parlare alla luna come uno stupido anche tu, vero?» lo anticipò Beatris, cogliendo la sua esitazione. «Come me... anche se dalla mia seconda cella, la luna non riuscivo a vederla. Ma... cantavo quasi ogni notte alla tua fascia».
«Eh?» mormorò Reiner, guardandola sorpreso.
«Ricordo che una volta mi proponesti una scommessa: se non avessi superato un esame, avrei dovuto cantare per te tutte le sere. Ti piaceva sentirmi cantare, è per questo che me lo chiedesti. Ho cantato per te, tutte le notti in questi quattro anni. Reiner, io non penso che quello che abbiamo vissuto fosse un'illusione... io credo in realtà che fosse ciò che saremmo potuti essere veramente, se solo il mondo ce lo avesse permesso. Ho lottato solo per riuscire a riprendere ciò che sentivo mi spettava: il diritto di essere felice. Io, al tempo, lo ero davvero. Non era un'illusione».
La mano di Reiner si strinse di più su quella di Beatris, e tornò ad abbassare lo sguardo, avvilito. «Sì» mormorò, infine. «Lo ero anche io».
E Beatris si appoggiò contro il suo braccio, avvolgendolo con l'altra mano, per abbracciarlo. Era egoista, in un momento come quello si prendeva la libertà di sentirsi felice, era sbagliato. Ma era una piccola tregua, una sfocata oasi di pace, prima di doversi di nuovo lanciare contro il mondo intero. Su quella barca, lontana dal mondo, chiusa in quella stanza sola con lui, nessuno avrebbe potuto giudicarla per aver sorriso in maniera così sincera e naturale.
«Reiner...» disse, dopo qualche attimo di silenzio. «Esistono davvero gli elefanti?»
«Gli elefanti?» chiese Reiner, confuso da quella domanda improvvisa e apparentemente senza nesso.
«Una volta Armin mi ha fatto vedere un loro disegno su un libro. Li trovai davvero buffi. Esistono davvero?»
«Sì» rispose Reiner, intenerito dalla sua ingenua curiosità.
«Li hai mai visti?»
«Una volta, lontano da Marley, durante la guerra con le nazioni nemiche».
«Sul serio?» parve illuminarsi e sollevò la testa, per guardare Reiner in volto. Gli occhi lievemente sbarrati, una tiepida scintilla d'emozione, e nessuna traccia dell'angoscia che l'aveva atterrita fino a quel momento. Per quel minuscolo istante parve essere improvvisamente tornata la stessa Beatris di allora: solare e vivace, piena di curiosità e desiderio di vivere. «Quanto sono grossi?»
Reiner si guardò rapidamente attorno, valutando il posto in cui si trovavano, prima di rispondere: «Potrebbe occupare interamente questa stanza».
«Eh?!» spalancò gli occhi Beatris. «E il loro naso lo usano davvero per prendere le cose?»
«Sì, è così» le rispose ancora Reiner, tornando a guardare il suo viso illuminato. E sentì nuovamente ogni muscolo distendersi, ogni dolore abbandonarlo, e quell'egoista sensazione di benessere tornare a pervaderlo. Sorrise, intenerito, e restò a guardarla completamente ammaliato. Era la cosa più bella che il mondo fosse mai stato in grado di concepire, gli scaldava il petto.
«Hanno un naso lunghissimo, vero?»
«Già» continuò Reiner, intenzionato ad alimentare la sua curiosità per poter godere ancora di quel volto così raggiante. «E non hai mai visto le giraffe».
«Giraffe?!» esclamò Beatris, affamata di curiosità. Reiner annuì: «Sono anche loro belle grosse, ma la loro caratteristica particolare è che hanno un collo lunghissimo. Intorno ai tre o quattro metri almeno».
«Quattro metri solo di collo?!»
«Vuoi che te le descriva?»
«Sì, per favore!» disse emozionata e Reiner abbozzò un sorriso: «A una condizione».
«Mh?» mormorò Beatris, delusa di dover scendere a patti per poter ottenere quelle informazioni di cui tanto era affamata. Il sorriso di Reiner si ampliò leggermente, consapevole forse di che reazione avrebbe ottenuto alla sua richiesta, trovando già divertente quella situazione. E infine le chiese: «Canti per me?»
«Eh?!» sobbalzò Beatris, arrossendo improvvisamente.
«Siamo praticamente dei condannati a morte, concedimi quest'ultimo desiderio» insisté, divertito.
«Ma perché sei tanto ossessionato dalle canzoni?» borbottò Beatris, contrariata.
«Per favore» si allungò, per cercare il suo sguardo sfuggente. Ma lei ringhiò, completamente rossa in volto: «No! È imbarazzate! Non c'è neanche l'atmosfera giusta...»
«Vuoi che te la crei? Posso mettermi a piangere, se vuoi. L'ultima volta ha funzionato...» disse, ricordandosi dell'unica volta che lei aveva ceduto al suo desiderio, quando al lago l'aveva visto per la prima volta tormentarsi dei suoi sensi di colpa.
«Ma cosa sei? Un bambino?!» lo rimproverò, fulminandolo, e Reiner cedette a una soffusa risatina. Durò pochi istanti, sembrò volerla ricacciare subito via, come se si vergognasse di quella debolezza. Era davvero assurdo. Per tutto quel tempo non aveva fatto che tormentarsi, non aveva fatto che sentirsi affogare nella consapevolezza che uno come lui non meritava niente, neanche la vita. Era stato un periodo davvero oscuro, e stavano vivendo l'apice della disgrazia, a un passo dalla morte. Non c'era alcuna speranza, solo rimpianti, eppure in quel momento riusciva davvero a sentirsi felice. Lei era in grado di alleggerire ogni peso, non aveva perso quel suo incredibile potere che tanto lo facevano stare bene. Sciolse le loro mani dalla loro stretta e lentamente si fece scivolare su di un lato, stendendosi per poggiare la testa sulle gambe della ragazza. Le avvolse la vita con un braccio e se la strinse contro, come se avesse voluto intrappolarla e pregarla di non andarsene mai.
«Sei ingiusta» disse, divertito. «A quella stupida fascia hai cantato ogni notte e a me no. Ami più lei di me?»
«Ma che stai dicendo?!» continuò a fulminarlo.
«E allora mi canti qualcosa?»
«Non posso farlo a comando! Non mi viene...» borbottò, in imbarazzo. «E poi in questa ridicola posizione mi sembrerebbe di essere una madre che canta la ninna nanna al neonato, è ancora più imbarazzante».
«E allora non saprai mai dei rinoceronti» le disse, nascondendo un sorriso divertito contro la sua pancia.
«Rinoceronti?» tornò a illuminarsi Beatris, sentendo per la prima volta quella parola. «Cosa sono?»
«Non te lo dico» la stuzzicò e lei cominciò ad agitarsi e dimenarsi. «Eddai, Reiner!» cominciò a scuoterlo per una spalla, frustrata. Tanto lamentosa che non riuscì a sentire la voce di Reiner, nascosta tra i suoi vestiti, che tornava a sghignazzare sempre più divertito.
«E chissà che ne penseresti delle iene» continuò a provocarla.
Un'altra parola che mai aveva sentito e che non facevano che aumentare sempre più la sua curiosità e la sua frustrazione. Lo faceva di proposito, cercava di provocarla per spingerla a cedere, lo sapeva, ma non riuscì a controllare la fame di curiosità che la rendevano sempre più impaziente e nervosa. E decise alla fine di cedere alla sua richiesta, ma solo per dargli il contentino: improvvisò una canzonetta stupida, sconclusionata, senza un ritmo preciso, con parole a caso. E durò dieci secondi netti. Poi tornò a guardare Reiner sotto di sé con gli occhi pieni d'emozione e disse: «Allora?! Cosa sono i rinoceronti?»
Reiner alzò gli occhi, staccandosi lievemente dal suo abbraccio, e la guardò sconcertato. La fissò in silenzio, sbatté per un paio di volte le palpebre, come se avesse di fronte qualcosa di insolito e lievemente repellente. E non disse una parola.
«Che c'è?» gli chiese Beatris, irritata per la sua espressione stranita e la sua esitazione nel volerla accontentare.
«Faceva schifo» disse lapidario. E lei tornò a fulminarlo, irritata: «Hai anche delle pretese adesso?!» gli ruggì contro.
«Cantane un'altra».
«Ma per che cosa mi hai preso?! Un vinile?!»
«Sarebbe più facile ottenere ciò che voglio se tu lo fossi realmente» sospirò, fingendosi deluso. E lei tornò a dimenarsi sul posto, ormai in preda alla disperazione.
«Basta, Reiner!» lamentò come una bambina e iniziò a tirargli pugni sulla spalla.
«Ehy!» brontolò lui, alzando un braccio per proteggersi dall'attacco.
«Mi stai facendo arrabbiare!»
«Mi fai male!» le fece notare, ma non ci fu altro sentimento nel suo petto se non una travolgente ilarità. Era così bambinesca, così pura, così innocente... proprio come la ricordava. Proprio come la Beatris rumorosa che non faceva che emozionarsi per ogni piccolezza, che gli correva incontro, che gli saltava sulle spalle quando era felice, che saltava ovunque, rideva, che lo prendeva per mano e lo trascinava a vedere qualche papera nel fiume. Era la stessa Beatris che al tempo gli aveva reso la vita più brillante, e come allora vederla così infantile in quella reazione non fece che divertirlo. Divertirlo sul serio, scacciando via ogni altro pensiero, ogni altro sentimento, con la potenza di un vero uragano.
Non riuscendo a proteggersi dall'ennesimo pugno che lo colpì su un fianco, facendogli discretamente male, scoppiò infine a ridere. Per la prima volta dopo quattro anni.
«Va bene» disse infine, vinto. «Va bene, niente canzoni. Cambiamo accordo».
«Non puoi semplicemente raccontarmi ciò che voglio sapere senza condizioni?» mormorò Beatris, frustrata.
«Non sarebbe giusto, anche io ho la mia dose di curiosità da voler saziare».
«Mpf» sbuffò Beatris, arrendevole. «Che cosa vuoi che faccia?»
Reiner si accoccolò di nuovo sulle sue gambe, poggiandole il volto al ventre, ma restò voltato verso l'alto, per riuscire a guardarla in viso. «Raccontami cosa hai fatto in questi quattro anni» le disse, infine. «Nei minimi dettagli. Voglio sapere tutto, come se fossi stato lì con te».
C'era così tanto che si era perso, e Beatris era cresciuta davvero molto mentre lui non guardava. Molte volte si era ritrovato a pensare a lei, soprattutto la notte, quando tutto taceva e non c'era niente che potesse zittire i suoi pensieri. Molte volte si era ritrovato a chiedersi cosa stesse facendo, come stava, se era finalmente riuscita a trovare la felicità. E ora aveva la possibilità di rispondere a quelle domande. Jean aveva avuto ragione, lui non c'era stato e non sapeva cosa si fosse perso, quante volte Beatris avesse illuminato il mondo o rischiato di ribaltarlo con la sua incredibile forza da uragano, ma questo non gli avrebbe impedito di sopperire almeno in parte a tutto quello. Voleva sapere tutto, come se non fosse in realtà mai mancato. Colmare quel vuoto e tornare a sentirsi il più vicino possibile a lei. Nonostante la curiosità di sapere cosa ci fosse nel mondo esterno, la richiesta di Reiner fu così dolce da riuscire a sovrastare qualsiasi altra emozione. Beatris si ammorbidì, sorrise intenerita. «Va bene» disse poggiandogli un braccio sul petto e una mano sul volto, per accarezzarlo. «Dunque» rifletté. «Quando tu e Bertholdt vi siete trasformati sul muro, dopo la tua confessione, l'esplosione mi ha fatto perdere i sensi. Al mio risveglio non c'eravate già più, avevate portato via Eren e Ymir, e intorno a me c'erano solo feriti...» cominciò a raccontare e proseguì, ricordo dopo ricordo, dettaglio dopo dettaglio, senza omettere niente. E Reiner restò ad ascoltarla in silenzio, rapito, per ore.
Quando Jean andò a chiamarli per avvertirli che sarebbero arrivati al porto di Ubidah a minuti, li trovò ancora in quella posizione, che parlavano vivacemente di rinoceronti, giraffe e iene.
Sbarcarono poco dopo, e vennero invasi da un pressante silenzio. In città non c'era già più nessuno, non si sentiva altro che il rumore del vento tra le case abbandonate.
«C'è silenzio» commentò Connie, sentendosi quasi rabbrividire.
«I cittadini di Ubidah devono essere fuggiti a sud, anche le loro navi sono sparite» osservò Hanji, prima di voltarsi verso Kyomi Azumabito. «Adesso lascio tutto nelle vostre mani, allora».
«Certo. Prima che i giganti oltrepassino le montagne, faremo partire l'idrovolante a ogni costo» annuì Azumabito, prima di voltarsi verso i suoi uomini e ordinare di preparare ogni cosa. «Lasceremo la nostra terra nelle vostre mani» disse poi, tornando a guardare Hanji. «Vi prego, salvate Hizuru».
Hanji annuì, decisa, e si voltò verso il resto della sua squadra. «Portiamo l'idrovolante nell'hangar».
Sganciarono la corda che teneva l'idrovolante legato alla nave e la usarono per cominciare a trascinarla, lavorando insieme, fino a terra. Lo spinsero dentro l'hangar dove i meccanici degli Azumabito iniziarono subito a lavorare per prepararlo al volo.
«È pieno di esplosivo» notò Jean, frustrato. «Avevano intenzione di farlo saltare in aria?»
«Un piano d'emergenza nel caso avessimo provato a impadronircene, ma non liberiamocene. Può tornarci utile» disse Armin.
«Hai intenzione di usarle contro Eren?» chiese Reiner, guardandolo con una certa sorpresa. Stava davvero valutando l'idea di combatterlo, alla fine? Ma Armin abbassò lo sguardo, avvilito, e disse: «Io... non lo so... ma per il momento teniamole».
Si misero al lavoro, cercando di fare attenzione e di radunare tutte le bombe. Fu un lavoro estenuante, di mera forza bruta, a cui si dedicarono principalmente i ragazzi. Mikasa e Hanji si occuparono di caricare l'idrovolante con i rifornimenti necessari al volo e di controllare le attrezzature e le armi. Annie si allontanò, preferendo starsene per conto suo, mentre Pieck era rimasta sulla nave, insieme a Falco e Gabi. E fu da loro che Beatris andò. Stavano per partire per una battaglia suicida, ovviamente loro avrebbero fatto in modo di non portarseli dietro, era troppo pericoloso per due ragazzini, anche se soldati e aspiranti Guerrieri. Sicuramente li avrebbero lasciati agli Azumabito e quello sarebbe potuto essere il loro ultimo addio.
Bussò alla porta della camera dove avevano sistemato Falco, svenuto dopo essersi trasformato in titano, ma nessuno gli rispose. Appoggiò la mano alla maniglia e provò ad aprirla, scoprendo così che era aperta. Al suo interno, trovò Falco seduto sul letto, in lacrime, con la testa tra le mani. Pieck seduta al suo fianco e Gabi di fronte a lui, cercavano di consolarlo.
«Non c'è più niente che possiamo fare per salvare Liberio?» lo sentì singhiozzare. Dovevano appena avergli riportato la notizia.
«Scusate» disse Beatris, capendo di essere arrivata forse in un brutto momento. «Volevo solo vedere come stava Falco. Ma... forse non è un buon momento» e fece per richiudere la porta, per andarsene, ma Pieck si alzò in piedi e le disse: «Aspetta».
Le si avvicinò, uscì con lei in corridoio e si accostò la porta alle spalle.
«Tra non molto partiremo» disse a voce sostenuta, in modo da non farsi sentire dai due ragazzini all'interno. «Credo che ne soffrirebbero se sapessero che non sei passata neanche a salutarli».
«Se cerchi di parlare a voce così sostenuta, immagino che non glielo hai detto che non verranno con noi» notò Beatris.
«Credi che ce lo lascerebbero fare?»
«No» rispose, abbozzando un sorriso. Forse Falco, se glielo avessero ordinato, ma Gabi era come lei. Una vera testa calda, niente l'avrebbe trattenuta. «Immagino di no».
Sospirò e tornò a riaprire la porta, per entrare nuovamente nella stanza. Ma prima di chiudersela alle spalle si voltò nuovamente verso Pieck, che si stava allontanando.
«Pieck» la chiamò, timidamente. Non avevano mai avuto modo di parlare decentemente, si erano ritrovate nella stessa squadra e nemmeno si conoscevano troppo, eppure non aveva sentito tra loro due la stessa scintilla di rivalità che invece aveva sentito con gli altri marleyani. Quello strano senso di distacco e differenza. Pieck riusciva a mettere a proprio agio le persone, ad entrare subito in sintonia con chi aveva intorno. Persino col nemico. Nonostante non si conoscessero, aveva persino capito il tipo di relazione che correva tra lei, Gabi e Falco e l'aveva persino spronata ad andare a salutarli. Come se addirittura ci tenesse...
«È strano vederti su due gambe» mormorò, imbarazzata, non sapendo bene neanche lei in che modo tirare fuori i pensieri che aveva.
«Già, è strano anche per me» rispose Pieck, per niente sorpresa dall'osservazione. Era assurda, sembrava sentirsi sempre a suo agio in qualsiasi situazione.
«Io...» si grattò la nuca, Beatris. «Forse non è questo il momento, ma è la prima volta che possiamo parlare tranquillamente noi due. E non so se ci saranno altre occasioni, quando partiremo...» disse, giustificando così la sua improvvisa urgenza nell'affrontare quel discorso in quel momento, in quel corridoio. «Volevo... ringraziarti. Sempre se la cosa non ti offende».
«Ringraziarmi?» mormorò Pieck, confusa.
«Sei l'unica del gruppo di Marley che non mi ha discriminata a prima vista. Persino Gabi ha avuto prima bisogno di conoscermi...»
Pieck sospirò. «Marley, Eldia, Paradis... sinceramente a me ha sempre fatto poca differenza. Ho sempre combattuto solo per la mia famiglia e per i miei compagni. Probabilmente ho una visione un po' ristretta».
«Già» si ammorbidì Beatris. «Vale anche per me».
«Reiner ha cambiato faccia, da quando ti ha trovata» le disse, abbozzando un sorriso. «Sono rimasta sorpresa di scoprire che esiste qualcosa al mondo in grado di distendere quel brutto muso lungo. È sempre così serio e nerboruto. Oggi l'ho sentito ridere... non credevo fosse nemmeno capace. È palese che tu sia in grado di fargli del bene».
E Beatris arrossì, timida. «Grazie... credo» mormorò, imbarazzata.
«Sarei proprio curiosa di sentirla, la vostra storia. Una sera prometti di raccontarmela» sorrise, divertita dalla reazione della ragazza. E Beatris ridacchiò, ancora imbarazzata: «Ci potrebbe volere tutta la notte».
«Non fa niente, tanto soffro d'insonnia» alzò una mano, per salutarla, ma prima di andarsene disse divertita: «Ricambierò raccontandoti un po' di cose sul bambino fallito che era un tempo».
«Bambino... fallito?» mormorò Beatris, sorpresa.
«Arrivava sempre ultimo in tutto, nessuno credeva che alla fine sarebbe riuscito a ottenere il corazzato» ridacchiò.
«Sul serio?!» sgranò gli occhi Beatris. «Reiner era sempre ultimo?!»
Lui? Con la sua forza e le grandi capacità? Eppure, in accademia, solo Mikasa era in grado di superarlo. Lui, davvero, un tempo era stato... un fallito come lei?
Pieck ridacchiò e infine si voltò, salutandola con una mano. «Mi riservo il diritto di raccontartelo quando tutto questo sarà finito. Ci faremo una bella chiacchierata io e te, allora, ok?»
Quando tutto sarebbe finito...
Era una bella ventata di speranza e positività. E per quanto illusoria, per quanto al limite del realizzabile, sentì il forte desiderio di crederci. Quella chiacchierata lunga una notte intera, priva di sonno e piena di ricordi, se la sarebbe fatta davvero volentieri. Dovevano solo arrivare vive fino ad allora.
«Ok» mormorò, anche se ormai Pieck era lontana e non poté sentirla. E infine entrò nella stanza di Gabi e Falco. Si appoggiò con le spalle alla porta e restò a guardarli in silenzio per qualche secondo, sentendosi schiacciare sempre più dalla tristezza che respirava lì dentro. E riusciva a capirla. Lei, più di chiunque altro, poteva capire che significava perdere la propria casa e la propria famiglia. Gabi e Falco restarono a guardarla, come paralizzati, senza sapere neanche loro cosa dire o cosa fare. Era tutto così terribile, così disperato, che non sapevano a cosa aggrapparsi. E forse speravano che in qualche modo lei avrebbe potuto sistemare le cose, come era sempre riuscita a fare, perché in quello sguardo così serrato Beatris riuscì a leggerci quella piccola scintilla di fiducia che le stavano rivolgendo. Come quando erano soli a Paradis, in fuga, non avevano mai avuto altro a cui aggrapparsi se non a lei. Non ci credevano davvero, sapevano che certo non avrebbe potuto avere il potere di riportare in vita Liberio e i suoi abitanti, ma era come un'abitudine a cui non potevano fare a meno di affidarsi. E il dolore infine schiacciò definitivamente Beatris, consapevole che quella volta non sarebbe riuscita a far loro alcuna promessa. La sua guida, la sua determinazione, era ormai inutile.
«Mi dispiace, ragazzi» mormorò, infine. «Vi avevo promesso che vi avrei riportato a casa dalle vostre famiglie. Temo... di non esserne più in grado» sospirò, e abbassò lo sguardo, avvilita. «È l'ennesima promessa che non riesco a mantenere. Sono davvero la peggiore».
Sentì un movimento improvviso, rumore di passi veloci, coperte che venivano ribaltate, ma ebbe appena il tempo di alzare la testa che si trovò improvvisamente addosso entrambi. L'abbracciarono e le si fiondarono addosso con una tale enfasi che la fecero sbattere contro la porta alla sue spalle.
«Oh... ehy...» lamentò Beatris, sorpresa, ma in risposta i due la strinsero ancora più forte, fino quasi a farle male. Falco alzò poi gli occhi al suo viso, continuando a singhiozzare.
«È questo che hai provato quando abbiamo distrutto casa tua? È così che ti sei sentita anche tu quando è morta la tua famiglia per colpa di Marley?»
«Falco...» mormorò sentendosi stringere il cuore.
«Mi dispiace» sentì sibilare Gabi, in un lamento. Non alzò la testa, ma restò stretta al suo petto, affondandoci il volto per nascondersi. «Mi dispiace così tanto per quello che ti abbiamo fatto».
«Ragazzi...» lamentò, afflitta. «Voi non c'entrate niente».
«No, ma saremmo stati pronti a rifarlo, se non avessimo capito...» le disse Gabi. «Io... volevo uccidervi. Volevo ereditare il corazzato per venire e sterminarvi. Ti prego, scusami».
«Gabi... sei veramente una stupida» mormorò, abbozzando un sorriso addolorato. E li avvolse tra le braccia, stringendoseli al petto. Poggiò una guancia sulla testa di Gabi, affettuosa. «Non avete niente di cui scusarvi, voi due. Pensavo che ormai l'aveste capito».
«Grazie per esserti presa cura di noi, in queste settimane» le disse Falco e lei gli rivolse un sorriso intenerito. Spostò la mano dalle sue spalle a dietro la sua nuca, per avvicinarselo, e gli stampò un bacio in fronte, per poi spostarsi e fare lo stesso sulla testa di Gabi.
«Non smetterò di farlo» disse poi. «Finché sarò in vita, farò il possibile per evitare che possa accadervi qualcosa. Vi voglio bene, ragazzi».
Sentì Gabi fremere e vide Falco tornare ad abbassare il volto, lievemente rosso sulle guance per il bacio, ma al momento troppo turbato per pensarci attivamente. E si appoggiò nuovamente al suo fianco, stringendola, in risposta. Gliene volevano anche loro, anche se non riuscirono a dirlo a voce alta. Beatris tornò ad appoggiare la guancia sulla testa di Gabi e sorrise, intenerita, rinvigorita dalla loro dolcezza. Era veramente dispiaciuta per ciò che gli era successo, se ne avesse avuto il potere avrebbe davvero voluto evitargli quell'orribile situazione, ma saperli vivi era qualcosa che ancora riusciva a darle forza. Li avrebbe protetti, ne era determinata. Li avrebbe protetti fino al suo ultimo respiro.
Sorellona Adele non suonava così male.
«Sorellona...» mormorò, malinconica.
Se Rose fosse stata ancora viva, avrebbe avuto la loro stessa età.

Nda.

Buonasera!!! Capitolone abbastanza lunghino questa volta e pieno di belle cose (più o meno). L'attacco al porto va abbastanza bene (se non contiamo il numero di compagni morti >_> ma ehy... era necessario) e Tris inoltre ha la sua "vendetta" su Floch piantandogli quel coltello alla schiena proprio come le aveva sempre detto che avrebbe fatto. Inoltre è la prima volta che Tris combatte di fianco a un Reiner Gigante Corazzato e non contro di lui, si rivelano essere perfettamente in sintonia, tanto che lui riesce sempre a proteggerla quando è in difficoltà e segue le sue indicazioni senza esitazioni, anche senza guardare. Piccolo momento feels anche per Annie, che nonostante abbia dimostrato di disprezzarla e considerarla un peso morto decide di aiutarla e salvarla.
Infine i due momenti più belli (per me): l'attimo di pace con Reiner in cui riescono a tornare a essere la coppia normale che erano un tempo. Si raccontano a cuore aperto, si dicono ogni cosa, in pace, teneramente accoccolati, e Reiner addirittura ride (secondo quello che dice Pieck, "per la prima volta").
E il saluto a Gabi e Falco, dove finalmente ammettono l'uno all'altro di essere davvero amici, di volersi bene. Ogni ostilità è sparita, sono davvero legati e lo accettano. Tris ricorda ciò che Gabi le ha detto, che "sorellona" non era così male da pronunciare, e si fa investire dalla malinconia. Se Rose, sua sorella, fosse stata ancora viva avrebbe avuto la loro età...
Che abbia rivisto la piccola Rose in Gabi? Forse, ma se ne accorge solo in quel momento. Forse l'ha presa così a cuore solo perché una piccola parte di lei avrebbe davvero voluto che fosse lei. E forse continua a vedercela e per questo decide, promette, che questa volta l'avrebbe protetta a ogni costo.

La canzone bellissima e dolcissima extra del capitolo è una dedica di Reiner a Tris, in cui le chiede scusa per averla lasciata, trascurata, ammettendo che aveva fatto i calcoli per avere successo nella sua missione senza pensare a lei, che dividersi non si sarebbe aspettato che sarebbe stata così dura, e per questo sa di aver sbagliato, ma adesso non ha più importanza... le chiede di raccontarsi, le dice che può fargli tutte le domande che vuole, e chiede infine di poter tornare all'inizio. Sente di essere tornato all'inizio, quando tutto era ancora bello, per poter ricominciare e dare questa volta un finale migliore alla loro storia.

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora