«Non posso crederci» mormorò Eren, pulendosi il volto con un panno imbevuto di acqua calda. Alzò lo sguardo sui suoi compagni. Mikasa e Beatris erano vicini al suo letto, Levi invece seduto su quello a fianco. Lo guardavano preoccupati. «Ho dormito per un giorno intero?»
«Ti abbiamo spremuto per bene durante l'ultimo esperimento» gli disse Beatris, sedendosi sul bordo del suo letto, al suo fianco. Gli allungò un bicchiere pieno d'acqua e lo invitò a bere. «Ormai è appurato che trasformarti ti stanca veramente molto».
«Com'è andato l'esperimento?» chiese Eren, speranzoso.
«Non riesci a ricordarlo?»
«No... io non lo ricordo» mormorò, abbattuto. «Sono riuscito a indurirmi?»
Beatris sospirò. «Purtroppo no. A primo impatto ti è stato impossibile, perciò siamo passati a qualcosa di più leggero, procedendo per gradi. Abbiamo sperimentato la tua intelligenza e la tua comprensione con dei piccoli ordini, come il fare determinati movimenti, o provare a costruire qualcosa di accurato con tronchi e corde. Sei riuscito a eseguire tutti i lavori, ed eri anche piuttosto accurato. Abbiamo provato a farti parlare, e quello invece ti è risultato impossibile, anche se ci provavi e questo ci ha dato modo di capire che riuscivi a comprenderci. A un certo punto, hai preso un pezzo di legno e hai scritto sul terreno, per comunicare con noi, dicendo che non sapevi come fare a indurirti. Poi hai iniziato a scrivere parole confuse, siamo riusciti a decifrare "mio padre" e "a me" ma non il resto... dopodiché hai iniziato a contorcerti, a lamentarti. Si vedeva che soffrivi molto e a quel punto sei uscito dal titano di tua scelta, ma non eri propriamente cosciente. Tu non ricordi niente?»
«No, non riesco a ricordarmelo...» mormorò Eren, frustrato. E Beatris continuò a spiegare: «Ti abbiamo fatto riposare, ma dopo mezz'ora hai detto che volevi riprovarci. Non eravamo molto convinti, ma Hanji era un po'... sovraeccitata, o forse troppo frettolosa. Ti ha concesso di farlo, nonostante io abbia provato a oppormi. Anche quella volta non sei riuscito a indurirti, ma la cosa strana era che il tuo gigante era di tredici metri e non quindici come il solito. Abbiamo riprovato con i test d'intelligenza, ma questa volta non riuscivi a capire quello che ti dicevamo ed eri un po' fuori controllo. Hai mangiato la casa che avevi costruito precedentemente, hai iniziato a correre impazzito, e dopo un po' sei stramazzato al suolo».
«Ho... fatto del male a qualcuno?!» chiese Eren, improvvisamente spaventato, e Beatris arrossì lievemente prima di dire: «No, per fortuna no».
«Beatris ha provato a controllarti e per poco non la travolgevi, mentre cercava di mettersi davanti a te per parlarti» disse invece Mikasa. Beatris si imbronciò, frustrata: «Controllare Scemo-Eren è il mio compito! Ho provato... a rendermi utile».
«Bea!» esclamò Eren. «Smetti di metterti in pericolo inutilmente!»
«Sto bene! Non mi sono fatta niente! Comunque non sembravi intenzionato a farci del male, eri fuori controllo ma probabilmente riuscivi a riconoscerci e sapevi che non dovevi ferirci. Dopo questa scenata, sei di nuovo stramazzato al suolo e sei uscito dal tuo gigante. Ti sei voluto riposare per un'altra mezz'ora e dopo hai chiesto di provarci ancora. Inutile dire che non eravamo assolutamente d'accordo, ma Hanji ti ha dato manforte e lo avete fatto. Nell'ultimo tentativo eri alto dieci metri, ma la tua conformazione fisica era incompleta. Eri pelle e ossa, non riuscivi nemmeno a reggerti in piedi, oltretutto tu non eri nemmeno completamente dentro al gigante. Dalle spalle in giù sei rimasto fuori. Questa volta non sei uscito di tua iniziativa, ti abbiamo dovuto strappare via dalla carne del titano dentro cui sembrava addirittura tu ti fossi fuso. Mio dio, è stato un incubo...» sospirò. «Avevi tutta la pelle del volto strappata e scavata. Hanji ha perso la testa, ti ha persino fatto un ritratto. Penso sia utile nel caso uno voglia restare sveglio la notte in preda agli incubi, eri veramente orribile. Abbiamo dovuto recidere la carne del gigante per tirarti via. E allora non ti sei più svegliato... fino ad'ora».
«Perciò...» mormorò Eren, abbassando lo sguardo. «Ho fallito. Non possiamo ancora andare a riconquistare il Wall Maria».
«Ci possiamo lavorare ancora su, ma è ovvio che devi riposare adesso!» cercò di essere positiva Beatris.
«Ma non abbiamo molto tempo...»
«Proprio così» intervenne Levi. «Sei stato una vera delusione oggi e per questo siamo stati tutti di merda per tutto il giorno».
«C-Capitano!» brontolò Beatris.
«Eren ha fatto del suo meglio» lo difese anche Mikasa.
«E allora? Che importanza ha quanto si sforzi, se non possiamo ancora richiudere quel buco?»
«Ma... non può incolpare Eren di questo» disse Mikasa e Levi rispose, rapido: «Non lo sto incolpando. Sto solo cercando di metterci di fronte ai nostri limiti e discutere delle possibilità».
«A me sembrava che lo stesse incolpando» sussurrò Beatris tra sé e sé.
«Ci sono davvero delle possibilità? Che cosa hanno portato questi esperimenti?» chiese Eren, scoraggiato.
«Beh...» gli sorrise Beatris. «Intanto abbiamo potuto studiare meglio le tue condizioni di gigante. Sappiamo che sei comunque capace di comprendere e controllarti, ma ti stanchi e hai dei limiti. Hanji sta esaminando i dati, ma così saremo in grado di capire anche qual è il tuo limite di tempo in forma di titano. Non è stato un totale fallimento, abbiamo compreso molte cose... anche che forse non riesci a indurirti perché non è nelle tue capacità. Se ci pensiamo, tu e Annie avete usato il potere dell'urlo, ma Reiner e Bertholdt non l'hanno mai fatto. E neanche Ymir. Forse i titani hanno tutti capacità personali, è un caso che tu e Annie condividiate lo stesso, o qualcosa di simile. O magari Annie ha possibilità di imitare le capacità degli altri, in fondo anche lei sapeva indurire parti del suo corpo come Reiner, ma non Ymir. Ymir si è trovata molto in difficoltà con i giganti al castello, credo che lei non sappia farlo, quindi... magari non tutti sanno fare tutto».
«E quindi... il nostro piano di riconquista del Wall Maria?»
«Ci lavoreremo ancora, non dobbiamo abbatterci! Eren... non è ancora finita» gli disse, decisa. Per quanto la frustrazione fosse predominante nello stato d'animo di Eren, abbattersi e rinunciare non era nella sua indole. Strinse i pugni, deciso, e si costrinse a essere positivo. In qualche modo, avrebbero vinto quella guerra. La testa cominciò a vagare tra i pensieri, sempre più oppressivi e confusi, e infine gli uscì un lamento dalla gola. Una fitta alla testa lo trafisse, nell'istante in cui ebbe l'impressione di ricordare il volto di una ragazza... molto simile a Historia. Chi era?
Si portò una mano alla testa e Mikasa fu in un attimo al suo fianco. «Sei ancora molto debole, Eren. Devi riposare, non sforzarti».
«Ho riposato abbastanza» lamentò lui e in quel momento la voce di Jean arrivò dal piano di sotto: «Scendete! È arrivata Nifa!»
«Uno dei sottoposti di Hanji» spiegò Beatris. « Il capitano è andata a parlare con Erwin, alla capitale. Valutava l'ipotesi di cercare qualcun altro del culto delle mura per interrogarlo sul segreto dei giganti dentro al muro e intanto gli ha riportato i risultati dei nostri esperimenti» e si alzò in piedi, per scendere al piano di sotto. Eren si scostò le coperte dalle gambe e cominciò ad alzarsi. Mikasa, di fianco a lui, provò ad aiutarlo, preoccupata, ma lui riuscì a mettersi in piedi da solo.
Scesero al piano di sotto e Nifa appena vide Levi lo salutò con un pugno al petto e uno sguardo che pareva proprio quello di una che aveva decisamente troppa fretta.
«Capitano Levi» disse, avvicinandosi a lui rapidamente. Gli porse un foglio. «Ordini del comandante Erwin, dalla capitale!».
«Grazie» disse lui prendendo il biglietto e cominciando a leggere. «Mettiti a sedere, sembri distrutta».
«Stiamo correndo un po' in giro, ultimamente, è vero» sorrise Nifa, imbarazzata. E accettò volentieri di mettersi almeno a sedere. Historia le portò del tè ancora caldo, preparato poco prima, e restarono in silenzio qualche secondo, mentre Levi leggeva gli ordini. Il suo sguardo si fece improvvisamente cupo e infine porse il biglietto ad Eren, al suo fianco. «Ecco, leggete anche voi».
Il resto dei ragazzi circondarono in un attimo Eren, e sporgendosi al suo fianco o oltre alla sua spalla iniziarono a leggere. Non erano buone notizie, non lo erano affatto. Erwin era riuscito a estrapolare qualche informazione, parlando con il comandante di gendarmeria Nile, e a comprendere che la loro posizione non era più sicura. Aveva inoltre ideato un piano, per passare infine al contrattacco. Se avessero aspettato ancora nell'ombra, sarebbe stato troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Dovevano passare all'azione.
«Capitano...» mormorò Jean, turbato.
«Avete letto tutti? Questi sono gli ordini» disse semplicemente Levi. «Avanti, sbrigatevi, raccogliete tutte le vostre cose. Partiamo immediatamente».
E non se lo fecero ripetere due volte. Iniziarono a sistemare, a prendere le cose necessarie, a organizzarsi. Nifa si alzò in piedi e salutò Levi, dicendogli che sarebbe dovuta tornare subito da Hanji. Si congedò e poche ore dopo, appena dopo il tramontare del sole, anche il resto della squadra era fuori. Appena in tempo... per non essere messi con le spalle al muro. Dal bosco, riuscirono a vedere le torce di alcuni uomini che si avvicinavano alla casa ora abbandonata, sicuramente non con intenzioni amichevoli.
Erano probabilmente uomini della gendarmeria, o uomini che lavoravano per la gendarmeria. Non seppero identificarli, ma li lasciarono perdere e si preoccuparono solo di mettersi in marcia, allontanarsi il più possibile e raggiungere infine la loro destinazione: Trost.
Era prima mattina quando raggiunsero la città. Era ancora distrutta dai recenti scontri, nonostante fosse passato più di un mese ancora sembrava una città sull'orlo di una crisi, ma i suoi cittadini non erano intenzionati a lasciarsi vincere dalla frustrazione. Stavano ancora cercando di risollevarsi, e per questo già da quell'ora era possibile vedere movimento e un gran via vai per le strade. Mercanti, operai, cittadini, tutti cercavano di darsi da fare per tornare a una vita normale, nonostante le condizioni disastrose e di povertà in cui vivevano. Era molto triste... se fossero riusciti a riprendersi Shiganshina, avrebbero dovuto vivere le stesse condizioni? Avrebbero mai riavuto indietro le loro case? Quanto tempo sarebbe stato necessario prima di tornare alla normalità? Ci sarebbe mai più stata... una normalità?
Beatris abbassò lo sguardo, mentre camminavano lungo la via centrale, incapace di guardare negli occhi l'afflizione di quella gente. Forse incapace di guardare proprio quelle stesse strade. Era lì, tra quei tetti, che tutto aveva iniziato a decadere. Lì aveva assistito alla morte di Marco, lì aveva scoperto la vera identità di Reiner, lì aveva rischiato veramente la vita per la prima volta, e lì la sua vita aveva iniziato a crollare. Trost era ormai il suo incubo. Sospirò, cercando di mantenere una parvenza di calma, e l'istinto la portò a stringersi le dita sul bicipite del braccio sinistro. Era passato del tempo... eppure non era ancora riuscita a liberarsi di quella fascia. Sotto alla sua camicia, sotto al mantello, lei era ancora ben aderente alla sua pelle. E riusciva assurdamente a scaldarla più di ogni altra cosa.
«Ehy!» sentì esclamare qualcuno. «Tu sei il capitano Levi?!»
Alzò lo sguardo e quasi si spaventò quando vide che erano stati praticamente accerchiati da una piccola folla. Levi proseguì, senza dar loro considerazione, aprendosi la strada, ma presto persino camminare divenne impossibile.
«Sì, sì, è lui! L'ho riconosciuto anche io!»
«Certo che è proprio basso. L'avevo sempre visto solo a cavallo...»
«Tu sei davvero il soldato più forte dell'umanità?»
Schiacciata da alcune persone, che ormai li avevano completamente accerchiati, e terrorizzata da quella situazione, Beatris si strinse contro Jean al suo fianco. Col viso nascosto dal cappuccio, Jean la prese per le spalle e tentò di tirarla via, spingerla avanti, per aiutarla a camminare. Ma fu tutto inutile.
«Toglietevi dai piedi» tentò di grugnire Levi, frustrato.
«Eddai, capitano! Ascoltaci! Noi gente comune vogliamo solo scambiare due parole con te» disse un contadino davanti a lui.
«Abbiamo perso un sacco di soldi per colpa del vostro piano di evacuazione per quella stronzata dei giganti dentro al Wall Rose, che poi si è persino rivelata falsa» disse qualcun altro. I giganti trasformati del villaggio di Connie, quando avevano temuto una breccia, avevano costretto l'intera popolazione del muro ad evacuare per quasi una settimana all'interno della città sotterranea. Erano stati giorni difficili per quella gente, che non solo aveva di nuovo dovuto abbandonare le proprie case e il proprio lavoro, ma si era ritrovata con scorte alimentari misere. Beatris lo ricordava bene, quando erano stati costretti a rifugiarsi all'interno del Wall Rose, dopo la distruzione del Wall Maria. Avevano dovuto lottare molto, i primi tempi, per riuscire a trovare qualcosa da mangiare, erano stati giorni pieni di disperazione. Poteva capirli, ma ciò non toglieva che non erano nelle condizioni in quel momento di starli ad ascoltare. Avevano una missione da compiere, non avevano tempo da perdere.
«E non solo! La gente non viene più nelle città satellite come la nostra, sono tutti spaventati!» insisté un commerciante.
«Vuol dire che non riusciamo a fare soldi, non possiamo comprare da mangiare!»
«E le truppe stazionarie di guarnigione e gendarmeria non vengono più da queste parti, la delinquenza sta aumentando spaventosamente!»
«Le tasse continuano ad alzarsi, oltretutto... cosa dovremmo fare, secondo voi?»
«Perché, capitano, i giganti continuano ad attaccarci?! Perché voi della legione non fate niente per fermarli, eh? Non è anche per questo che paghiamo le tasse? Per finanziare il vostro inutile lavoro».
Una serie di accuse, disgrazie vomitate senza sosta, e Levi non rispose nemmeno a una di queste. Aveva il volto freddo e corrucciato, irritato visibilmente per l'aggressione, ma non era intenzionato a rispondergli. E non era da lui, la sua lingua tagliente era leggenda. Forse... semplicemente... riusciva a capirli?
«Se aveste un po' di buon senso ci lascereste dei soldi» continuò uno dei cittadini. «In fondo, voi della legione, quei soldi mica ve li siete guadagnati! Non avete mai fatto niente di buono per l'umanità».
Un rumore alle loro spalle, ma fu flebile. Le voci della folla sovrastavano ogni cosa.
«Ehy! Mi stai ascoltando, Signor cazzo di soldato migliore dell'umanità?!» ruggì uno dei commercianti e prese Levi per il colletto, rabbioso.
«Attenti!» gridò in quel momento Levi e con una spallata spinse via i tre che gli erano addosso. Era solo, contro tre, eppure riuscì a buttarli tutti a terra... appena in tempo per aiutarli a schivare un carro che correva impazzito lungo la strada a una velocità folle. Li avrebbe travolti, se non si fossero spostati per tempo, ma il carro riuscì comunque a sfiorarli, quasi colpirli. Passò tra la folla, pericolosamente, e si allontanò subito dopo. Sembrava che fosse stato intenzionato proprio a investirli, ma capirono qual era il vero obiettivo degli uomini che lo guidavano solo quando sentirono Beatris urlare. L'avevano presa, lei insieme a Jean, e li avevano caricati sul carro con una ferocia tale da far loro sbattere le schiene contro il legno.
«Hanno preso Christa e Eren!» urlò Armin. L'attenzione dei cittadini che li avevano accerchiati andò tutta al carro, che ora fuggiva via con i due a bordo, e quando tornarono a Levi e il resto della sua squadra non li videro più. Spariti nel nulla.
Beatris e Jean vennero sbattuti a terra del carro in corsa e subito legati. Tolsero loro cappucci e mantelli, scoprendo così i loro volti. Da sotto la parrucca bionda, Beatris lanciò uno sguardo allarmato a Jean. Aveva anche lui una parrucca scura in testa, ma non somigliava affatto a Eren. Quanto ci avrebbero messo a scoprire la verità? Ma soprattutto... perché era toccato proprio a loro due fare la parte dei sosia?
Si fidava dei suoi compagni, sapeva che sarebbero intervenuti in tempo per salvarli, ma stare legata, schiacciata dal peso di un uomo, non la faceva comunque sentire a suo agio. Era spaventata.
Jean cercò di lanciarle uno sguardo deciso, provò a infonderle coraggio con quel semplice gesto, poi tornò a tentare di dimenarsi e liberarsi. Fingendo di ribellarsi.
«Lasciateci!» disse Beatris. «Che cosa volete da noi?!»
Tentò, sperando di estorcere qualche informazione ai loro rapitori, ma questi non risposero e tapparono infine loro la bocca con dei fazzoletti. Vennero bendati e i loro lamenti contrariati furono a dir poco inutili. Non videro dove fossero diretti, sentirono solo che a un certo punto si fermarono e gli uomini che li avevano rapiti li costrinsero a scendere. Li guidarono per qualche metro, tenendoli ancora bendati, e infine li costrinsero a sedersi su delle sedie. Solo allora tolsero loro le bende dagli occhi. Anche se sul carro ne avevano contati almeno quattro, solo due di questi erano con loro.
«Vado a chiamare il capo» disse il primo e si voltò a guardare l'altro. «Tienili d'occhio».
Si allontanò, infine, e li lasciò soli con l'ultimo rimasto. Beatris e Jean tentarono di guardarsi attorno, capire dove fossero finiti, ma il posto sembrava solo un magazzino come un altro. Non c'era un segno distintivo, un marchio, una cassa scoperta che facesse loro intuire qualcosa. Videro una finestra, in alto, e lanciarono in quella direzione un rapido sguardo. Intercettarono gli occhi di Mikasa, nascosta, li stava osservando. Erano riusciti a seguirli, per fortuna. Quegli uomini non dovevano essere molto svegli, soprattutto se ancora non erano riusciti a identificare correttamente Beatris e Jean, probabilmente non facevano parte della gendarmeria ma lavoravano sicuramente per loro.
L'uomo che era rimasto con loro, a guardia, tolse il fazzoletto dalla bocca di Beatris e lei prese un paio di ampie boccate d'aria prima di voltarsi a guardarlo. «Ehy! Diteci dove siamo! Perché siamo qui? Cosa volete da noi?» tentò di nuovo di estorcergli qualche informazione, ma lo sguardo che l'uomo le rivolse la fece impallidire. Sembrava... eccitato?
«Che c'è?» le disse, avvicinandosi improvvisamente a lei. «Vuoi urlare dalla paura? Puoi farlo se vuoi, qui dentro non ti sentirà nessuno» sghignazzò, afferrandola per il viso. «Tranne me, ovviamente».
Si avvicinò talmente tanto che riuscì a sentire la puzza del suo fiato sfiorarle la punta del naso. La guardò da capo a piedi, scrutandola, studiando ogni singolo centimetro del suo corpo, e Beatris si sentì nuda sotto quello sguardo che pareva intenzionato a scoprire cosa avesse sotto i vestiti. Un lamento le uscì dalla gola e tentò, invano, di indietreggiare.
«Dai» mormorò l'uomo, e spinse il proprio viso sotto la guancia di Beatris, schiacciandole il naso sotto l'orecchio. «Perché non urli? Fammi sentire ancora quella bella vocetta che hai».
Poté chiaramente sentire le sue labbra sfiorarle la pelle, mentre parlava, e ne provò un disgusto tale che per poco non gli vomitò addosso. Il cuore impazzì nel petto, sentì chiaramente i suoi battiti sfondarle i timpani, e cominciò a tremare. Quel tocco... era così intimo, così privato, così violato. L'unico che avesse mai permesso di toccarla in quel modo era stato Reiner, ed era stata una sensazione completamente opposta a quella che provava in quel momento. Forse proprio l'averlo provato con lui, in passato, la portò a disperarsi ancora di più. Non solo la stava profanando, ma stava violando, distruggendo, ciò che di bello era stato un tempo. Mai avrebbe voluto sentire altre labbra, altro tocco e altro respiro sulla pelle, se non quelle di Reiner. Non doveva farlo, non doveva osare contaminare qualcosa di così bello. Ma non poteva muoversi, non poteva reagire in alcun modo, e l'uomo continuò a far scorrere il suo sudicio naso e le labbra su quella pelle che non gli apparteneva. Non a lui. Non in quel modo così macabro e disgustoso. Tremò e gli occhi cominciarono a inumidirsi di lacrime.
"Reiner..." non riuscì a pensare ad altro. "Aiutami".
Quell'uomo non solo osava violentare così il suo corpo, ma stava violentando i suoi ricordi, le sensazioni, si stava appropriando di ogni cosa. Stava oltraggiando Reiner stesso. Più lo sentiva sulla propria pelle, più rievocava le sensazioni che aveva provato le notti che aveva passato con Reiner, e più se le sentiva strappare via. Le vedeva, proprio davanti a sé, mentre venivano fatte a brandelli, cancellate del tutto e sostituite con qualcosa di talmente disgustoso e terribile da farle sentire l'acido dei succhi gastrici dritti in gola.
Sentì un urlo, soffocato, e spostò lo sguardo su Jean, davanti a sé. Si dimenava sulla sedia, legato, ancora imbavagliato. La guardava con occhi pieni di panico e rabbia e si agitava tanto, sulla sedia, che questa barcollava e dondolava da una parte all'altra. Continuò a ringhiare, per quanto il fazzoletto alla bocca glielo permettesse, e a dimenarsi, allungandosi con la testa nella direzione di Beatris. Scosse la testa, cercò di tirare muscoli nel tentativo di far scivolare i polsi dalla presa delle corde che lo tenevano bloccato, di allungare il collo e strofinarsi contro la guancia per togliersi il bavaglio di bocca. Ma fu tutto inutile. L'uomo gli lanciò uno sguardo e sghignazzò divertito, prima di tornare a divertirsi con quello che era il suo nuovo giocattolo. Le afferrò il primo bottone della camicetta e glielo aprì, scoprendole così le clavicole. Quando Beatris sentì la sua mano infilarsi sotto la stoffa e scivolarle fino alla spalla sinistra, una lacrima infine le cadde dagli occhi. Lo sentì mentre con un tocco ruvido le accarezzava la spalla, e scendeva poi fino al braccio, trascinando con sé parte della stoffa, scoprendole il braccio. Rapidamente. Fino al bicipite. Fino ad arrivare alla fascia di Reiner.
Questa fascia è ciò che mi rappresenta e mi identifica più di qualsiasi altra cosa.
Vorrei che la tenessi tu, Tris... però non mostrarla a nessuno. Tienila nascosta.
Non doveva osare. Non doveva azzardarsi a profanare una cosa come quella! Non doveva mostrarla... non doveva azzardarsi a toccare quella fascia. Non doveva azzardarsi a toccare Reiner.
Successe tutto in un istante e fu talmente rapido che nemmeno le si accorse della follia che improvvisamente l'accecò. Sentì solo una scarica di rabbia raggiungerla fino alla punta dei capelli, una furia folle e offuscante. Non avrebbe permesso a nessuno di toccarla, non avrebbe permesso a nessuno di toccare ciò che di più importante aveva al mondo, persino più importante di se stessa. Non doveva mostrarla, non doveva azzardarsi a scoprirla.
Si voltò verso di lui, contratta in un'improvvisa espressione omicida, e senza pensarci aprì la bocca e strinse i denti sulla prima cosa che trovò davanti a sé. Afferrò l'orecchio dell'uomo e tirò via con una forza che nemmeno credeva di avere. In una scia di sangue, lo vide allontanarsi e premersi la mano contro l'orecchio ora strappato e privato della parte superiore, ancora stretta tra i denti di Beatris. Lo sentì urlare di dolore, forse la insultò, ma lei era talmente obnubilata dall'ira e dalla pazzia da non riuscire nemmeno a comprenderlo. Sputò via il pezzo d'orecchio, si mosse sulla sedia, si agitò talmente tanto che barcollò su di un lato e finì col cadere a terra. Tentò di muoversi, immobilizzata, ma non le importò. Voleva raggiungerlo, voleva ucciderlo. E come se ne avesse avuto la forza... vide l'uomo davanti a sé cadere a terra, sbattendo violentemente la testa a terra. Solo successivamente notò Levi sopra di lui. Questo lo afferrò per i vestiti, lo sollevò da terra e lo sbatté violentemente contro una cassa lì vicino. Vide l'uomo cadere di nuovo a terra, privo di forze per il terribile colpo che gli aveva tolto persino il fiato. Cadde a bocca aperta e gli occhi riversi all'indietro, ma ancora ebbe la forza di muoversi, strisciando una mano a terra. Levi gli tirò un paio di calci, il primo nello stomaco, tanto forte da farlo sputare un misto di saliva e succhi gastrici tornati su. Il secondo dritto in volto, centrando la bocca aperta. Quando tirò via il piede, almeno quattro denti vennero via con il suo stivale. E l'uomo non si mosse più.
«Vecchio schifoso» sibilò Levi tra i denti. E Beatris restò per un istante paralizzata, a guardare il capitano, quasi spaventata benché fosse intervenuto proprio per difendere lei. Quello sguardo... non glielo aveva mai visto addosso. Metteva i brividi, ero lo sguardo di un vero assassino.
«Bea!» la chiamò Mikasa, e si rese conto solo in quel momento che l'amica era sopra di lei. Tirò in piedi la sedia, raddrizzandola, e prese il volto della ragazza tra le mani.
«Stai bene?» le chiese con lo sguardo terrorizzato. Beatris deglutì e non riuscì a smettere di tremare. Ma annuì, dopo qualche istante di esitazione.
Mikasa le passò le mani sulle guance, cercò di ripulirla dalle lacrime, ma fu solo una scusa per poterla accarezzare. Infine l'abbracciò e la strinse forte contro la sua spalla.
«Quel bastardo... lo ammazzo. Giuro che lo ammazzo» la sentì sibilare vicino al suo orecchio.
«Ripuliscila» ordinò Levi. «E rivestila. Mettile di nuovo il bavaglio alla bocca, nasconderà il sangue. Non era previsto che intervenissimo in questo momento, dovevamo aspettare che arrivassero i suoi complici, ma non abbiamo potuto fare altrimenti... ».
«Capitano!» gridò Connie, da sopra la finestra da cui erano entrati Mikasa e Levi, ora sfondata. Erano stati tanto veloci, era stato tutto così pieno di confusione, che non avevano nemmeno avuto modo di sentire il vetro che si rompeva. «Arrivano!»
«Occupati di lei, fai in modo che sembri che non sia successo niente. Io nascondo questo stronzo» disse Levi a Mikasa. E non persero tempo a farlo. Mentre Levi trascinava l'uomo ora svenuto dietro a delle casse e si occupava di legarlo e imbavagliarlo, Mikasa sistemò frettolosamente Beatris. Prendendo l'angolo della sua camicia, ancora abbassato fino al bicipite, arrivò a sfiorare la fascia di Reiner che adesso sbucava da sotto i suoi abiti per un angolino. Beatris sussultò e si guardò, spaventata, ma Mikasa tirò su i suoi abiti immediatamente. Neanche la notò. E questo le diede modo di iniziare a ritrovare la calma.
«Resisti solo un altro po', va bene?» le disse infine Mikasa, dandole un'altra carezza sul volto. Beatris annuì, senza riuscire a dire niente, e si lasciò imbavagliare per completare l'opera.
«Mikasa!» la chiamò Levi, in un sussurro. Delle voci e dei passi si avvicinavano. Usarono il loro sistema di movimento tridimensionale e volarono fin sopra al soffitto, dove si nascosero infine tra le travi. Non ci volle molto, solo pochi secondi, e tre uomini entrarono in quello stesso magazzino.
«Non riferite a nessuno della cattura, per il momento. È la nostra ultima chance, non possiamo permetterci errori» disse un uomo basso e corpulento, raggiungendo Beatris e Jean. Si guardò intorno disorientato e chiese: «Dov'è la guardia?»
Non ebbe neanche il tempo di cominciare a capire, che qualcosa si mosse alle sue spalle. Quando si voltò vide l'uomo che aveva con sé, sulla destra, cadere a terra. Colpito da Mikasa. Alla sua sinistra, contemporaneamente, anche il secondo uomo andò a terra, colpito violentemente al volto da Levi. Schiuse le labbra, pronto a parlare, chiedere, urlare, ma Levi gli fu addosso in un istante. E atterrò anche lui. Armin, dalla finestra sfondata, li raggiunse in un attimo, con corde e bavagli.
«Presto!» ordinò Levi e si affrettarono a legare tutti quanti.
«Connie!» chiamò poi, alzando la testa alla finestra: «Ce ne sono altri?»
«No, capitano! Solo loro!» rispose il ragazzo.
«Continuate a tenere d'occhio l'esterno!» e cominciò a trascinare tutti in una posizione migliore per poter provare a parlare un po'. Mikasa e Armin, finito di legare anche il resto degli uomini, corsero infine a liberare Jean e Beatris.
«Tris!» chiamò Jean, non appena fu libero di parlare e muoversi. Corse incontro alla ragazza a braccia tese, pronto ad abbracciarla, ma si bloccò improvvisamente. Forse un contatto fisico, in un momento del genere, non era quello di cui aveva bisogno. Restò con le braccia sospese per aria, intorno alle sue spalle, ma senza toccarla. E la guardò mentre ancora scossa si stringeva nelle spalle. La mano destra andò ad afferrare la fascia di Reiner sul bicipite, finalmente protetta dai vestiti, e la strinse con tale forza da farsi male. Aveva avuto così tanta paura... così tante sensazioni negative tutte insieme. E forse, a peggiorare la sua situazione, ci fu anche la consapevolezza che ancora non era riuscita a dimenticarlo. Nel momento di peggior pericolo, aveva pensato a Reiner. Aveva davvero pregato che arrivasse a salvarla. Aveva sentito la sua voce nella testa, aveva desiderato così ardentemente poterlo rivedere. Si sarebbe mai liberata da quell'afflizione? Dov'era adesso? Perché era così lontano da lei da non riuscire nemmeno a sentire le sue urla disperate, mentre lo chiamava? Non riuscì a nascondere le emozioni, il turbamento e il dolore le deturparono il viso, e Mikasa l'abbracciò di nuovo.
Cosa avrebbe dato per poter essere stretta da Reiner, in un momento come quello dove le erano stati macchiati persino alcuni dei più bei ricordi che avesse di lui. Dove lei aveva vissuto un pericolo ben maggiore, dell'essere semplicemente uccisa. Ora, più che mai, aveva bisogno di lui... e lui non c'era. Non aveva che quella fascia a rincuorarla miseramente. Almeno quella era stata in grado di proteggerla. Quell'ultimo segno della sua vicinanza.
Non se ne sarebbe mai liberata... e mai avrebbe voluto farlo. Nonostante tutto, lei avrebbe sempre portato quella fascia al braccio. Ne aveva bisogno, più di ogni altra cosa. E se ne rendeva conto solo in quel momento.
«Grazie per essere intervenuti» mormorò Jean, afflitto nel vederla così.
«Non potevamo fare altrimenti» commentò Mikasa.
«Ehy...» sentirono dire da Levi, alle loro spalle. Si voltarono e lo videro avvicinarsi all'uomo basso, che era entrato insieme agli altri due. «Tu sei il capo?»
«No!» esclamò l'uomo, disperato. «Io sono un semplice vecchio. Sono stato mandato qui per sostituire qualcun altro, non c'entro niente in questa storia!»
«Mh?» mormorò Mikasa, aggrottando le sopracciglia. Lasciò andare Beatris nelle mani di Jean e Armin, e si avvicinò a lui. «Mi ricordo di te» disse, guardando l'uomo a terra. «Durante l'evacuazione di Trost, quando ci fu l'attacco del colossale alle mura, avevi bloccato le porte del Wall Sina con il tuo enorme carro e non facevi passare nessuno. I suoi uomini lo chiamavano "presidente". È lui, ne sono sicura».
«Merda» sibilò l'uomo a terra, corrucciandosi.
«Bene, Signor Presidente» disse Levi, fulminandolo per l'ormai scoperta bugia. «Direi che tu vieni a farti un giro insieme a me. Non riesco a stare chiuso in questa topaia. I tuoi uomini invece resteranno qui a farsi un sonnellino ancora per un po', invece».
«Tanto qui adesso comandi tu...» rispose l'uomo, frustrato.
«Teneteli d'occhio» disse Levi, al resto dei ragazzi. Poi puntò gli occhi a Beatris, ancora stretta in se stessa, adesso appoggiata a Jean. «Portala fuori. Falle prendere una boccata d'aria, ma prima toglietevi quei travestimenti di dosso» disse, guardando Jean. Si caricò poi l'uomo in spalla con una facilità disumana, vista la sua corporatura, e usando il movimento tridimensionale uscì dalla finestra sfondata, sparendo poi tra i tetti.
Jean si tolse la parrucca e scosse la testa, per ridare vigore ai capelli e liberarsi dalla sensazione di oppressione che questa gli aveva dato. Poi tornò subito a concentrarsi su Beatris.
«Toglietela anche tu, ti porto fuori» le disse. Beatris annuì semplicemente, si tolse la parrucca dalla testa ma non sembrò sollevata come lo era Jean nell'avere finalmente la testa libera. Jean le mise una mano dietro la schiena e la guidò fuori dal locale dove erano chiusi, accostandosi la porta alle spalle. L'aria fresca e la lontananza dall'uomo che l'aveva aggredita avrebbero dovuto aiutarla a stare meglio, invece sembrò più persa che mai.
«Quel bastardo ha avuto ciò che si meritava» disse lui, sospirando e appoggiando le spalle al casolare alle loro spalle. «Meno male il capitano Levi è arrivato in tempo».
«Già. È...» esitò, pensierosa. «Era particolarmente arrabbiato. Non me lo sarei aspettata».
«Che dici? Perché no? Quel bastardo ti stava mettendo le mani addosso, chiunque avrebbe reagito così!» sussultò Jean.
«Hai ragione. Pensavo solo che il capitano Levi non mi ha mai avuta molto in simpatia. Non mi aspettavo se la sarebbe presa così tanto».
E Jean sospirò. Alzò lo sguardo al cielo, seguendo il tragitto di una nuvola particolarmente veloce. Non poteva darle totalmente torto, Levi non si era mai fidato di lei, la trattava più come una prigioniera che come un'alleata. Era particolarmente duro, ma questo non significava che fosse un bastardo. Era umano, era normale che avesse reagito con tale rabbia di fronte a un gesto tanto schifoso come quello. Ma riflettere su quelle cose, lo portarono comunque a incupirsi. Il capitano Levi non si fidava di lei... chi altro non lo faceva? Perché non riuscivano a capirla? Perché... nemmeno lui riusciva completamente a capirla? Davvero una persona come Beatris, con una bontà d'animo fuori dal comune e un'innocenza rara, aveva seguito Reiner in tutto quello con tale facilità? Non riusciva a crederci, nemmeno ora che glielo aveva detto lei stessa.
«Perché ti fidavi così tanto di lui?» mormorò, pensieroso. «Perché ti sei lasciata usare in quel modo da Reiner e non hai mai detto niente a nessuno? Nemmeno a Mikasa...»
Beatris alzò gli occhi da terra per la prima volta e li spostò lentamente su Jean. Non rispose subito, ma lasciò che un'ondata di tristezza e malinconia le chiudesse per un istante la gola. Reiner se n'era andato lasciandola in una botte di ferro, l'aveva messa in sicurezza sacrificando se stesso, accollandosi tutte le responsabilità, sicuro forse che da lì in avanti per lei sarebbe stato facile. Ma aveva sbagliato, ancora una volta. Non riusciva proprio a capire quanto male le facesse, quanto la mettesse in situazioni complicate e spiacevoli. O forse era lei, come al solito, a rovinare tutto. Forse se avesse sostenuto la sua bugia totalmente, senza ammettere che lei in realtà conosceva la sua identità, senza ammettere il suo crimine contro Sawney e Bean, forse sarebbe stato semplice... o forse sarebbe stato ancora peggio. Lei non era capace di inventare scuse, Reiner lo sapeva, come pretendeva che fosse in grado di portare da sola il peso di quelle bugie? Era stato semplice condividerle con lui, era stata in grado di sostenerle e assecondarle se aveva una forza a cui attingere, ma ora che era sola... a cosa si sarebbe aggrappata per non annegare? Da sola non era in grado di fare niente.
«Credo che semplicemente io ne fossi innamorata e basta» rispose, vaga. «Non riuscivo ad accettare che lui fosse il nemico, non riuscivo ad accettare che fosse il cattivo. Credevo alle sue parole, credevo alla sua buona fede, e ho cercato di proteggerlo. Mi dispiace, Jean».
«Sì» sospirò Jean. «Hai già chiesto scusa un milione di volte, ho capito. Ma ancora non riesco proprio a capirlo. Non ti fidavi dei tuoi amici?»
La domanda le fece più male di quanto si fosse mai potuta aspettare. Tornò a stringere la fascia di Reiner sotto i suoi vestiti, tornò a cercare in lei il conforto e il sostegno, ma non ne ottenne molto. Indietreggiò di un passo, si appoggiò al muro del casolare, pochi passi lontano da Jean, e si lasciò scivolare a terra. Si raccolse nelle proprie ginocchia e nascose il viso al loro interno.
«Io...» mormorò. Certo che si fidava, si era sempre fidata ciecamente di loro, ma quanta validità avevano quelle parole di fronte ai fatti? Non riuscì più a dire altro, non riuscì a trovare niente di sensato da dire, niente che potesse giustificarla da ciò che aveva fatto. Eppure, persino in un momento come quello, continuava a credere in Reiner. Perché era così sciocca, perché il suo cuore era così stupido e assordante, capace di spegnere ogni logica? Si odiava. Si odiava profondamente, perché non aveva assolutamente il controllo di se stessa. E non sapeva come fare per riuscire ad ottenerlo.
Jean sospirò, abbattuto. Odiava vederla in quelle condizioni, ma certo non avrebbe potuto tenersi tutto dentro col rischio di scoppiare più avanti. Anelava delle risposte, voleva capire, ma non c'era niente che potesse dargli le giuste rassicurazioni. Era così lampante: Beatris era completamente accecata dai suoi sentimenti, tanto da arrivare a voltare le spalle anche ai suoi stessi amici. Non la colpevolizzava per questo, ne provò solo tanta pena. E rabbia verso l'uomo che l'aveva usata in quel modo.
«Quando troveremo Reiner gli darò una bella lezione» le disse e si lasciò scivolare vicino a lei. Le mise una mano sulle spalle, confortante. «Lo farò pentire per ciò che ha fatto. Stanne certa».
E non aveva idea di quanto avesse tutte le motivazioni per farlo. Reiner aveva ucciso Marco e Jean non si era mai ripreso da quel lutto, l'aveva segnato per sempre. Se solo avesse saputo ciò che realmente Reiner aveva fatto, se solo avesse saputo che era stato lui a ucciderlo, probabilmente la sua rabbia sarebbe stata ancora maggiore. Lui aveva tutte le ragioni di farlo, pestarlo, forse ucciderlo. Se solo avesse saputo che lei era stata lì... che l'aveva visto morire, che l'aveva sentito urlare, e non aveva fatto niente per salvarlo. Che aveva aiutato il suo assassino a scamparla, che lo aveva giustificato, perdonato e protetto. Se solo avesse saputo che era stata anche colpa sua... cosa sarebbe successo? Avrebbe iniziato a odiare anche lei, sicuramente, l'avrebbero allontanata definitivamente e lei avrebbe perso l'ultima scintilla di speranza che poteva avere. Sarebbe morta, non sarebbe mai riuscita a sopravvivere a una tale solitudine, lo sapeva. Se persino Jean, con la sua immotivata fiducia e amicizia, avesse iniziato a odiarla... cosa ne sarebbe stato di lei?
Iniziò a tremare e sentì i sensi di colpa tornare ad offuscarle la mente. Si sarebbe mai liberata di un fardello come quello? Sarebbe mai riuscita a sopravvivere a una tale mole di bugie e ingiustizie?
Era vero, Reiner era un bastardo, aveva commesso atrocità e puntava a distruggere il suo mondo, ma l'unico posto in tutto quello in cui sentiva poteva esserci spazio per lei era ancora al suo fianco. Perché lei era come lui. Esattamente come lui.
«Tu ti fidi di me, Jean?» mormorò.
«Sì» rispose Jean, anche se non fu scontato per lui dirlo. Non data quella situazione, non visto che tutte le prove portavano a colpevolizzarla. «Sì, mi fido».
Non avrebbe dovuto farlo. Era sbagliato, era tutto sbagliato, così come era stato sbagliato per lei fidarsi di Reiner. Jean non capiva come lei fosse riuscita a fidarsi di Reiner, come avesse creduto più ai propri sentimenti che alle prove, ma era sciocco. Le risposte ce le aveva proprio davanti, perché lui stesso era come lei. Sciocco, decisamente troppo coinvolto, decisamente troppo puro per riuscire ad accettare che una persona a lui così vicina fosse in realtà un bastardo. Era terribile, sapeva di esserlo, Jean non doveva fidarsi di lei. Nessuno doveva fidarsi di lei. Ma lo facevano... e questo le dava egoisticamente benessere e una speranza di riuscire a sopravvivere. Sì, lei era esattamente come Reiner. Si stava approfittando dell'amore dei suoi compagni, solo per sentirsi meglio. E non poteva farne a meno. Lei non voleva morire, non voleva annegare. Continuare a mentire, era l'unica speranza che poteva avere. E se ne aggrappò, disperatamente.
«Posso chiederti di continuare a farlo?»
Jean la guardò con compassione, inconsapevole del vero significato di quelle parole. Ne lesse il bisogno di avere qualcuno in grado di capirla, ma invece era solo l'ennesima bugia che stava montando per riuscire a restare in vita. Non la comprese, e ne venne ingannato.
«Certo. Lo farò sempre».
Nda.
Buongiorno a tutti! :3 Questa settimana sono arrivata con un paio di giorni di ritardo, scusatemi, ho avuto un po' di cose da fare. Ma ci sono ancora e ci sarò sempre ehehe *w*Dunque, la situazione emotiva di Beatris sta degenerando sempre più. Si sente sola e sempre più depressa, ma la cosa sta peggiorando perché nonostante stia passando del tempo si sta rendendo conto che ha ancora bisogno di Reiner al suo fianco. Nel momento di maggior pericolo ha pensato a lui, ha supplicato che fosse lui a correre a salvarla. Inoltre, ha ancora dei segreti, sta cercando di tenersi il più possibile nella safe zone, e si sta rendendo conto che "si sta approfittando" dell'amore dei suoi amici. Soprattutto di Jean, che le è così vicino, così affezionato, e sente che lui più di chiunque altro lo sta ingannando. Eppure ha bisogno di averlo accanto e gli chiede di continuare a farlo, nonostante tutto (vi piace l'immagine a inizio capitolo in proposito *-* ehehehe bellini sono quei due!). E questo la fa sentire una bastarda... e tremendamente simile a Reiner. Le conseguenze del suo (ormai inevitabile) crollo emotivo arriveranno eccome... ciò che conta, ora, è che quando ha bisogno di aiuto e conforto continua a rivolgere la mano alla fascia di Reiner, sul suo braccio sinistro, nascosta e intenzionata a tenerla lì. Si era detta che doveva andare oltre, dimenticarlo, ma ora sta iniziando a capire che le è impossibile. Lei ha ancora bisogno di lui. Perché è esattamente come lui, sta mentendo e ha bisogno di avere qualcuno che, nonostante le bugie, credi ancora in lei (Jean mi dispiace T_T)... e sa che quindi Reiner è l'unica persona in grado di comprenderla e accettarla al 100%.
Vi lascio alla canzone di oggi, riflesso dei pensieri di Beatris rivolti a un Reiner ormai lontano, ma che continua a chiamare in suo soccorso. Perché lei, sopraffatta dal suo egoismo e dall'impellente bisogno di salvarsi, ingannando i suoi amici e approfittandosi del loro amore, sta diventando i suoi stessi demoni... lei sta diventando il nemico. E si odia per questo, ma non può farne a meno... ha bisogno di aiuto. Ha bisogno di forza. La sua forza. L'unico che sente che è esattamente come lei e può capirla e aiutarla meglio di chiunque altro.
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I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no Kyojin
FanfictionIl boato che sfondava le sue finestre, il tremore della terra che la faceva cadere dalle scale, le urla di sua madre mentre correva a prenderla. Per le strade era il caos, riuscire a correre in mezzo alla folla senza separarsi era quasi impossibile...