Capitolo 45

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Si agganciò al corpo del gigante colossale e si diede lo slancio verso l'alto, urlando colma di rabbia. Si lanciò direttamente verso la sua nuca, ma Bertholdt la notò. Mosse un braccio, nel tentativo di prenderla, ma era lento. Troppo lento.
Beatris arrivò a un passo dalla sua nuca, si preparò a colpire, ma Bertholdt rilasciò ancora vapore ustionante. Lei si coprì il volto, cercò maldestramente di proteggersi, ma fu costretta a sganciarsi e farsi spingere via. Piroettò per aria e riprese subito stabilità. Vide il resto dei suoi compagni tentare il tutto per tutto, cercare di imitarla, ma puntando ad altre parti sensibili. Caviglie, ginocchia, giunzioni. Tutto per riuscire a bloccarlo. Ma ancora Bertholdt con il proprio vapore li scacciò via e li costrinse ad arretrare. Se fossero rimasti vicini a lui un solo istante di più sarebbero stati bruciati vivi.
«Maledetto!» gridò Beatris, frustrata e tentò di nuovo di avvicinarsi. Vide gli occhi di Bertholdt puntare a lei e ancora muovere il braccio nella sua direzione. Lo schivò, ma questa volta il gigante non si limitò al colpo fisico. Rilasciò calore nel movimento e la investì in pieno, riuscendo a spaziare su un raggio decisamente troppo ampio. Beatris tentò di nuovo di proteggersi, ma questa volta non fu fortunata abbastanza. Venne spazzata via, in un gesto improvviso e disperato lanciò i propri rampini alle case sotto di sé e si trascinò verso i tetti. Non riuscì ad atterrare decentemente, per la fretta e il bruciore delle ferite. Sbatté contro le tegole, rotolò un paio di volte prima di riuscire a rimettersi in piedi, tremante e dolorante.
«Tris!» Jean volò verso di lei e le lanciò addosso il proprio mantello, estinguendo così le piccole fiammelle che stavano divorando i suoi vestiti. Niente di grave per fortuna, ma se le avesse lasciate bruciare i danni sarebbero stati irreparabili.
«Merda» digrignò i denti lei.
«Stai bene?» le chiese Jean.
«C'è mancato poco» rispose e tentò di rimettersi in ginocchio, ma ogni movimento costava dolore e fatica. Sentiva le bruciature sulla pelle farle tanto male da toglierle ogni tanto il respiro.
«Vai Eren! Buttalo giù!» sentirono Connie gridare e si voltarono entrambi a vedere cosa stesse accadendo. Eren era aggrappato alla gamba di Bertholdt e spingeva con tale forza da scavare solchi sul terreno. Sembrò avere successo, la gamba di Bertholdt cominciò ad arretrare, ma poco dopo la videro sollevarsi in un principio di calcio e portarsi dietro lo stesso Eren. Con un colpo secco, un calcio in avanti, Bertholdt lo lanciò infine via facendolo persino arrivare alle mura, contro cui si schiantò. Ed Eren restò lì, penzoloni sul bordo, senza riuscire più a muoversi.
«Eren!» gridò Beatris, guardandolo immobile sul muro.
«Non si muove più!» esclamò Mikasa, terrorizzata.
«Non distraetevi!» gridò Jean al resto dei compagni. «Non è ancora morto!» e digrignando i denti tornò a guardare Bertholdt davanti a sé. «Merda. Eravamo troppo focalizzati sul sistemare le cose subito, ci siamo lanciati contro di lui senza un piano ben preciso. Dobbiamo pensare a qualcosa, altrimenti noi...» e non riuscì a terminare la frase, troppo frustrato anche solo per pensarci. Non avevano possibilità, non avevano chance, ma che altro potevano fare se non tentare ancora e ancora?
«Non possiamo arrenderci adesso!» gridò e corse verso il bordo del tetto, seguito dal resto dei suoi compagni. Beatris si scrollò di dosso il mantello di Jean, si rialzò in piedi combattendo con il dolore delle ferite, e li seguì immediatamente. «Non sa ancora dell'esistenza delle lance fulmine, usiamo quelle!» disse Jean, mentre volava verso Bertholdt. «Io, Sasha, Tris e Connie lo distraiamo! Mikasa, tu pensa all'attacco!»
«Ricevuto!»
Si agganciarono al suo petto e alle sue spalle e gli volarono tutti e quattro davanti al volto.
«Ehy, brutto stronzo!» gridò Jean, cercando di attirare la sua attenzione. «Ti strapperemo gli occhi fuori dalle orbite!»
Beatris si lanciò contro il suo volto, Jean le andò subito dietro, mentre Sasha e Connie puntarono alle spalle. Gridarono, avvicinandosi, mentre con la coda dell'occhio videro Mikasa alle spalle di Bertholdt volare verso la nuca, caricando il colpo con la lancia fulmine. Ma nessuno di loro arrivò in tempo. Bertholdt rilasciò altro calore, investendoli con un getto di vapore da ogni direzione, più potente e caldo che mai. Ancora si sganciarono e non poterono fare altro che retrocedere, atterrando sui tetti.
Un'espressione di dolore contorse il viso di Beatris, ormai quasi al limite. Ogni movimento le costava una fatica immensa, sentiva fitte lancinanti a ogni respiro. Al suo fianco, Connie, arrivò persino a tossire sangue.
«Se respiri quella roba, arriva a bruciarti la gola» gracchiò, stringendosi le mani sul collo.
«Mikasa!» esclamò Armin, l'unico rimasto a guardare, vedendo l'amica atterrargli a fianco. Aveva una spalla ferita e perdeva sangue.
«Sono stata colpita da una scheggia della lancia fulmine» spiegò Mikasa. «Ma è solo una ferita superficiale, stai tranquillo. Com'è andata?»
«Non l'ha nemmeno colpito» rispose Armin, frustrato. «La lancia fulmine è esplosa prima di raggiungere la nuca, per via del calore».
«Armin... sei riuscito a pensare a un piano, nel frattempo?» ansimò Mikasa e lui tornò a sudare freddo. Contavano ancora su di lui, sapevano che non c'era nessun altro che potesse tirarli fuori da quella situazione, e i loro tentativi non erano altro che un modo per cercare di prendere tempo. Permettere a lui di pensare.
«Io... no, mi dispiace» piagnucolò Armin, ma la sua frase venne coperta parzialmente da un boato non troppo lontano. Una casa, pochi metri da loro, crollò in quel momento e dalla polvere e dalle macerie videro emergere e camminare verso di loro il gigante corazzato. Vivo.
Beatris spalancò gli occhi nel vederlo e, per quanto la situazione fosse tragica con il loro tremendo svantaggio e la consapevolezza che i nemici non avrebbero esitato a ucciderli, non riuscì a non provare un briciolo di felicità. Sentì la forza tornare a scorrerle dentro. Aveva ancora una possibilità, non era finita. E non le importava se fosse stato nemico, non le importava se il destino avesse scelto per loro di separarli definitivamente, se non ci sarebbe mai stato un futuro roseo ad attenderli... Reiner non doveva morire. Poteva accettare di stargli lontano, poteva accettare di essere odiata, di odiarlo, ma non doveva morire! Finché fosse stato vivo, ovunque lui si fosse trovato, lei avrebbe sempre avuto uno stupido sogno a cui aggrapparsi nei momenti di sconforto. Lei avrebbe sempre potuto guardare la luna, nelle notti di solitudine, e sapere che da qualche parte nel mondo anche lui stava facendo altrettanto. Saperlo morto, pensare che fosse stato ucciso, le aveva tolto ogni cosa, l'aveva gettata in un baratro senza speranza, privata di ogni volontà e desiderio. Non voleva più vivere una cosa come quella, era stata una sensazione terribile, ancora più dolorosa della morte stessa. Avrebbe accettato di passare tutta la vita in prigione, ai lavori forzati, torturata piuttosto, ma mai più avrebbe voluto vivere una disperazione come quella che aveva provato pochi minuti prima. Era stata la cosa peggiore del mondo. Qualsiasi cosa fosse successa, qualsiasi destino li avesse attesi, finché Reiner era vivo lei avrebbe sempre trovato la forza per combattere.
«Quel figlio di puttana è ancora vivo...» sentì sibilare Jean e accasciarsi sulle ginocchia. «Merda. Come facciamo a ucciderlo quello? Quali ordini dovrei dare? Armin... io non ho altre idee. Sembra che non ci sia niente che possiamo fare se non tentare di far fuggire Eren e abbandonare il campo di battaglia. Armin!» lo chiamò, rendendosi conto che l'amico non lo stava nemmeno guardando, ma stava fissando il gigante colossale. «Mi stai ascoltando?!»
«È più magro» mormorò Armin.
«Eh?» chiese Mikasa, voltandosi a guardare Bertholdt.
«Il gigante colossale è più magro! È proprio come ha detto il capitano Hanji!» esclamò, più deciso. «Può essere consumato fino all'osso. Se ci pensiamo, anche Eren riusciva a fare solo tre trasformazioni consecutive, una volta superato il suo limite non riusciva più a portare avanti nessun attacco. Completamente stremato! E lui era un gigante di soli 15 metri, per un gigante di 60 metri l'autonomia dev'essere ancora più bassa. Inoltre, sul Wall Rose, durante il primo attacco di Reiner e Bertholdt, quest'ultimo non era perfettamente completo, non faceva che sprigionare calore e abbiamo notato che la sua stessa carne era bruciata quasi completamente, lasciando solo uno scheletro che non riusciva nemmeno a muoversi».
«E quindi che facciamo?» chiese Jean, ancora disperato per la situazione apparentemente senza uscita.
«Ho un piano!» esclamò Armin e nessun'altra frase era sembrata mai più bella. «Voi pensate al gigante corazzato, al colossale ci penseremo io e Eren».
«Sei... sicuro?» mormorò Jean e il volto di Armin, che fino a quel momento era stato disperato, tramutò in uno determinato e forte. «Noi vinceremo di sicuro!»
Bastò davvero solo quello a dare di nuovo la forza a tutti i suoi compagni. Sapevano che Armin era in grado di pensare sempre alla via migliore, i suoi piani non avevano mai fallito. La paura e la disperazione abbandonarono completamente i loro muscoli, lasciando loro solo forza e carica. Potevano ancora vincere.
«Va bene. Lascia a noi il corazzato» annuì Mikasa, rialzandosi in piedi.
«Ci hai messo un po', idiota. Stavo quasi per arrendermi, sai?» sorrise Jean, fiducioso. E Armin ricambiò il suo sorriso, prima di far scattare il proprio meccanismo di movimento tridimensionale e volare dritto verso il muro, verso Eren.
«Adesso sta a noi» disse Mikasa, voltandosi verso Reiner.
«Abbiamo solo tre lance fulmine!» esclamò Connie, avvicinandosi a loro. «Come facciamo?»
«Pensiamo intanto ad attirare la sua attenzione e tenerlo lontano da Bertholdt» si avvicinò Beatris.
«Bea, dovresti stare indietro» le disse Mikasa, preoccupata, ma lei la fulminò. E questo le fece addirittura venire un brivido lungo la schiena. Era diversa... quello sguardo non glielo aveva mai visto addosso. Non sembrava lei. E certamente mai aveva rivolto un tale astio nei confronti di quella che era sempre stata quasi una sorella.
«Non intralciarmi ancora» le disse, rigida, e questo peggiorò il senso di turbamento di Mikasa.
«Che cosa vuoi fare?» mormorò Mikasa, preoccupata e turbata. Il combattimento contro Reiner sarebbe già stato abbastanza duro, senza che lei avesse provato a mettersi in mezzo. Beatris continuò a fissarla dritta negli occhi, con uno sguardo duro e deciso. Ma ciò che disse l'aiutò almeno in parte a sentirsi meglio: «Voglio tirarlo fuori di lì».
Forse non voleva mettersi contro di loro. Forse avrebbe combattuto al loro fianco, forse quello sguardo al limite della follia non era rivolto a loro, ma voleva veramente aiutarli.
«Da umano, per quanto forte, è più gestibile» spiegò Beatris. «Se, appena viene fuori, gli tagliamo gambe e braccia non potrà trasformarsi ancora, non potrà combatterci, e non ci sarà più d'intralcio».
«Noi dovremmo però...» mormorò Jean, cogliendo nelle sue parole l'intenzione di lasciarlo in vita, ma Beatris lo interruppe con un severo: «Non lo faremo!» si voltò a guardarlo. «Il potere del gigante può essere passato a qualcun altro se questo viene mangiato vivo, abbiamo una siringa con noi, lo ricordate?»
E sembrò abbastanza convincente da riuscire a tranquillizzarli. Aveva ragione, potevano prendersi loro quel potere e usarlo a loro volta.
«Come lo tiriamo fuori da lì?» chiese Connie e Beatris allungò una mano verso di lui. «Connie, puoi darmi una delle tue lance?» gli chiese e lui, anche se dapprima ne fu sorpreso, non esitò comunque a sganciarla e passargliela. Il tempo di legarsela, dopodiché Beatris cominciò a correre verso il bordo del tetto, pronta a lanciarsi all'attacco. Il resto dei suoi compagni la seguì immediatamente.
«Attirate la sua attenzione! Sasha, Connie, mirate alla mandibola, dobbiamo fargliela aprire! Lo colpirò dall'interno, dove è più debole».
«Vuoi entrare nella sua bocca?!» gridò Jean, sconvolto.
«Come se fosse la prima volta che mi faccio quasi mangiare da un gigante» sorrise, ghignante. «Mikasa! Appena sarà fuori rendilo inoffensivo. Non ucciderlo» e ancora una volta la fulminò, severa.
«Va bene» annuì lei, per niente convinta, ma intenzionata a seguire quello che sembrava alla fine un buon piano.
«Mi fido di te» le disse Beatris decisa e questo aumentò la sua determinazione a non tradirla e fare come le aveva detto. «Cerchiamo di combinare i nostri attacchi, non lasciamo niente al caso! Tenete d'occhio i compagni, dobbiamo agire insieme prima che capisca cosa sta succedendo!» gridò e si lanciò infine verso Reiner.
Ma lui non li guardò neanche, non si fece distrarre dal loro tentativo, e proseguì nella sua corsa verso Bertholdt.
«Non ci ha neanche degnati di uno sguardo!» gridò Connie, preoccupato. Beatris si voltò a guardare Reiner e non gli diede neanche il tempo di fare un solo passo di più. Gridò con tutto il fiato che aveva: «Capitano Hanji, non mi giustizi!!! Non sono una traditrice! La prego, posso spiegare!»
Fu uno stupido tentativo, non era per niente convinta che funzionasse, ma non aveva altro a cui appellarsi se non a quel singolo elemento che sembrava aver sempre funzionato. Anche quando Reiner era stato apertamente nemico, aveva sempre cercato di proteggerla. Ma questa volta lui proseguì nella sua corsa, come se niente fosse. Beatris si lanciò contro un tetto lì di fianco, assicurandosi di fare abbastanza rumore da sembrare che stessero combattendo, e si infilò dietro a un camino, prima di urlare: «Non voglio morire! La prego! Ti prego! Reiner, aiuto!!!»
Reiner fermò improvvisamente la sua avanzata e di colpo si voltò a guardarsi alle spalle. Forse pronto a intervenire. Forse solo per assicurarsi di ciò che stesse accadendo. Forse solo per istinto. L'aveva chiamato... l'aveva chiamato apertamente, aveva chiesto il suo aiuto, e lui non era riuscito in nessun modo ad ignorarla, non avrebbe mai potuto. Ma rimase sorpreso, al limite del terrorizzato, quando davanti al volto si trovò l'intero gruppo di cadetti. Pronti ad attaccarlo.
«Insieme, Sasha! Connie!» gridò Beatris lanciandosi nuovamente giù dal tetto e volando per raggiungerlo. Riuscirono a cogliere Reiner di sorpresa, ma nonostante la prontezza di riflessi gli avrebbe permesso di schivarli non lo fece. Il colpo che gli aveva fatto saltare la testa minuti prima lo aveva costretto a spostare la propria coscienza nel resto del sistema nervoso, per riuscire a sopravvivere, ma questo aveva danneggiato parte della sua memoria. Non ricordava la potenza delle lance fulmine, né la loro pericolosità, perciò pensando volessero semplicemente attaccare con le lame non si preoccupò di schivarli. E fu la loro fortuna. Sasha e Connie poterono mirare rapidamente, approfittando della sua distrazione, e gli conficcarono le lance fulmine ai margini della bocca. Le fecero esplodere in tutta fretta, prima che avesse potuto muoversi o reagire, ma questo non diede loro tempo di allontanarsi abbastanza. Sasha venne completamente travolta dall'esplosione, Jean che passava sopra di lei in quel momento, per raggiungere la nuca insieme a Mikasa, rimase parzialmente coinvolto. Una scheggia dell'armatura di Reiner, saltata, lo prese in pieno su un braccio. Connie volò rapido verso Sasha e la prese al volo, prima che fosse potuta cadere a terra, priva di coscienza. Jean, nonostante la ferita, digrignò i denti ma non rallentò e piroettò insieme a Mikasa alle spalle di Reiner, pronto a prenderlo non appena fosse uscito.
«Reiner!» gridò Beatris volandogli incontro. Puntò alla bocca, pronta a infilarsi al suo interno, ma si accorse tardi di un problema: la lancia fulmine di Sasha, esplosa male e troppo presto, non gliel'aveva aperta abbastanza. "Merda" ebbe tempo di pensare. "Devo provarci comunque!"
Si allungò in orizzontale, acquistando velocità ma soprattutto preparandosi a scivolare all'interno del minuscolo anfratto tra i suoi denti. Ma Reiner, nonostante la sorpresa e la confusione, riuscì a riprendersi in fretta. Si voltò, pronto a colpire Jean e Mikasa alle sue spalle, pronto a difendersi. E spostò così il volto, impedendo a Beatris di entrare.
"Si rimarginerà!" rifletté questa, preoccupata. Doveva fare in fretta.
Mikasa e Jean riuscirono a schivare il colpo di braccio di Reiner per un pelo. Rimasero coinvolti dai detriti, dovettero proteggersi con le braccia, ma volarono oltre e continuarono a volteggiare intorno a Reiner che ora, stufo, sembrava intenzionato a tornare a correre verso il muro. Beatris diede gas, si aggrappò a un suo ginocchio e volò tra le sue gambe dandosi lo slancio per arrivare il più in alto possibile, cercando di raggiungere il suo volto. Ma Reiner si mise una mano davanti, stoppò la sua avanzata, e la spinse via, contro uno dei tetti. E riprese a correre.
«Merda!» ringhiò Beatris, rialzandosi e riprendendo l'inseguimento. Solo Jean e Mikasa riuscirono a seguirla: Connie rimase ad occuparsi di Sasha, priva di coscienza.
«Abbiamo perso la nostra occasione!» ruggì Jean, frustrato.
«Devo raggiungerlo! Posso farcela, posso passarci!» urlò Beatris lanciandosi nel vuoto e cercando di aumentare la velocità per arrivare a lui. Ma tutte le volte che riusciva ad avvicinarlo, Reiner reagiva sempre, scacciandola come una zanzara, spingendola altrove e cercando di farle perdere stabilità nel volo.
"Sa che ho il vizio di usare troppo gas" rifletté, notando l'ostinazione di Reiner a non fare niente se non allontanarla, senza ferirla. "Prima o poi sarò costretta a rinunciare, sta solo aspettando questo".
«Dammi la lancia! Ci penso io!» le disse Mikasa, ma lei urlò, rabbiosa: «Non se ne parla! Spetta a me!»
Jean le superò e riuscì a raggiungere Reiner, mettersi di fronte a lui, provare a intralciarlo. Ma Reiner con lui sembrò avere meno remore che con Beatris e non esitò a tirare indietro il pugno, caricandolo per colpirlo in pieno.
«Schivalo!» gridò Beatris e saltò di nuovo giù da un tetto. Lanciò il proprio rampino direttamente al polso di Reiner, nell'istante in cui lo vide trascinare in avanti il pugno. E venne lanciata in avanti, sfruttando la sua stessa potenza. Jean si aggrappò a una casa lì a fianco e riuscì a deviare all'ultimo, schivandolo. Beatris, grazie alla potenza del pugno di Reiner, volò a una rapidità anche fin troppo accelerata per lei e fu difficile resistere alla resistenza dell'aria. Ma riuscì a volare davanti a lui e superarlo. Riuscì finalmente a fronteggiarlo e puntò di nuovo la bocca. L'anfratto era davvero sottile, ma poteva farcela, poteva infilarsi al suo interno, lei riusciva a scivolare dentro ogni piccola fessura. Reiner fu pronto ad alzare di nuovo la mano per fermarla, ma qualcosa lo colpì improvvisamente a un ginocchio, glielo disintegrò, e perse equilibrio. Cadde in avanti, perse l'occasione di fermare Beatris, trovandosi costretto ad allungare le mani in avanti per attutire la caduta al terreno.
«Vai, Betty!» Beatris sentì la voce di Hanji, ma non poté vederla, concentrata sulla bocca di Reiner. E infine, proprio mentre lui stava cadendo, la raggiunse. Si assottigliò, si allungò e dovette piegare la testa da un lato per evitare di colpire i suoi denti col volto. Ma riuscì infine a sgusciargli dentro, atterrando sulla lingua.
«Ora capisci perché non uso mai le mani per attutire la caduta?!» gridò Beatris nell'istante in cui, finalmente dentro, lanciò la lancia fulmine dritta verso il fondo, ad altezza della nuca. E la fece detonare. L'esplosione fu devastante, colpito nel punto più debole Reiner, infine, venne sbalzato fuori dalla nuca. Jean e Mikasa reagirono tempestivamente, si lanciarono sul suo corpo e con un taglio netto gli recisero braccia e gambe. Ormai non poteva più fare niente.
Guardarono il corpo del corazzato, di fronte a loro, cadere in avanti ormai privo di controllo. E accasciarsi al suolo. Dalla bocca lievemente dischiusa videro ancora il fumo dell'esplosione uscire, ma si accorsero presto di ciò che era appena accaduto: Beatris era rimasta lì, bloccata dai suoi denti non era potuta uscire in tempo. E ora dalla sua bocca non usciva altro se non fumo.
«Tris!» gridò Jean correndo verso il volto del gigante. Infilò una delle sue lame tra i denti del gigante e cercò di fare leva per riuscire ad aprirgli un po' la mascella. Non sentì resistenza, ma fu comunque complicato data la sua pesantezza.
«Bea!» gridò Mikasa, raggiungendo Jean e imitandolo, per dargli una mano. In due, con la forza di Mikasa in aggiunta, riuscirono infine ad aprire un po' la mascella. E videro in quel momento rotolare fuori Beatris, ma priva di coscienza e ricoperta di sangue. Jean la prese, la tirò fuori completamente e le sollevò la testa.
«Tris! Tris, rispondi!» cercò di chiamarla, prendendole il viso e scuotendola appena. Mikasa, in ginocchio al suo fianco, la guardò con gli occhi pieni di terrore. Jean accostò l'orecchio vicino al suo volto, ad altezza di bocca e naso, e chiuse gli occhi provando ad ascoltare. Sussultò e spalancando gli occhi li puntò su Mikasa: «Respira! È viva!»
E Mikasa, superato il primo momento di puro panico, sentì finalmente il sollievo distenderle i nervi... ma la rabbia arrivò immediatamente dopo. Si voltò verso Reiner, completamente ustionato, mutilato, e lo fulminò digrignando i denti. Incrociò i suoi occhi e scoprì in quel momento che erano puntati a loro, fissi. Muoveva lievemente la bocca, come se avesse voluto provare a dire qualcosa, ma non ne aveva la forza. Hanji lo raggiunse e lo prese per la camicia, sollevandolo. Iniziò a trascinarlo e scese dal gigante, raggiungendo i tre.
«È viva» comunicò semplicemente Jean, vedendo lo sguardo preoccupato di Hanji posarsi su Beatris. Mikasa si alzò in piedi e con un singolo rapido gesto sfoderò la propria lama, puntando gli occhi a Reiner, inerme se non per i suoi occhi che continuavano a rivolgersi a loro. Ringhiò come un animale e si piegò in avanti, pronta a trafiggerlo, a farlo a pezzi, ma Hanji la bloccò, lasciando andare Reiner e facendolo stendere completamente a terra. «Aspetta, Mikasa!» le disse, allontanandola di un paio di passi. «Devo prima fargli qualche domanda!»
«Lo ammazzo con le mie stesse mani!» ringhiò Mikasa, provando a dimenarsi, ma Hanji la spintonò via. «Aspetta solo qualche minuto, poi ne faremo quello che più preferisci! Ma ora stai ferma, è un ordine!» ruggì e Mikasa, di fronte all'ordine, non poté fare niente se non rinfoderare la propria arma, anche se riluttante e ancora tremante di rabbia. Alle loro spalle, Jean continuò a sorreggere Beatris, inginocchiato a terra. Ma i suoi occhi si spostarono su Reiner, abbandonato al loro fianco. Era riuscito a muovere un po' la testa, a voltare gli occhi, ma se fino a quel momento li aveva rivolti a loro, adesso sembrava guardare un punto distante, alle spalle di Jean. Sulla strada. E glieli vide inumidirsi un po', ma forse erano solo secrezioni dovute al dolore delle ferite tanto profonde che gli aveva deturpato il viso. Reiner mosse il braccio, tagliato fino al bicipite, e lo puntò con grande sforzo alle spalle di Jean.
«Era... qui» gorgogliò con la poca voce che riusciva a tirare fuori. Jean non ebbe modo di chiedergli di cosa stesse parlando, perché Hanji tornò in quel momento e lo prese nuovamente per la camicia. Lo trascinò vicino a un muro, dove lo appoggiò per tenerlo seduto, e con una benda gli chiuse definitivamente gli occhi. Non potendosi muovere e privato della vista, lo avrebbe reso inerme anche dal punto di vista morale, facendogli capire che ormai era completamente in balia loro. Jean li guardò solo per un primo istante, poi curioso si voltò a vedere cosa avesse indicato Reiner con quel suo ultimo sforzo. Non c'era niente, solo strade distrutte e macerie, ma qualcosa attirò il suo sguardo: una piccola nota stonante, in tutto quello, che risaltava nella sua purezza e assurda pulizia. Un pupazzo bianco a forma di coniglio, pulito se non per qualche alone scuro che probabilmente non era stato possibile eliminare, ma era evidente che qualcuno di recente se ne fosse preso cura e avesse cercato di sistemarlo. Era appoggiato a un muro, seduto, con la testa reclinata da un lato. Ma soprattutto a sorprenderlo fu il mazzolino di fiori, ancora fresco, appoggiato a lui.
«Reiner» sentì dire da Hanji. «Ho trovato questa scatolina di metallo conficcata nel lato sinistro del tuo petto. Prima ti ho visto mentre cercavi di recuperarla. Dimmi che cos'é. Pillole per suicidarti? Mini esplosivi?» e continuò con le domande, ma Jean l'ascoltò il giusto. Era ancora troppo attratto e incuriosito da quel pupazzo assolutamente fuori luogo, pulito, con quei fiori poggiati addosso. Che lui sapesse, in quella zona negli ultimi giorni, c'erano stati solo Reiner e il suo gruppo. Che fosse opera sua? Ma cosa significava? Cosa significavano le parole che aveva appena detto? Cosa era lì?
«Kitty...» sentì la flebile voce di Beatris e spostò immediatamente lo sguardo dal coniglio a lei. Aveva gli occhi aperti e adesso anche lei stava guardando oltre il suo braccio, verso il coniglio.
«Tris!!!» esclamò, sentendosi tremare dalla felicità. «Stai bene!»
Beatris si mosse tra le sue braccia e lentamente si sollevò a sedere. «Ahia...» lamentò, portandosi una mano alla nuca.
«Come... come hai fatto a sopravvivere? Sei... tutta intera... com'è possibile?»
Beatris non gli rispose, ma tornò a voltarsi e guardare il coniglio appoggiato al muro. E Jean lesse qualcosa nei suoi occhi, qualcosa di profondo, qualcosa che sembrava strozzarla.
«Era qui...» ripeté anche lei e questo lo confuse ancora di più. Cosa era lì? Cos'era quel coniglio? Beatris abbassò lo sguardo, distogliendolo da Kitty, ma sembrava a dir poco sconvolta. Le iridi erano ristrette in maniera quasi innaturale, la sentiva respirare sempre più affannosamente, e cominciò persino a tremare. «Questa era la strada... non... non me n'ero accorta» sibilò. Sobbalzò, come se si fosse ricordata di qualcosa, e si voltò a guardare il corpo del gigante corazzato che ora stava lentamente vaporizzando. Fissò la bocca ancora dischiusa del gigante. Reiner si era dimostrato disposto a combatterla, a ferirla, forse anche a ucciderla, se necessario. Le aveva tirato addosso dei giganti, nemmeno tre mesi prima, quando si era sentito con le spalle al muro. Non voleva farle del male, ma quando si era trovato nella condizione di scegliere tra lei e la sua missione aveva sempre scelto la missione. Eppure, durante tutta la sua fuga, non aveva fatto altro che provare a scacciarla e basta. Era stato anche più attento del solito, nel suo tentativo di non farle del male, tanto che al momento dell'esplosione nella sua bocca la sua priorità era stata sollevare la lingua e provare a proteggerla in quell'ultimo istintivo tentativo. E aveva risposto alla sua richiesta d'aiuto, nonostante avesse capito da subito che lei usava i suoi sentimenti a suo vantaggio. Nonostante sapesse perfettamente dell'inganno che ormai aveva usato fin troppe volte. Lui aveva reagito alla sua finta richiesta d'aiuto... proprio su quella strada. Lei non se n'era accorta, troppo presa dalla battaglia non ci aveva fatto caso, ma lui sì. E non aveva voluto farlo. Non aveva voluto vederla morta proprio su quella strada.
«Reiner» la voce di Hanji, gracchiante e rancorosa, arrivò alle loro orecchie. Aveva posto altre domande, aveva portato avanti un inutile interrogatorio, ma ora sembrava che la rabbia l'avesse dominata, forse rendendosi conto che non stava arrivando a niente e tutto quello era inutile. «Ci dirai mai tutto quello che vogliamo sapere?»
«No» rispose Reiner, con quel poco di voce e forza che aveva.
«Bene» Hanji sfoderò la propria lama. «Questo mi rende tutto più semplice, allora» e senza indugiò si lanciò su Reiner, muovendo la lama di traverso, pronta a tagliargli la testa e ucciderlo definitivamente. Ma venne spazzata via. Una lama si incrociò con la sua, la bloccò e con una spinta poderosa la scaraventò via. Hanji spalancò gli occhi sconvolta. Beatris era di fronte a lei, armata, l'aveva non solo bloccata ma anche disarmata. Sorpresa dall'attacco non ebbe riflessi per schivarla quando con una mano Beatris la colpì a una spalla e la spinse lontano, facendola cadere a terra. La guardò senza riuscire neanche a pensare a qualcosa. Beatris l'aveva attaccata. E ora, rigida in una posizione difensiva, la guardava come se avesse voluto ucciderla.
«Tris» mormorò Jean, sconvolto. Era scattata in piedi con una velocità inaspettata quando aveva visto Hanji sfoderare la propria arma, neanche aveva avuto il tempo di capire cosa stesse accadendo che Beatris si era messa di fronte a Reiner e aveva contrastato il colpo di Hanji. Mikasa fece un passo verso di lei, per avvicinarsi, provare a parlarle e convincerla ad abbassare l'arma, ma non appena Beatris la vide inforcò anche la seconda lama con la mano sinistra e gliela puntò contro. Non fu tanto la paura della minaccia a fermare Mikasa, quanto la sorpresa di vedere Beatris ostile persino nei suoi confronti. Era completamente impazzita, fuori controllo. Non sembrava più nemmeno lei.
«Ucciderò chiunque proverà ad avvicinarsi» ringhiò a denti stretti, puntando gli occhi su Mikasa, su Hanji e persino su Jean. Tenendo d'occhio tutti e tre, pronta a combattere contro tutti e tre, se necessario.
«Sei completamente impazzita?!» urlò Hanji. Ripresa dal momento di shock, sentì solo una folle rabbia accecarla.
«Non dovete azzardarvi a toccarlo, sono stata chiara?!» urlò di rimando Beatris, completamente pervasa dalla collera. «Ho già perso troppe cose su questa maledetta strada, non resterò a guardare mentre mi portate via anche lui!»
«Hai già una sentenza sulla tua testa, vuoi peggiorare le cose?!» ruggì Hanji.
«Niente sarà mai peggio che vederlo morire!»
«Beatris...» tentò di intromettersi Reiner, ma forse per il tono di voce troppo basso, dato lo stato quasi incosciente in cui si trovava, o forse perché in quel momento Beatris era totalmente cieca e sorda da ogni cosa, non venne minimamente ascoltato.
«Ti ha ingannata per tutto questo tempo e ti ostini a difenderlo?!» continuò Hanji.
«Ti sbagli! Non puoi capirlo!»
«Basta...» sibilò ancora Reiner. Inascoltato.
«Sei solo accecata dalla follia, non sai quello che stai dicendo!»
«Non sono mai stata più lucida di così, invece! Io...» tremò dalla rabbia. «Per la prima volta, so cosa devo fare. So cosa fare. Io... devo combattere. Non resterò a guardare, non resterò a guardare mai più! Se volete ucciderlo, fatevi avanti. Combatterò, e combatterò anche contro di voi! Non ho nessun problema a farvi fuori, avete capito?!»
Ma nonostante la collera, la rabbia, lo sguardo completamente invasato, una lacrima le sfuggì dagli occhi e andò a pulirle il sangue ancora fresco che aveva sul viso. Sangue non suo, per la maggior parte, ma del gigante di Reiner. Della sua lingua, che si era messa con un gesto improvviso e disperato tra lei e l'esplosione proprio un instante prima che venisse investita dall'urto e dal calore.
«Non dire sciocchezze» le disse Mikasa. «Io ti conosco, Bea, non faresti mai del male ai tuoi compagni» e provò a fare un passo verso di lei, per avvicinarsi. Ma Beatris la fulminò, mostrando con quello sguardo tutta l'intenzione minacciosa che aveva. E urlò, in risposta: «Allora non mi conosci abbastanza! Io ho già le mani sporche di sangue, non ho nessun problema a farlo ancora!»
«Non è stata tua la responsabilità delle morti dei nostri compagni, sono stati loro! Reiner, Annie e Bertholdt! Sono stati loro, non tu!»
«Non far finta di non sapere di cosa parlo, mi hai visto anche tu. So uccidere a sangue freddo se voglio, e posso farlo ancora, Mikasa, non sfidarmi!»
«Tris... no...» gorgogliò ancora Reiner. Ancora inascoltato.
«Erano nostri nemici, era legittima difesa! Non faresti mai del male volontariamente soprattutto ai tuoi amici, Bea, io lo so. Tu non sei un'assassina!» tentò di fare un altro passo verso Beatris, ma questo sembrò adirarla ancora di più. Beatris mosse violentemente la spada nella sua direzione, costringendola ad arretrare.
«Sì, invece! Come credi che sia morta allora la squadra di Levi, eh?!» gridò infine, furiosa.
«No!» quasi ruggì Reiner, ma gli uscì qualcosa di più simile a un colpo di tosse. «Non...» tentò nuovamente di prendere parola, ma si rese conto che era tutto inutile. In che modo avrebbe potuto scagionarla adesso? Se l'avesse difesa apertamente, cercando di convincere gli altri che stava mentendo, sarebbe stato ovvio il suo tentativo di proteggerla e basta. Non li avrebbe minimamente convinti. Non poteva fare niente.
Mikasa, di fronte a quella confessione, impallidì. «Cosa... che stai dicendo? È stata Annie a...»
«Sono stata io! Io ho spinto Eld in bocca a Annie, io ho distratto il resto della squadra permettendole di ucciderli! Sono stata io, Mikasa! Io...»
«Basta. Lasciami andare...» ancora un sibilo, un lamento da parte di Reiner, ora più disperato che determinato.
Beatris scosse la testa, cercando di schiarirsi la vista appannata dalle lacrime. Fu un gesto di un attimo, tornò immediatamente a riaprire gli occhi e puntarli davanti a sé, per non perdere di vista chi aveva davanti. «Io...»
«Lasciami andare».
«Io sono la cattiva, qui!»
Mikasa negò debolmente con la testa, incapace persino di pensare a qualcosa. «Non è vero» sibilò. «Stai mentendo...»
«Sì» tremò Beatris. «È vero, io ho sempre mentito. Fino ad oggi non ho fatto altro che dirvi una marea di bugie. L'ho sempre fatto. E lo sai anche tu» le lanciò un'altra occhiata, ma non fu ostile. Solo decisa e penetrante, come se avesse voluto comunicarle qualcosa. E Mikasa capì subito che cosa: la divisa di Beatris era lievemente strappata, sotto un piccolo squarcio riuscì a intravedere il lembo rosso della fascia che portava al braccio. La fascia di Reiner, a testimoniare che mai, neppure una volta, aveva veramente deciso di essergli nemica. Mai aveva avuto intenzione di combatterlo davvero. Lei aveva voluto solo ritrovarlo. E Mikasa lo sapeva da tempo, eppure mai aveva voluto accettare di vedere la verità. I sorrisi di Beatris l'avevano sempre rassicurata, l'affetto che dimostrava verso di loro, il suo volersi sacrificare per salvarli. Aveva sempre creduto che fosse dalla loro parte, e invece non lo era stata mai davvero nemmeno per un istante. E lei lo sapeva.
«Adesso basta!» Per quanto fino a quel momento nessuno avesse sentito, o ascoltato, Reiner, in quell'attimo di silenzio che era appena calato quell'ultimo sibilo, quella disperata preghiera, sembrò risuonare come l'ultimo rintocco di un orologio che aveva appena smesso di funzionare. «È finita, Tris».
Adesso basta. Finiamola qui.
Continuava a ripeterglielo, non aveva mai smesso di farlo da quella notte al castel Utgard. Quelle parole, quelle stesse parole... Reiner non aveva mai smesso di spingerla lontano, ormai consapevole che non ci sarebbe stato alcun futuro per loro, e continuava a farlo. A combattere contro la sua ostinazione. Ma morire... davvero era persino disposto a lasciarsi morire, senza provarci? Senza voler essere salvato? Pur di non metterla in pericolo, si sarebbe lasciato ammazzare.
Ma credeva davvero che lei sarebbe rimasta solo a guardare? La credeva capace di una cosa simile?
Lascialo morire, Bea.
«No...»
«Tris! Mikasa! Attente!» gridò improvvisamente Jean e solo allora si accorsero del tremore della terra. Si voltarono, vedendo comparire un gigante a pochi metri da loro, dopo aver sfondato una casa. A quattro zampe, con dei barili e delle casse sulla schiena, e un uomo biondo senza braccia e senza gambe seduto a quello che sembrava un posto di comando. Prese loro alla sprovvista e lo guardarono mentre gli correva incontro a bocca spalancata, pronto a mangiarle. Mikasa scattò in avanti e si lanciò contro Beatris, spingendola via in tempo per schivare il gigante prima che le divorasse. Si scontrarono contro la casa a fianco e se lo videro passare davanti. Il gigante non frenò la sua corsa, ma nel passaggio prese Reiner tra i denti e fuggì via. Beatris fu rapida nel reagire. Mikasa per salvarla si era voltata ed era stata lei a prendersi il colpo maggiore, attutendo la caduta di Beatris e impedendole di farsi del male. Non riuscì ad avere prontezza di tenerla, dolorante alla schiena, e Beatris riuscì a liberarsi rapidamente. Si rialzò e corse disperata dietro al gigante, intenzionata a recuperare Reiner. Ma così diede le spalle ai suoi compagni e Hanji ebbe perciò modo di rialzarsi e saltarle addosso. Usò la propria attrezzatura per darsi potenza con un piccolo slancio di gas, la buttò a terra e rapidamente la disarmò. Beatris provò a ribellarsi, a dimenarsi per liberarsi dalla presa, ma schiacciata a terra di faccia non riuscì a fare niente. Hanji la bloccò, afferrandole i polsi e bloccandoglieli dietro la schiena.
«Fermo!» gridò poi, alzando lo sguardo su Jean che era già in piedi e pronto a inseguire il gigante che aveva catturato Reiner. «Lascialo perdere, non hai molto gas! Moriresti e basta!»
«Lasciami! Lasciami!» gridò Beatris, provando disperatamente a liberarsi. Ma la presa di Hanji su di lei era troppo forte, non poté fare niente che alzare la testa e guardare il gigante sparire tra le case. «Reiner!!!» gridò con tutto il fiato che aveva, inutilmente. Hanji, sopra di lei, la tenne bloccata e intanto le sganciò definitivamente la sua attrezzatura così da impedirle di scappare. Una volta perso di vista il gigante, a Beatris non restò che accasciarsi, ormai arrendevole. E versò lacrime, a fiumi, senza trattenersi oltre. Lo aveva perso di nuovo. Nonostante tutta l'ostinazione, nonostante tutto il desiderio, il rancore. Niente riusciva a salvarla da quella condanna. E forse la colpa era ancora una volta sua, che si era ostinata a non voler scegliere alcuna posizione, a tentare di salvare tutti, indiscriminatamente. Se non avesse sconfitto Reiner, se avesse deciso di allearsi con lui, forse tutto quello non sarebbe successo. Ma avrebbe davvero potuto fare una cosa del genere a Eren? Perché doveva essere tutto così maledettamente complicato?
«Jean!» si voltò Hanji. «Portami delle corde, presto. Dobbiamo immobilizzarla».
E Jean la guardò pallido, ancora troppo sotto shock per riuscire ad agire. Hanji si voltò subito verso Mikasa e ordinò anche a lei: «Vai da Levi e Erwin, riunisciti a Eren. Fai rapporto e guarda come stanno».
Ma anche Mikasa esitò, immobile, guardando Beatris schiacciata a terra che piangeva tanto da singhiozzare. Lei poteva capirla, la sensazione di restare sola, di perdere la cosa più importante della propria vita. Lei più di chiunque altro poteva comprenderla... anche lei era stata capace di puntare le proprie armi contro l'esercito, quando Eren la prima volta era stato minacciato dal corpo di gendarmeria, incapace di comprendere cosa fosse. E non si era fatta scrupoli a uccidere tutti quelli che aveva sulla strada, aveva minacciato di uccidere anche Ymir e Historia se si fossero messe in mezzo. Lei poteva comprenderla... ma come avrebbe fatto a salvarla? Hanji guardò prima lei, immobile, poi si voltò a guardare Jean, altrettanto paralizzato. Entrambi troppo scossi, non toglievano gli occhi di dosso a Beatris. Non volevano farlo, non volevano trattarla da nemica, ma che altra scelta avevano? Lei li aveva minacciati, aveva minacciato i suoi stessi amici, si era ribellata al corpo di ricerca, all'intero popolo delle mura. E quella confessione... era stata davvero lei a uccidere la squadra di Levi? Non poteva essere vero, non poteva averlo fatto davvero. Non potevano crederci, non lo avrebbero mai fatto.
«Che state aspettando?!» ruggì Hanji, furiosa. «Volete ammutinarvi anche voi?»
Ed entrambi sussultarono. Per quanto fosse assurdo, sapevano che Hanji aveva ragione. Beatris aveva apertamente ammesso di essere loro nemica, lo aveva dimostrato, aveva confessato qualcosa di indicibile. Non potevano ignorarlo, anche se si trattava di lei. Strinsero i pugni, si corrucciarono disperati, ma alla fine eseguirono. Mikasa sparì tra i tetti, per raggiungere Eren, e Jean cercò delle corde tra le macerie e le case che avevano intorno. Tornò dopo poco e aiutò Hanji a legare Beatris, anche se ora sembrava aver perso ogni sorta di combattività. Ebbero appena il tempo di finire, quando videro un fumogeno verde alzarsi da uno dei tetti, dove sapevano che si trovavano Eren e Armin. Ed era strano. Che bisogno c'era di mandare un segnale?
«Andiamo, riuniamoci a loro» disse Hanji, sollevando Beatris da terra. Se la caricò su una spalla e fece scattare il proprio meccanismo di movimento, seguita da Jean e poco dietro anche da Sasha e Connie, che intanto erano riusciti a raggiungerli. Arrivarono sul tetto dove avevano visto sparare il fumogeno e ciò che videro sembrò sfiorare l'assurdo. Levi era a terra, Eren penzoloni dal tetto, steso da chissà quale colpo, e Mikasa, armata, era sopra il capitano. Pronta a colpirlo. Hanji non si diede nemmeno il tempo di capire cosa stesse accadendo. Lasciò andare Beatris, buttandola sulle tegole, e scattò contro Mikasa. La prese per le spalle e la tirò indietro prima che avesse potuto provare a colpire, forse addirittura uccidere Levi.
«Che cazzo vi prende a tutti quanti oggi, eh?!» ringhiò bloccandola e tenendola ferma, mentre questa piangeva, urlava e si dimenava. E solo allora si concesse di guardarsi meglio attorno, comprendere la situazione. Una delle reclute era in ginocchio vicino a Erwin, svenuto, ferito a un fianco. Forse addirittura morto, visto il suo pallore. Poco lontano c'era Bertholdt, sconfitto, mutilato, altrettanto svenuto. E al suo fianco un cadavere carbonizzato, apparentemente irriconoscibile, ma esaminandolo con più attenzione riuscì a riconoscere i tratti di Armin. Levi si rialzò da terra e solo allora Hanji notò che aveva tra le mani la scatola contenente il siero per la trasformazione in gigante, e allora comprese.
Armin doveva essere stato quasi ucciso durante l'attacco a Bertholdt, ed Erwin probabilmente fuori, durante lo scontro con il gigante bestia. Entrambi appesi alla vita per uno sputo, e loro avevano solo un siero da somministrare. Con Bertholdt in mano avrebbero potuto riportare alla vita solo uno di loro, dovevano scegliere chi. Era ovvio che la scelta primaria fosse Erwin, doveva essere Erwin, ma quei ragazzi erano cresciuti insieme a Beatris era naturale che avessero il suo stesso temperamento e l'ossessione per i legami. Né Eren né Mikasa sembravano disposti ad accettarlo.
«Adesso calmati, Mikasa!» urlò alla ragazza in preda alla disperazione. «Abbiamo ancora bisogno di Erwin! Se il comandante di legione morisse l'umanità non perderebbe solo un uomo, ma un simbolo. Non possiamo lasciare che quella fiaccola di speranza si spenga!»
«Ma anche Armin potrebbe essere quella speranza!» pianse Mikasa.
«Armin è un soldato di talento, ma questo non basta! La nostra guerra non è ancora finita, abbiamo ancora bisogno della leadership e dell'esperienza di Erwin!»
Mikasa si dimenò ancora e infine riuscì a liberarsi, dando ad Hanji una gomitata. Ma rimase dov'era, senza tornare a scagliarsi contro Levi, semplicemente guardando l'apparente cadavere di Armin con le lacrime agli occhi. «Anche io ho delle persone che vorrei riportare in vita, sai?» disse Hanji e solo pensarlo le fece venire un nodo alla gola. Trattenere le lacrime fu difficile. «A centinaia... da quando mi sono unita alla legione ho visto morire veramente un sacco di persone. Ma te ne rendi conto, vero? Un giorno o un altro, tutte le persone per te importanti moriranno. È una cosa che non possiamo fare altro che accettare e basta. Anche se fa impazzire... lo so, è doloroso. Fa male. Ma dobbiamo andare avanti» e una lacrima infine le sfuggì dagli occhi. Si riavvicinò a Mikasa e non poté fare altro che abbracciarla, comprensiva. Levi si avvicinò al corpo di Erwin e preparò la siringa, pronto a fare l'iniezione.
Beatris, stesa a terra vicino a Jean, restò a guardare la scena come paralizzata. Dalla sua prospettiva riusciva perfettamente a vedere il volto di Armin, anche se quasi irriconoscibile per le ustioni. Non era riuscita a muovere nemmeno un muscolo, e non solo perché ancora legata, ma tutto sembrava che volesse finire lì. In quella città. Si era arrabbiata veramente con Bertholdt, lo aveva attaccato intenzionata a tirarlo fuori dalla nuca del suo gigante, renderlo inoffensivo ma non ce la faceva... non riusciva ad accettare che morisse, nemmeno lui. Non era cattivo, lei lo sapeva, loro avevano la loro nobile missione. Loro... volevano solo tornare a casa. Ma che altra scelta aveva davanti? Armin era appeso a un filo, non era anzi nemmeno sicura che fosse ancora vivo. Armin... quante volte si era appoggiata a lui, quante volte aveva sentito che il mondo sarebbe andato per il verso giusto solo perché c'era lui, pronto a sistemarlo. Come avrebbe mai potuto dimenticare il suo sorriso, quando parlava dell'oceano?
Qualsiasi cosa accadrà a ciascuno di noi, promettiamo tra cinquant'anni di andare al lago dietro il bosco per vedere la luna rosa insieme. Che ne dite?
Era inutile, qualsiasi cosa facesse, per quanto cercasse di provarci... quel mondo restava crudele e troppo forte da battere. Si accasciò, appoggiò la fronte alle tegole e tornò a piangere lacrime amare, ma silenziose. Ormai troppo stanca persino per continuare a urlare.
«Fuori di qua c'è il mare» mormorò, ma era abbastanza vicina a tutti per essere sentita lo stesso. «E oltre il mare, continenti di ghiaccio, distese di sabbia che si perdono all'orizzonte, fiumi di fuoco e fiamme. E animali bizzarri. Oltre il mare ci sono gli elefanti... grosse bestie con un lungo naso prensile a forma di naso di maiale» un singhiozzo la scosse. «Armin... noi dovevamo andare a vederli insieme. Te li ricordi gli elefanti, Eren? Ti ricordi quanto risi quando Armin ci mostrò quell'immagine sul suo libro?».
«Capitano» mormorò Eren, steso poco distante, e alzò gli occhi su Levi. «Lei ha mai sentito parlare del mare? Una distesa d'acqua salata immensa, che si perde fino all'orizzonte. Armin diceva che saremmo andati a vederlo insieme un giorno» disse e la voce gli morì in un grido disperato. «Io mi ero dimenticato di quel sogno! Non pensavo ad altro se non a uccidere i giganti, vendicare mia madre, ma lui...» singhiozzò. «Armin era diverso. La mia testa era piena d'odio, ma lui no. Per lui non era una lotta e basta! Lui aveva dei sogni!»
Levi si alzò e guardò il resto dei ragazzi su quel tetto. Impugnò la siringa e prese Bertholdt per il colletto, trascinandolo al centro. «Allontanatevi tutti, adesso! Farò mangiare Bertholdt a Erwin su questo tetto!»
Neanche sembrava averlo ascoltato. Era tutto inutile. Un altro singhiozzo li scosse tutti.
«Andiamo, Mikasa» disse Hanji alla ragazza, prendendola per le spalle e trascinandola via.
«Merda» si lasciò sfuggire Jean, tremante. Ma abbassò lo sguardo, cercò di non crollare, o perlomeno di non farsi vedere. Prese Beatris, inerme, e raggiunse qualche tetto più distante, usando il sistema di movimento tridimensionale. Connie gli fu dietro, con Sasha sulle spalle. Non disse una parola, ma versava lacrime, in silenzio. La recluta che era con loro prese Eren di peso e lo trascinò via. E infine, su quel tetto, rimasero solo Levi, Erwin, Armin e Bertholdt.
«Perché...» sussurrò Beatris, appesa alla spalla di Jean. «Perché non riesco mai a salvare nessuno?»
Fu un flebile sospiro, nascosto in un singhiozzo, ma lui, così vicino al suo volto, riuscì a sentirlo. E si sentì andare in pezzi. La poggiò sul tetto, seduta e con più delicatezza di quanto aveva fatto Hanji poco prima. E le si mise accanto. Guardò la scena di fronte a sé, pronto ad assistere al ritorno di Erwin e alla condanna a morte di Armin. Ma Beatris, al suo fianco, restò con la testa china e lo sguardo vacuo puntato alle proprie gambe.
Non li vide. Non riusciva nemmeno a guardarli. E forse neanche riusciva ad ascoltare. Era tutto ovattato, tutto così vuoto. Nella sua testa non c'era che il vuoto. Un silenzio surreale, un'oscurità quasi rilassante. Non sarebbe stato male restarci dentro per sempre, senza pensare più a niente, senza provare più niente.
«Ragazzi!» d'improvviso un urlo squarciò ogni cosa. La voce di Bertholdt. «Aiuto!»
Io Reiner posso capirlo, anche io ho tentennato. Qui... non è così male. Non sorridavamo così spesso quando eravamo a casa nostra.
«Annie! Reiner!»
Fare finta di essere dei soldati era l'unica cosa un po' piacevole. Non erano bugie! Connie, Jean, è vero... vi abbiamo ingannato. Ma non abbiamo mentito su tutto! Vi consideravamo davvero nostri compagni!
Essere soldati, ai tempi dell'addestramento, era davvero l'unica cosa che fosse mai riuscita a renderli felici. Tutti. Insieme.
Ehy, Bertholdt! Tu la conosci la storia della megera del nord?
Perché non erano potuti restare come quel giorno di tre anni addietro, quando avevano iniziato a parlare, a conoscersi, a diventare amici, quando avevano condiviso un pezzo di carne rubata, quando avevano riso di quella stupida storia?
«Ai...» la voce di Bertholdt si fermò, strozzata in un gorgoglio. E non sentì altro che il rumore di ossa che venivano stritolate e un sinistro gorgoglio del gigante che lo aveva appena ingoiato. Senza sapere che poco dopo, dalla nuca di quel gigante, sarebbe uscito Armin. Senza sapere che alla fine Levi aveva scelto i sogni di un giovane ragazzo, all'ossessione di un uomo distrutto.
Ebbe come la sensazione che fosse stata colpita in pieno petto da una delle loro stesse lance fulmine. L'aveva chiaramente sentita esplodere. Loro... loro erano compagni.
Voglio proteggere voi, Bertholdt, e voglio proteggere la mia famiglia, non resterò ferma a guardare che uno dei due muoia, non ho intenzione di abbandonare nessuno dei due!
Lei era rimasta a guardare, lei lo aveva appena abbandonato...
La gola le si chiuse così bruscamente che la fece lamentare. Crollò in avanti, chinò la testa e si nascose sotto i propri capelli. Non voleva guardare. Non voleva più nemmeno sentire. Dov'era quel buio rilassante di poco prima? Dov'era il nulla che le aveva permesso di smettere di sentire ogni cosa? Le mancava il respiro. Riusciva a catturare un po' d'aria, ma a tratti, e ogni sbuffo d'aria che le entrava in gola gliela graffiava dolorosamente. Faceva un male cane. Riusciva a respirare a singhiozzi, sforzando il petto tanto da farla sobbalzare. E ogni ispirazione era un lamento. Aveva il volto fradicio, gli occhi completamente appannati, e sapeva che lo sporco non c'entrava niente. Stava piangendo, ancora una volta. E faceva male, faceva un male cane. Perché non poteva semplicemente tornare a chiudersi nel suo nulla? Perché doveva restare lì a sentire ogni cosa? Perché non le era concessa un po' di pace nemmeno in un momento come quello? Nemmeno quando sentiva che era ormai tutto finito... perché non aveva un luogo in cui chiudersi, nascondersi, morire silenziosamente, senza più sentire niente?
Una mano l'afferrò improvvisamente per la nuca. Venne tirata su di un lato, costretta a chinare la testa a sinistra, e improvvisamente tutto svanì. Non sentì più i lamenti del gigante, non sentì più i pianti dei compagni che aveva accanto, non sentì più il vento sferzarle il viso, e intorno a lei non vi era che oscurità. Un buio assoluto, un nulla assoluto dove potersi sentire al sicuro.
«Tranquilla» le sussurrò Jean, tra i capelli. «Il rumore del gigante copre ogni cosa. Non si riesce a sentire niente».
Il suo antro sicuro ancora una volta gliel'aveva costruito lui. Stringendola tra le braccia, schiacciandola al petto, le aveva coperto il volto, tappato le orecchie. E le stava dicendo che lì poteva farlo, lì lei poteva essere fragile e libera di sfogare tutto il dolore che voleva, perché lì lei era al sicuro. E non riusciva a capirne il motivo. Lei era il nemico... lei era spietata. Aveva ammesso di aver ucciso personalmente delle persone, dei compagni, e aveva minacciato di fare altrettanto con loro. Aveva minacciato Jean. Perché? Perché... lui non la odiava? Lei era solo una dannata bastarda. Perché non la odiava?
Tris, io crederò sempre in te, anche quando non ti comprenderò.
E pianse, pianse a gran voce, disperata, senza aver paura di farlo. Alzò le mani, ancora legate, e si aggrappò alla manica della giacca di Jean, avvolta intorno al suo viso. La strinse tra le dita più che poté, si schiacciò contro le sue braccia, e lasciò uscire tutto il dolore con urla, singhiozzi e lacrime. Lì poteva farlo.



Nda.
Boooooom... capitolo bomba. E che bomba. Un'esplosione dopo l'altra... a partire dal velato rancore che Tris prova per Mikasa, visto che un attimo prima ha tentato di fermarla quando ha provato a proteggere Reiner. Quel rapporto solido, che le rendeva due sorelle più che amiche, ha avuto un grave ed enorme incrinatura. Tris non gliel'ha perdonata, finora, riuscirà a farlo dopo?
E poi l'ultima battaglia contro Reiner... proprio su quella strada. La strada dove si erano scontrati la prima volta, la strada dove sua madre è morta. Era qui. Tris si volta verso il punto indicato da un Reiner morente (e lo è proprio a causa sua, che gli ha dato il colpo finale) e vede Kitty. Il pupazzo della sorellina dimenticato lì. Il pupazzo che ha sempre desiderato tornare a riprendere. E lo vede pulito, aggiustato, curato, delicatamente appoggiato a bordo strada con un mazzo di fiori freschi vicino (non è difficile capire chi sia stato a recuperarlo e prendersene cura, in quei giorni). Tutto questo, quella strada, quel pupazzo, rendono Tris una vera e propria bomba a orologeria. E scoppia quando vede Hanji cercare di uccidere Reiner. Che sia giusto o meno, perde completamente la ragione, si schiera apertamente contro i suoi stessi compagni, li minaccia di ucciderli e in un impeto di follia confessa di aver ucciso lei stessa la squadra di Levi. Non pensa alle conseguenze, non sente né vede niente, è totalmente accecata dalla follia... ma sente l'ultimo lamento di Reiner.
Adesso basta. È finita.
Lui è ancora intenzionato ad allontanarla e lei è disposta a non arrendersi, ancora e ancora, ostinata, ma arriva il gigante carro che lo porta via e l'equilibrio si rompe. Reiner sparisce definitivamente e Tris viene presa e bloccata da Hanji. In che modo ora potrà salvarsi? In che modo ora potrà continuare nella sua ostinata ricerca? Si arrenderà definitivamente?
Ma non finisce qui... tornano indietro e trovano Armin ed Erwin morenti. Bertholdt è pronto ad essere dato in sacrificio. Non ci sono vie d'uscite, almeno due di loro moriranno, qualsiasi cosa venga scelta. Il comandante che le ha sempre dato fiducia, nonostante tutto, l'amico d'infanzia, o il compagno con cui ha condiviso così tanti e segreti. Ancora una volta deve essere presa una scelta e non c'è alcun modo di salvare tutti. Tris ormai si abbandona, arrendevole, e si lascia schiacciare dal dolore. Non riesce quasi più a respirare, l'unica cosa che riesce a pensare è che vorrebbe far sparire ogni cosa. Darebbe qualsiasi cosa per sparire definitivamente, non poter più vivere in quella situazione. Il buio, il silenzio, vuole l'annichilimento, ormai ha perso tutto. È arrivata alla fine... e ha perso miseramente. Il dolore è troppo, vuole farlo sparire. Ed ecco che arriva Jean in suo aiuto. L'abbraccia, le chiude il volto, le tappa le orecchie. I suoni vengono così ovattati, quasi cancellati, e la vista è preclusa. È quello il suo antro sicuro, il suo desiderio più grande di quel momento: il vuoto, il silenzio, il buio. Nonostante tutto, Jean continua ad essere con lei e rassicurarla.
Lì, lei può essere fragile quanto vuole.

Nda lunghissime per un capitolo lunghissimo xD Ma è talmente pieno che meritava un commento. Si chiude con questo capitolo un cerchio importante, fondamentale. Beatris ha lottato fino a questo momento ed è arrivata alla fine, totalmente sconfitta su ogni fronte. Ha perso Reiner, ha perso Bertholdt, Annie, crede di aver perso anche Armin e soprattutto la fiducia di tutti i suoi compagni, compresa quella del suo capitano. Cosa le resterà adesso?

Vi lascio alla canzone del capitolo che vi invito caldamente ad ascoltare, perché è una di quelle che danno i super feels. È dal punto di vista di Reiner durante tutta la battaglia, dal momento in cui la vede la prima volta e pensa che quello è il posto in cui sarebbe tornata, in cui è caduta e lì loro la stavano aspettando. E ancora, con ostinazione, riflette sempre più convinto che lui non appartiene a quel posto, per quanto pieno di luce e di pace, deve andarsene e si chiede come sia potuto accadere, è combattuto, quel momento è arrivato troppo presto. Ma ormai ha riflettuto abbastanza, lui non appartiene a quel luogo, è venuto a patto con la vita e ha capito che è andato avanti anche fin troppo... è arrivato il momento di andarsene definitivamente e lei deve lasciarlo andare.

Enjoy
E a presto!

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora