«Tris» sussurrò Jean, infilandosi in un gruppo di persone per scivolare alle loro spalle. «Aspetta» cercò di raggiungerla e alla fine riuscì a passare tra la calca e arrivarle alle spalle.
«Idiota» lo ammonì Beatris. «Ti ho già detto che mi chiamo Adele, qui».
Camminò rapida ai margini della piazza, alle spalle della folla, e continuò a guardarsi attorno compulsivamente.
«Che razza di nome è Adele?» sussurrò lui, lievemente stomacato. E Beatris lo fulminò, rabbiosa: «Non l'ho scelto io!» ruggì. Era stato Zeke a metterle quel nome, fintanto che sarebbe stata la sua "amata mogliettina", e solo questo bastava per farglielo odiare. Non c'era bisogno di rigirare il dito nella piaga.
«Va bene» ridacchiò Jean, spaventato da quell'improvviso odio profondo. «Tranquilla, non c'è bisogno di prendersela».
Beatris restò a fissarlo per qualche secondo, senza riuscire ad abbandonare il rancore, poi si voltò e riprese a camminare con rapidità, costringendo Jean a correrle dietro.
«Dove stiamo andando? Non era questa la nostra posizione».
«Non ti ho chiesto di venire con me» gli disse, secca.
«Non hai perso il brutto vizio di fare di testa tua, sospetto che sia rimasta invariata anche la tua capacità di metterti in pericolo. Non posso lasciarti sola».
Beatris si fermò di fianco a un gruppo di casse appoggiate vicino a un muro e ci si arrampicò sopra, sporgendo la testa oltre la folla, guardandola scrupolosamente.
«Ma che stai facendo? Attirerai l'attenzione!» l'ammonì Jean, ma lei ancora non lo ascoltò. Corrucciata, studiava una a una tutte le teste che riusciva a intercettare, senza trovare ciò che palesemente stava cercando con ossessione da almeno quindici minuti. Dall'inizio del discorso di Tybur.
"Dove sei, Falco?"
«Non starai cercando Reiner, vero?» le chiese, lievemente irritato. E Beatris si corrucciò, sentendo ogni fibra del suo corpo tendersi dal nervoso. Si voltò e fulminò di nuovo Jean: «Pensi che possa preoccuparmi di lui in un momento del genere?!»
«Ovviamente sì!» le rispose a tono, altrettanto nervoso, e Beatris si ammutolì. Aveva dannatamente ragione, lei era capace di fare una cosa come quella, lo aveva già fatto altre volte. E probabilmente lo avrebbe fatto davvero, se al momento non avesse avuto preoccupazioni maggiori. Eren stava per sferrare il suo attacco e lei non poteva permettere che Falco ne restasse coinvolto. Quel ragazzino... lui più di chiunque altro non meritava di morire in quel modo. Doveva trovarlo e portarlo via prima che fosse troppo tardi.
Tornò a guardare la folla davanti a sé, preoccupata.
«Il discorso di Tybur è iniziato ormai da una ventina di minuti e lui non si è ancora visto» disse, più pacatamente, facendo bene attenzione a non pronunciare il nome di Eren ad alta voce. «So che lo farà qui, ma non so né quando né dove. Se riuscissi a trovarlo prima di allora forse potrei fare qualcosa...»
«Non ci sei riuscita per quasi dieci mesi, dubito che tu possa riuscire a mettergli in testa il dubbio dell'ultimo minuto».
«Tch» sibilò, sempre più frustrata.
«Così mi sembri il capitano...» borbottò Jean, notando la sua espressione così somigliante a quella di Levi, quando si arrabbiava. Si voltò a guardare il palco, ad ascoltare le parole di Tybur, pensieroso e preoccupato. Quella situazione era una schifezza da ovunque la si guardasse. Eren poteva comparire persino sotto ai loro stessi piedi.
«Chiuditi il bottone della camicia» l'ammonì improvvisamente Beatris. «Si vede ciò che hai sotto».
E Jean abbassò lo sguardo alla propria camicia. L'ultimo bottone era aperto ed effettivamente si intravedeva la propria divisa con l'attrezzatura sotto di questa. Anche se il mantello copriva il resto del sistema di manovra tridimensionale, era bene far attenzione anche ai più piccoli particolari. Beatris tornò a guardare la gente che aveva davanti, attentamente, mentre Jean si sistemava gli abiti. E fu in quel momento che lei riuscì a intercettare una testa conosciuta. L'aveva vista al cancello, al ritorno dei soldati dal fronte.
«Gabi» mormorò tra sé e sé, talmente bassa che Jean non riuscì a sentire se non un lieve suono ovattato. La gente si sollevò in cori e ovazioni in quel momento, di fronte a un Tybur che aveva quasi concluso il suo discorso e ora inneggiava alla guerra e all'unione delle nazioni. Beatris saltò giù dalla cassa su cui si era arrampicata e cominciò a correre, infilandosi tra le persone, con ancora più velocità di quella di prima.
«Tr...Adele!» Jean si corresse subito, cercando di inseguirla. Ma la folla era troppo entusiasta, troppo accalcata e non solo fu difficile per lui starle dietro, ma vide che anche lei dovette dare un paio di spintoni per riuscire a passare. Senza risparmiarsi nella violenza. Doveva aver trovato quello che cercava.
Erano ormai a metà, Beatris aveva quasi raggiunto Gabi, quando all'improvviso la terra tremò e un enorme boato fece sussultare tutti. Macerie e macigni volarono ovunque, colpendo la folla in più punti, spargendo sangue e urla. Fu il caos.
«Tris!» gridò Jean, nell'istante in cui venne trascinato via. Provò a spingere qualcuno, provò a farsi strada, ma sembrava impossibile. Era come nuotare contro corrente. Davanti a loro il palco andò in frantumi e un ruggito lo costrinse ad alzare gli occhi. Eren era lì, davanti a loro, trasformato. Aveva appena distrutto un palazzo e afferrato Tybur. Lo stritolò tra le dita come fosse stato un tozzo di pane e lo divorò. Fu una scena raccapricciante, che mise la pelle d'oca persino a lui che ormai conosceva Eren da tempo e aveva visto la sua trasformazione decine di volte. Venne spinto ancora, colto alla sprovvista per il suo attimo di esitazione, e colpì uno dei macigni del palazzo distrutto alle sue spalle. Si corrucciò, lievemente dolorante, e tornò a guardare intorno a sé. Cercare Beatris. Ma ormai l'aveva persa di vista.
«Tris!» chiamò, disperato. Ma non c'era niente da fare, la gente correva ovunque, si accalcava, si spingeva e non aveva pietà di chi cadeva a terra. Non poteva cercarla in mezzo a tutto quello, sarebbe stato un suicidio e non l'avrebbe trovata tanto facilmente, non sapendo a cosa stesse puntando. Oltretutto, non poteva perdere altro tempo. Eren si era mostrato, l'operazione aveva appena avuto inizio e lui doveva tornare alla sua postazione.
«Merda!» ringhiò e si voltò, correndo verso un vicolo.
Beatris si fece strada tra la folla, venendo spintonata, dovendo spingere a sua volta. Si corrucciò, trovandosi schiacciata in un gruppo in fuga, ma riuscì a sgusciare fuori. E finalmente arrivò dove voleva. Gabi era a terra, caduta, ma apparentemente indenne. Vicino a lei c'erano un altro ragazzino e Colt, il fratello di Falco. Gli corse incontro e si inginocchiò di fronte a Gabi, prendendola subito per le spalle. «Puoi muoverti?»
«Io... sì» mormorò Gabi, confusa. Chi era quella donna?
«Zophia!» sentì gridare il ragazzino. «Zophia è stata schiacciata!»
Beatris si voltò e alle sue spalle vide uno dei macigni del palazzo distrutto. Sotto di questo sbucavano un paio di gambe coperte da una gonna, una ragazza. Quella Zophia, sicuramente. Ma ovunque c'era sangue e lei non si muoveva. Non c'era niente che potessero fare, eppure il ragazzino si poggiò sul masso e cercò comunque di spostarlo. «Dobbiamo liberarla!»
«Udo! Dobbiamo andarcene! Non c'è niente da fare!» gli disse Colt, avvicinandosi e cercando di trascinarlo via.
«Ma Zophia...» insisté Udo, cercando di fare resistenza.
Beatris strinse le spalle di Gabi tra le mani e si corrucciò per un istante, sotto al peso del dolore. Era una scena straziante e lei aveva vissuto fin troppi momenti come quelli, in passato. Era un incubo, era un vero incubo. Tornò a voltarsi verso Gabi, lasciando che Colt provasse a trascinare via Udo.
«Dov'è Falco?» le chiese.
«Tu lo conosci...» mormorò Gabi, immobile, paralizzata. Ma non le ci volle molto per riacchiappare un pensiero, anche se forse non il più utile al momento. «Adele?» le chiese.
«Dov'è? L'hai visto?» insisté Beatris, ignorando la sua domanda.
«No...» riuscì finalmente a rispondere Gabi. «Si è allontanato poco prima dell'inizio, con Reiner».
Con Reiner? Allora forse c'era una speranza... finché fosse stato con lui, sarebbe stato al sicuro. Reiner l'avrebbe sicuramente protetto. Se poi lui gli aveva dato il suo messaggio, se Reiner fosse riuscito a capire il suo significato, allora forse avrebbe potuto reagire per tempo. Forse poteva concedersi di lasciar perdere Falco, almeno al momento. Un altro ruggito alle sue spalle e un coro di urla più alto degli altri. Si voltò in tempo per vedere Eren cadere a braccia spalancate contro una tribuna, schiacciando centinaia di persone. Era inverosimile... non poteva essere vero. Non proprio Eren. Lui non lo avrebbe mai fatto.
Restò paralizzata per qualche secondo, guardando la scena a occhi spalancati, incredula. Non potevano restare lì. Eren non aveva pietà di nessuno, non potevano fermarsi ancora in quel punto. Erano troppo vicini.
Si voltò verso Gabi e la cinse per la vita. La sollevò da terra e se la caricò su una spalla. Gabi non riuscì ancora a muoversi, ma rivolse uno sguardo sconvolto a Beatris. Era molto più forte di quello che si sarebbe aspettata, per essere una semplice civile. E, poggiandosi su di lei, riuscì a sentire qualcosa di duro sulle sue spalle... metallico, nascosto sotto al mantello che la copriva quasi completamente.
«Colt!» si voltò verso il ragazzo. «Dobbiamo portarli via da qui!»
«Andiamo, Udo!» disse Colt, prendendo Udo per una mano e cominciando a trascinarlo. Farsi strada tra la folla, con i due ragazzini da portare in salvo, fu un'impresa quasi titanica. Vennero colpiti e spintonati. Trascinati e schiacciati. Ma con una forza ancora decisamente inusuale per una donna del suo rango, Beatris riuscì alla fine a farsi strada fino a un altro macigno, un po' più appartato, apparentemente protetto sia da Eren che dalla folla incontrollata. Lasciò andare Gabi, mettendola a sedere a terra, e si voltò a cercare Colt che doveva essere subito dietro di lei. Ma non lo vide.
«Colt!» gridò cercandolo con lo sguardo. Fece un passo, pronta a ributtarsi nella mischia, ma vide Colt sbucare poco dopo. Con Udo pieno di sangue tra le braccia.
«Siamo stati separati!» gridò il ragazzo in lacrime. «È caduto! Lo hanno calpestato».
Fece un passo per raggiungerli, ma un altro fiume di gente si mise in mezzo e spintonò Colt indietro, impedendogli di raggiungerli. Beatris si corrugò ancora, nervosa, disperata, al limite della pazienza. Le fu difficile trattenere l'istinto di scattare in quel momento, raggiungere Eren e ucciderlo con le sue stesse mani. Tutto quello... era davvero troppo. E Colt non riusciva a raggiungerli, trascinato, spinto via, con un corpo morto in braccio non era capace nemmeno di ribellarsi troppo. Gabi spalancò gli occhi sorpresa quando infine vide Beatris sollevare il braccio verso l'alto... sorreggendo quella che sembrava una pistola. Cosa ci faceva lei con una pistola come quella. Così strana poi... non l'aveva mai vista prima.
Beatris sparò un colpo in aria e il boato fece sussultare la gran parte della gente che aveva attorno. Come un banco di pesci, terrorizzati da un nuovo inspiegabile pericolo, la folla iniziò a muoversi lontana da lei. E questo le permise di aprirsi una strada, sicura, fino a Colt. Lo afferrò per la camicia e lo trascinò via dal fiume di gente. Lo portò vicino a Gabi e lo costrinse a sedersi vicino a lei. Il vuoto creato intorno a loro dalla folla si richiuse immediatamente dopo, di nuovo invaso da nuovi fuggitivi.
«Restate qui!» ordinò ai due ancora coscienti. «Non appena la folla si sarà diradata un po' andatevene e portate il ragazzino all'ospedale!» e si voltò, pronta a tornare all'interno del fiume di gente.
«Aspetta! Che intenzioni hai?!» gridò Colt, allungando una mano nella sua direzione, spaventato all'idea che potesse morire. Beatris si affacciò oltre il masso e puntò lo sguardo furioso verso Eren. «Devo riportare indietro un idiota senza cervello» disse a denti serrati, completamente fuori di sé. Fece un passo, pronta a lanciarsi verso di lui, ma un altro boato fece tremare la terra. E di fronte a Eren prese forma un altro gigante, che mai aveva visto prima. Non lo conosceva personalmente, ma aveva sentito parlare del gigante martello. Zeke l'aveva messa in guardia da quello, era pericoloso.
«Merda» sibilò. Avrebbe voluto lanciarsi verso Eren, cercare di fermarlo, di recuperarlo, anche a costo di tirarlo fuori dalla sua collottola con la forza. Lei doveva domarlo, ne aveva il dovere, la piena responsabilità. Ma Eren iniziò a combattere con il gigante martello e, per quanto lei fosse pazza e sconsiderata, si rese conto che non avrebbe potuto mettersi in mezzo senza restare uccisa. Doveva lasciare che se ne occupasse Mikasa. Degli spari, poco dopo, appena sopra le loro teste. E tornò a voltarsi, alzare lo sguardo terrorizzata ai tetti pochi metri da loro. Riusciva a vedere sporgere il muso di alcuni cannoni e un paio di questi li vide scoppiare, sparare in direzione di Eren. La guerra era appena cominciata. Non c'era più niente che avesse potuto fare adesso per fermarla... non le restava che prendere la sua posizione. Strinse i pugni, furiosa. Quante volte aveva passeggiato in quella piazza, durante i suoi quattro mesi di permanenza lì. Quante volte si era fermata sulle sue panchine, a guardare la gente passare. E nessuna di queste, benché di una nazione diversa, era nemica. Nessuna di loro lo era mai stata. Lei non era nemica di Liberio... lei ci aveva vissuto e aveva desiderato così tanto poterci arrivare. Ma Eren l'aveva costretta a quella scelta, non aveva altre alternative. Ormai era quella la sua posizione.
Avrebbe davvero voluto incontrare Reiner, poterci parlare. Avrebbe voluto conoscere meglio Colt, conoscere meglio Gabi, e tutta la famiglia Braun. Avrebbe voluto vivere pacificamente con loro e il resto dei suoi compagni di Paradis. Si voltò lievemente, lanciando a Gabi e Colt uno sguardo traverso, colmo di rammarico. Da quel momento loro sarebbero stati nemici. Sperava solo che fossero riusciti a salvarsi, almeno loro. Almeno Falco.
«Mi dispiace» gli disse in un lamento e infine corse via. Fece un paio di passi tra la folla e si tolse di dosso il mantello. Con un solo gesto si aprì completamente la camicetta, fece scivolare via rapidamente la gonna che aveva sotto, con movimenti semplici e rapidi. Erano abiti messi apposta per essere tolti il più velocemente possibile. E pochi istanti dopo, ormai nascosta dalla folla, Gabi e Colt videro qualcosa partire dalla sua direzione. Un cavo, con un rampino, che andò a conficcarsi su uno dei tetti sopra di lei. E spiccò il volo. Sotto il loro sguardo allucinato, Beatris si sollevò in aria, trascinata da quel rampino e una strana attrezzatura che aveva imbracata addosso, con una divisa completamente nera. Si diede uno slancio impressionante e volò fino al tetto, dove c'erano i cannoni. Due bombe alla mano, nell'istante in cui comparve tra due di questi, cogliendo i soldati di sorpresa, e le lanciò all'interno della bocca del cannone. Sparò un altro rampino e volò in mezzo ai soldati, sparendo alle loro spalle. Si sganciò nell'istante in cui passò tra due di questi e puntò le proprie pistole alla testa di entrambi, uno a destra e uno a sinistra. Fece fuoco.
Vedendo i due colpiti accasciarsi a terra, con la testa ormai saltata in aria dai colpi di pistola, il resto dei soldati parve riprendersi dalla sorpresa di aver visto una sconosciuta, con una strumentazione mai vista prima, piombare su di loro dal basso. Si voltarono e puntarono a lei i propri fucili, pronti a fare fuoco, ma in quello stesso istante le due bombe lanciate nella bocca dei cannoni esplosero. Beatris si buttò a terra, ancora spinta dallo slancio del suo volo, e si schiacciò sul pavimento, coprendosi goffamente la testa. L'esplosione non solo fece saltare in aria i due cannoni centrati, ma anche quelli a fianco e i soldati che vi erano intorno, travolti dall'impatto. Il corpo di uno di questi cadde nel vuoto, verso la piazza, non troppo lontano da dove si erano rifugiati Gabi e Colt.
«Non... non è possibile...» balbettò Gabi, sconvolta. «Quella donna... lei... è...»
«Andiamo!» le disse Colt e prendendola per mano la trascinò via, caricandosi Udo su una spalla. «È una nemica, non c'è dubbio!» le disse, notando che ancora guardava a bocca aperta in direzione del tetto appena saltato in aria.
«Ma lei... ci ha salvati... perché?»
Ma Colt non l'ascoltò nemmeno più, e insieme ai due ragazzini, infine, si diresse verso l'ospedale.
Beatris si sollevò lentamente da terra, frastornata dall'esplosione che per poco non aveva investito anche lei. Ebbe appena il tempo di scuotere la testa, per cercare di tornare in sé, quando sentì il rumore di passi e armi che venivano caricate. Si voltò verso sinistra e vide arrivare una piccola squadra nemica, da un tetto vicino comunicante. Le puntarono le armi addosso, pronti a fare fuoco, ma alle loro spalle proprio in quel momento arrivarono anche il resto dei suoi compagni. Connie lanciò contro di loro una lancia fulmine e li fece saltare in aria. Jean si occupò di qualche soldato rimasto indietro, sparandogli mentre volava tra loro.
«Tris! Occupati dei tetti a fianco! Devi coprire le spalle a Mikasa» le urlò Jean, volando in una via parallela verso una casa dove aveva visto rifugiarsi alcuni soldati. Beatris si sollevò definitivamente da terra e con un veloce gesto della mano si ripulì del sangue che le colò giù da uno zigomo ferito. Corse lungo il tetto, cercando di avvicinarsi il più possibile alla zona dove Eren stava combattendo, e infine saltò giù. Usò il nuovo sistema di movimento, si lanciò verso un tetto a fianco e sparò ad altri due soldati. Si voltò in tempo per vederne arrivare altri e saltando giù, riuscì a schivare i colpi di fucile. Si infilò all'interno di una finestra, entrando in una delle case, e uscì nel corridoio. Altri soldati, altri spari, altre vittime. Corse fino alla finestra delle scale e da lì tornò fuori, volò sopra altri tetti e sparò ancora. Si sganciò una bomba dalla cintura e la usò per far saltare in aria altri cannoni. Sentì una specie di lamento alle sue spalle e si voltò, guardando il gigante martello accasciarsi, privo di testa e di nuca. Mikasa ce l'aveva fatta.
Si sganciò e si agganciò a un traliccio, vicino a loro. Il gigante di Eren aveva la testa frantumata, ma lui era vivo, fuori dalla nuca del suo gigante. Mikasa al suo fianco gli stava parlando.
«Mikasa! Hanno iniziato a mettere i fari, allontaniamoci! Nascondiamolo fino a quando non arriva il dirigibile» gridò Beatris, raggiungendoli.
«Non è ancora finita» mormorò Eren, apatico. Mikasa e Beatris si voltarono verso il corpo del gigante martello e lo videro rimettersi in piedi.
«Non è possibile...» ebbe tempo di dire Mikasa, che il gigante martello creò con le fibre del suo stesso corpo una balestra. E sparò un dardo nella loro direzione, che centrò in pieno il gigante di Eren.
«Bea, attenta!» gridò Mikasa, guardando l'amica ancora appesa al traliccio. Il corpo di Eren, colpito, venne spostato dalla potenza del dardo proprio nella sua direzione e investì in pieno quello stesso traliccio.
«Merda!» ringhiò Beatris, sganciandosi non appena lo vide e tentando di agganciarsi a un tetto vicino. Riuscì a farcela, a frenare la sua caduta, ma l'unica diagonale che era riuscita a trovare si trovava purtroppo proprio in traiettoria della caduta del traliccio. A pochi metri da terra, perse stabilità per l'estrema vicinanza col corpo di Eren in caduta che si impigliò a uno dei suoi cavi. E cadde a terra, tra le macerie. Venne sbalzata via, strusciò sul terreno per un paio di metri, ma riuscì a sopravvivere. Poggiò una mano a terra e lentamente, lottando col dolore che provava ovunque, cercò di rialzarsi scuotendosi di dosso polvere e calcinacci. Ebbe un attimo di frastornamento, le ci volle qualche istante, e quando finalmente si riprese e si voltò verso il campo di battaglia vide Eren trasformato un'altra volta, in un corpo nuovo. Il gigante martello era a terra, apparentemente immobile, e Eren stringeva qualcosa tra le mani... una specie di cristallo. Ma alle sue spalle, aggrappato a uno dei palazzi, riuscì a vedere un altro gigante. Il Mascella era lì.
«Eren!» gridò, rialzandosi e correndo verso di lui. Il Mascella gli saltò alle spalle subito dopo, senza dare a Beatris il tempo di reagire. E lo morse alla nuca. Ma su di lui piombò poco dopo una figura nera: Levi era arrivato. Gli squarciò una guancia, recidendo al Mascella i tendini della bocca, e questo gli impedì di serrare i denti sulla sua nuca. Beatris fece scattare il proprio meccanismo in quel momento, decisa a lanciarsi contro il nemico, ma fu costretta a deviare di nuovo. Qualcuno sparava loro addosso.
Si lanciò dietro delle colonne e si sporse per guardare meglio. Il gigante Carro era su uno dei tetti, armato di tutto punto, con una mitragliatrice sulla schiena. Davanti a lei almeno una ventina dei suoi compagni del corpo di ricerca vennero spazzati via. In pochi riuscirono a mettersi in salvo.
«Merda» ripeté, per l'ennesima volta. E non finì neppure di pensare a qualcosa, che da una strada di fronte infine vide arrivare l'ultima delle loro disgrazie: il gigante Bestia si unì al combattimento. Alcuni dei suoi compagni sopravvissuti si lanciarono su questo, Levi cercò di colpire di nuovo il Mascella e in fondo, il gigante Carro, sparava loro addosso una raffica di colpi.
«Eren, bastardo... è questo che volevi?» Beatris digrignò i denti ed infine entrò nel palazzo che aveva alle spalle. Salì le scale e trovò un paio di soldati appostati a una finestra di un pianerottolo. Sparò loro prima che potessero accorgersi della sua presenza, e continuò a salire, fino all'ultimo piano. Si lanciò giù da una finestra che dava su di un vicolo ed entrò nella finestra del palazzo di fronte. E continuò, di palazzo in palazzo, eliminando chi incrociava, fino ad arrivare a quello dove doveva trovarsi il gigante Carro. Uscì sul retro e salì fino al tetto, arrivandole così alle spalle. Sasha era già appostata dietro a una balaustra, con il fucile puntato nella sua direzione. Aspettava solo l'angolazione giusta per sparare a uno degli uomini dentro la mitragliatrice che il gigante aveva sulla schiena, così da impedirgli di sparare ancora. Davanti a lei Zeke distrusse quasi completamente la piazza, lanciando massi in ogni direzione, e un altro boato ne seguì. Eren era dovuto ricorrere alla terza trasformazione, la seconda era stata infilzata completamente e tenuta sollevata metri da terra da altre formazioni del gigante Martello. Il Mascella si lanciò contro alcuni soldati di Paradis, impedendo loro di lanciare sul Carro una lancia fulmine e salvandole la vita. E fu quello il momento in cui Beatris infine intervenì. Lanciò uno dei suoi rampini proprio sul gigante Mascella e si aggrappò a lui, ancora sollevato in aria dopo il salto che l'aveva portato ad afferrare il suo compagno. Passò proprio davanti al Carro, nella sua traiettoria, e volò dall'altra parte, provando a mirare all'interno di uno degli spazi della mitragliatrice, dove vedeva il primo degli uomini. Lo mancò, centrando il ferro, ma non importava. Il suo obiettivo era far voltare il Carro, così da mettere Sasha in traiettoria. E funzionò. Il Carro si spostò, cercando di seguirla con lo sguardo e permettere ai suoi uomini di sparare, ma Beatris si sganciò e si lasciò cadere verso terra, sparendo sotto di loro. Zeke si trovava proprio lì a fianco e non esitò nel provare a colpirla, spingendo un pugno indietro, nella sua direzione. Beatris si agganciò di nuovo, diede gas e riuscì a schivarlo ma venne ancora una volta sbalzata via dall'impatto. Riuscì a voltarsi, a trovare un nuovo appiglio per volare ancora, spostarsi e sollevarsi. Ma proprio mentre stava sorvolando la piazza, in cerca di riparo, qualcosa catturò la sua attenzione.
Falco era lì, in mezzo al fuoco incrociato, che barcollava cercando di raggiungere il palazzo alle spalle di Zeke. Ma era ancora troppo lontano e lì era il caos. Il Mascella si lanciò nuovamente verso Eren, ma questo lo scacciò via con un pugno. Non guardò dove lo spinse, ma anche se avesse guardato, quel nuovo Eren non ci avrebbe dato peso.
«Falco!» gridò Beatris, arrivando sul ragazzino appena in tempo. Lo afferrò e lo trascinò in alto, appena in tempo per essere mancato dal corpo del Mascella in piena caduta.
«S-signorina Adele...» mormorò Falco, alzando gli occhi su di lei. Ma Beatris non lo sentì nemmeno, troppo concentrata a schivare i colpi che Zeke e il Carro continuavano a sparare in ogni direzione. Virò, dovette fare una manovra improvvisata, rischiando che il contraccolpo facesse del male a Falco, ma riuscì a schivare l'ennesimo proiettile di Zeke. E finalmente riuscì a capire perché Falco avesse cercato di correre in quella direzione: c'erano uomini di Marley, appostati dietro a una colonna, proprio dietro Zeke. Non stavano facendo niente, se non cercare di proteggersi e far rialzare un paio di feriti.
«Tieniti!» ordinò a Falco che parve riprendere coscienza di sé solo in quel momento. Urlò terrorizzato, rendendosi conto solo in quel momento di star volando appeso a non sapeva cosa, circondato dal fuoco nemico e amico. Si aggrappò a Beatris con tutte le forze che aveva, avvinghiandosi a lei, e a ogni virata, o a ogni salto verso l'alto, a ogni colpo che vedeva arrivare nella sua direzione, era un urlo. Furono costretti a spostarsi ancora, passare addirittura tra le gambe di Eren, schivare il Mascella che gli saltava addosso. Si mossero a zig zag per schivare i proiettili che Zeke lanciava loro. Beatris puntò i soldati che vedeva correre adesso nel vicolo a fianco, raggiunti da Gabi, e in quel momento Levi riuscì a piombare sulla nuca di Zeke. Lo colpì e questo crollò su di un lato, proprio verso di loro. Questa volta a urlare fu anche Beatris, e usò quanto più gas avesse nelle bombole per riuscire ad accelerare. Si schiacciò praticamente verso terra, strinse la testa di Falco con una mano, e si fece sottile, passando sotto il titano Bestia un istante prima che questo impattasse a terra. Arrivò dal gruppo di soldati che era praticamente avvolta su Falco per cercare di proteggerlo e questo non fu d'aiuto per l'atterraggio. Caddero a terra, scivolò sul selciato per qualche metro e arrivarono ai piedi del gruppo di soldati. Con un lamento dolorante, cercò di rimettersi rapidamente in piedi e tirare su anche Falco, ma non appena mise un ginocchio a terra si trovò un fucile puntato in fronte. Spalancò gli occhi, sorpresa e terrorizzata... e il fucile sparò.
Mancandola.
«Aspetta! Mi ha salvato!» gridò Falco, con le mani ancora sulla canna del fucile che aveva appena deviato. Ma il soldato lo spintonò via, liberandosi della sua presa, non comprendendo che diamine gli fosse preso, e tentò di puntarla ancora. Ma Beatris approfittò del piccolo vantaggio che Falco gli aveva dato per arpionarsi a un muro lì di fianco e volare via. Il soldato cercò di mirarla ancora, ma Beatris riuscì a muoversi velocemente da una parte a un'altra, non dandogli una traiettoria da seguire, e infine sparì sopra il tetto a fianco. Delle esplosioni vennero dal tetto della casa opposta e in quel momento videro il corpo del gigante Carro cadere verso di loro. Atterrò poco lontano, ormai martoriato, con l'attrezzatura completamente distrutta. Jean saltò giù da quello stesso tetto e si lanciò contro il corpo del gigante Carro.
«Adesso! Finiamola!» gridò, caricando l'ennesima lancia fulmine.
«No, fermi!» urlò Falco e corse verso il corpo del gigante. Gli si mise davanti, a braccia aperte. «Non sparate, vi prego!»
Ma Jean aveva già caricato il colpo e ormai di civili ne aveva uccisi fin troppi per sentire i sensi di colpa verso un ragazzino. E non poteva lasciar scappare così il gigante Carro. Doveva colpire. E non si fermò.
«Jean! No!» gridò Beatris, affacciandosi dal tetto sopra la quale si era rifugiata poco prima. Ma Jean aveva già cominciato l'attacco, troppo tardi per fermarsi, e la lancia fulmine venne tirata nella direzione di Falco e del gigante alle sue spalle. Riuscì però a deviare di poco la mira all'ultimo e la lancia colpì il fianco del gigante, senza intaccare né Falco né la nuca del gigante, dalla quale uscì in quel momento il corpo di Pieck. Beatris si lanciò verso Jean e lo intercettò per aria, afferrandolo e trascinandolo via.
«È solo un ragazzino!» urlò in direzione dell'amico, mentre lo portava via.
«È il corpo del gigante Carro!» sentirono gridare qualcuno alle loro spalle. «Presto, uccidetelo!» e una decina di membri del corpo di ricerca si lanciarono verso il nemico, Connie compreso. I soldati marleyani a terra reagirono in quel momento. Caricarono i fucili, li alzarono e colpirono simultaneamente, Gabi compresa. Ne uccisero almeno la metà, qualcuno restò ferito e Connie fu uno di questi.
«Ritiriamoci!» gridò Beatris, raggiungendo il tetto dal quale era caduta Pieck insieme a Jean. Un'esplosione, l'ennesima, ma questa volta provenne dal corpo del gigante Bestia ancora steso a terra. Levi gli aveva appena fatto saltare la nuca, uccidendo con ogni probabilità il suo ospite. Era una disfatta totale per Marley e i rinforzi che avevano chiamato non arrivavano... forse bloccati? Da laggiù non potevano vedere ciò che stesse accadendo al porto, ma se avessero potuto avrebbero visto il gigante Colossale, Armin, distruggere tutte le imbarcazioni e l'intero porto.
Connie raggiunse Sasha, Jean e Beatris sul tetto e atterrò di fianco a loro.
«Come stai?» gli chiese Jean, notando la spalla ferita.
«Solo un graffio» rispose Connie, controllando il danno. «Sto bene».
«Guardate!» gridò Sasha, indicando un punto alle loro spalle. Lungo tutta la via, durante il loro arrivo, avevano sistemato delle torce per indicare il tragitto. E sopra queste, sospeso per aria, era in arrivo il dirigibile che li avrebbe raccolti e portati via.
«Appena in tempo» commentò Jean.
«Liberiamoli la strada» disse Beatris. «Ci sono ancora soldati in giro, potrebbero abbatterlo».
Annuirono e tutti e quattro saltarono di nuovo giù dai tetti, riprendendo la battaglia. Sasha e Connie si infilarono all'interno di alcuni vicoli secondari, Jean e Beatris continuarono su quella principale, uccidendo i soldati che trovavano nascosti nelle case, pronti a sparare. I ruggiti dei giganti alle loro spalle indicavano la battaglia che proseguiva, e tra un'uccisione e un'altra riuscirono a lanciare un'occhiata. Eren aveva appena rotto il cristallo che teneva rinchiuso il corpo del gigante Martello, facendolo mordere con forza al Mascella, e ne aveva divorato il corpo della donna rinchiusa all'interno. Era una scena raccapricciante, ma non poterono fermarsi ad osservarla e permettersi di inquietarsi. Un paio di carri arrivarono, con dentro almeno una ventina di soldati ciascuno. Jean ne fece saltare uno con la lancia fulmine, Beatris si preoccupò di uccidere i superstiti che puntavano loro i fucili. Si preparò a far saltare anche il secondo, ma ormai i soldati erano scesi giù, approfittando della prima esplosione, e si stavano sparpagliando tra i palazzi a fianco. Alzarono lo sguardo. Il dirigibile era lì, sopra di loro, pochi metri più avanti.
«Dobbiamo ritirarci, ormai rimane solo il Mascella» disse Jean, voltandosi a guardare di nuovo la situazione. Eren aveva atterrato anche lui, gli era sopra e lo teneva fermo, pronto a mordergli la nuca. «Direi che ormai abbiamo finito, Mikasa porterà via Eren».
«Sì» annuì Beatris, e lanciarono lontano i propri rampini, pronti a raggiungere il dirigibile. I soldati nei palazzi si affacciarono dalle finestre e puntarono loro i fucili. Fecero fuoco da entrambe le direzioni e Jean e Beatris riuscirono a schivarli solo sollevandosi il più in alto possibile.
«Muoviti, Tris!» gridò Jean e lei ancora annuì, puntando il dirigibile. Ma ebbe un fremito improvviso.
«Reiner!!!»
Qualcuno aveva gridato il suo nome. Si voltò a guardare la piazza alle sue spalle e virò, salendo sopra uno dei tetti.
«Tris!» gridò Jean, molto più avanti di lei, vedendola fermarsi. Ma Beatris non lo ascoltò e cercò di captare quanti più suoni possibili, provenienti dalla piazza. Non sentiva altro che il rumore degli spari e i ruggiti dei giganti. Eppure era certa di averlo sentito...
Falco doveva essere con lui. E aveva visto Falco nella piazza. Poteva avere un senso... ma che se lo fosse solo immaginato?
Jean tornò indietro, pronto a raccoglierla, ma non arrivò nemmeno.
«Reiner! Salvalo!» sentì gridare di nuovo. Ne era certa, questa volta ne era certa. Qualcuno chiamava Reiner. Lui era lì, in quella piazza. Si mosse e neanche se ne accorse. Sentiva solo che doveva raggiungerlo. Doveva vederlo. Lei doveva prenderlo... era andata a Liberio, aveva vissuto lì per dieci mesi, fingedosi amica, fingendosi Adele, nascondendo il volto quando passeggiava per le strade e sapeva che potevano esserci i Guerrieri nei paraggi. Aveva fatto tutto quello per lui. Era evasa di prigione, aveva seguito Eren voltando di nuovo le spalle ai suoi compagni, abbandonandoli per dieci mesi. Lo aveva fatto solo per poterlo vedere ancora. Per poter arrivare a lui. Non poteva andarsene, non poteva tornare a Paradis, essere messa di nuovo in prigione non appena fossero arrivati, senza essere riuscita a prenderlo. Non poteva abbandonare Marley così. Lui era lì.
Arrivò al bordo del tetto, non potendo più correre coperta, ma non le importò. Si lanciò nel vuoto, usò la propria attrezzatura e volò, disperata, tra gli spari nemici. Doveva arrivare in quella piazza. Doveva raggiungerlo. C'era quasi. Doveva solo... allungare una mano.
Sbucò all'interno della piazza e con lo sguardo cercò disperata tra le macerie. Dov'era? Doveva trovarlo? Dov'era?
«Reiner!!!» sentì gridare ancora e questa volta riuscì a riconoscere la voce di Gabi, più vicina.
«Tris!!!» gridò Jean, piombando su di lei. La prese e la trascinò indietro, virando per tornare verso il dirigibile.
«No! No!» gridò Beatris allungandosi oltre la sua spalla. Si stava allontanando. Dov'era? Dov'era? Lei doveva prenderlo.
«Reiner!» gridò con tutta la voce che aveva, ormai con le lacrime agli occhi. E tornarono dentro la via, ormai sotto il dirigibile. Jean sparò il proprio rampino a questo, aggrappandosi a lui, e trascinò via Beatris per raggiungerlo e salire a bordo. Ma, nella pioggia di proiettili in cui erano appena finiti, uno di questi lo centrò a una spalla, quella con cui teneva la propria attrezzatura. E perse stabilità. Lasciò la presa, troppo accecato dal dolore, ed entrambi caddero verso terra. Beatris fu abbastanza rapida di riflessi da aggrapparsi a lui, voltarsi e arpionarsi a una balaustra. Scivolò all'interno di un porticato, ed entrarono dentro un portone, rifugiandosi al suo interno.
«Jean» lo chiamò e preoccupata guardò la sua spalla ferita.
«Merda» digrignò lui i denti, sofferente. Ma poi spalancò gli occhi e li puntò furioso a Beatris: «Perché devi sempre fare di testa tua?!» le ruggì contro e lei trasalì. Arretrò appena, spaventata. Di litigate con Jean ne aveva fatte a bizzeffe, ma mai nessuna di queste era stata seria. Era la prima volta che lo vedeva veramente arrabbiato con lei e capì che aveva tutte le ragioni per esserlo. Aveva di nuovo perso la testa, accecata dal proprio egoismo, e questo aveva messo Jean in pericolo.
«Perdi la ragione tutte le volte che c'è di mezzo Reiner, la tua è un'ossessione, Tris! Una malattia!» le urlò contro. Beatris si accasciò sulle spalle e abbassò lo sguardo, addolorata. Aveva ragione. Non aveva mai fatto altro che combinare guai, mettere tutti in pericolo, aveva persino ucciso... e continuava a farlo. Solo perché inseguiva quell'unica ragione di vita che sentiva di avere ancora. Non c'era più niente per lei in quel mondo, a Paradis era una traditrice, ora lo sarebbe stata anche a Marley. In quale posto si sarebbe potuta sentire a casa?
«Mi dispiace» mormorò. Fuori dalla loro porta, sentirono provenire dall'interno della piazza un boato e una serie di ruggiti. I giganti stavano ancora combattendo... e forse uno di quelli era proprio Reiner.
«Merda» sbuffò Jean, calmandosi. «Sei tale e quale a Mikasa certe volte. Anche lei non capisce più niente quando si tratta di Eren. Se l'amore dev'essere così, spero di non innamorarmi mai, allora... fa perdere il senso della realtà».
«Io... non ho altro...» mormorò Beatris, sentendo un nodo formarsi in gola.
«Avevi noi! Hai sempre avuto noi!» la rimproverò Jean, ma la vide ancora abbattuta, ancora avvilita. «Non siamo mai stati abbastanza, vero?»
«Non è la stessa cosa. Io sono sempre stata felice di stare con voi...» e sentì le lacrime cominciare a inumidirle gli occhi. Si portò una mano al volto, cercando di coprirsi, cercando di nascondersi e non farsi vedere, ma fu tutto inutile. Le tremavano le spalle nello sforzo di contenere il pianto. «Non avrei quasi ucciso Reiner se voi non foste importanti per me. Io.. vi voglio un gran bene, ve ne ho sempre voluto. Siete la mia famiglia. Sarei disposta a morire, pur di salvarvi, lo sai. Non dire che non siete abbastanza, lo siete. Ma...» non riuscì a trattenere un singhiozzo. «Mi manca. Mi manca spaventosamente, Jean. Non riesco più a sopportarlo» e la voce gli morì in gola, stridula.
Jean la guardò piangere, nascosta tra le sue mani, in silenzio. Sentì velocemente la rabbia scemare, riuscendo a percepire su di sé il dolore che lei stava portando dentro. Quelle parole erano state la cosa più banale e sincera che avesse mai sentito. Non era questione di possedere qualcosa, non c'entrava niente l'avere o non avere un luogo a cui appartenere. Lei aveva solo bisogno di averlo accanto. E non c'erano perché, non c'era alcuna ragione logica dietro, non esistevano motivazioni. Era insensato. E proprio per questo sincero e immenso. Era mero sentimento, senza alcuna spiegazione, che veniva dal profondo del cuore e non da ricordi, pensieri, ragioni o spiegazioni. Lei semplicemente ne sentiva la mancanza.
Sospirò, arrendevole.
E restò ad ascoltare il rumore fuori dalla porta che indicava una battaglia che forse si stava ormai concludendo. I ruggiti sembravano cessati, ma non gli sparì, e riuscì a sentire il rumore del dirigibile tornare verso il porto.
«Se ne stanno andando» commentò. «Dobbiamo trovare il modo di raggiungerli, adesso» e tentò di alzarsi, sostenendosi la spalla ferita. «O... potresti tornare alla piazza e andare da lui. Sempre se è ancora vivo» ma non ci fu alcun rancore nelle sue parole, solo comprensione. E arrendevolezza. «Il capitano Levi ha ragione, nessuno può sapere cosa sia giusto o sbagliato. L'importante è non rimpiangerlo dopo e io ho promesso che mi sarei fidato di te, anche quando non sarei stato capace di comprenderti. Prendi pure la scelta che ritieni più giusta, io sarò comunque sempre pronto a sostenerti... o a raccogliere i pezzi, se dovessi farti ancora del male» si avvicinò alla porta, pronto a ributtarsi in strada. «Tris, scusa se ti ho urlato contro, prima» le rivolse uno sguardo compassionevole e si affacciò in strada. Come sospettava, il dirigibile stava tornando indietro e gli spari ora si concentravano nella sua direzione. Era un gran casino, raggiungerlo sarebbe stato difficile, con quella spalla ferita sarebbe stato ancora peggio. Ma non poteva fare altro che tentare. E uscì in strada, pronto a volare e cercare di tentare il possibile. Ma Beatris comparve al suo fianco e si infilò sotto al suo braccio sano, sorreggendolo. «Con quella spalla ferita non riusciresti a fare nemmeno dieci metri» gli disse con il volto ripulito alla bell'e meglio. «Tieniti!» gli disse e fece scattare il proprio meccanismo. Sorresse Jean con una mano e con l'altra cercò di sparare, per arrivare il più lontano possibile. Si ritrovarono di nuovo in mezzo al fuoco, ma furono fortunati che la maggior parte erano concentrati al dirigibile e non a loro. Alcuni loro compagni si lasciarono penzolare dal dirigibile e spararono a loro volta, cercando di coprirli, mentre disperati tentavano di raggiungerli.
«Di qua, presto!» gridò uno di loro. E finalmente Beatris riuscì ad aggrapparsi al dirigibile stesso, volando tra gli spari provenienti sia dai loro compagni, che dai soldati alle loro spalle. Connie si affacciò dal portone spalancato e si allungò verso il basso, porgendo loro una mano.
«Prendilo!» disse Beatris, cercando di spingere Jean verso Connie. Un proiettile arrivò a colpire il ferro al suo fianco, ma lei si limitò a sobbalzare, spaventata, e infine Jean salì a bordo. Si diede una spinta e riuscì a risalire anche lei. Jean venne fatto sedere contro una cassa e corsero subito a prendere il kit del pronto soccorso, per aiutarlo. Beatris gli si accasciò a fianco, ormai stremata e finalmente libera di rilassarsi. Quell'ultima pazzia le era costata una gran fatica.
«Sei veramente pesante» disse a Jean, ansimando, madida di sudore.
«Alla fine hai scelto noi, allora» le disse Jean, ignorando la sua battuta. Beatris gli lanciò uno sguardo, sondando la sua espressione. Non sembrava né felice, né rancorosa. Era solo una constatazione, che forse in parte gli dava un po' di sollievo.
«Ho aspettato quattro anni... posso aspettare ancora» rispose. Non era qualcosa che la rallegrava, ma era palese nel suo sguardo che ciò che aveva appena fatto era qualcosa di cui non si pentiva. Se fosse tornata alla piazza, Jean non sarebbe riuscito a raggiungere il dirigibile da solo. Lo avrebbe condannato a morte, solo per accontentare se stessa. E ancora una volta il suo spirito di sacrificio aveva avuto la meglio. Per quanto le facesse male sapere che stava ancora una volta allontanandosi da Reiner, quella era una scelta di cui mai si sarebbe pentita.
«Ti auguro non così tanto. Sono sincero» sospirò Jean, rilassandosi contro la cassa. «Non comprendo i tuoi sentimenti, è vero, ma sono stufo di vederti soffrire. Se tornare da Reiner è l'unica cosa in grado di darti un po' di sollievo, allora ti auguro di riuscire a farlo il prima possibile. Non provo risentimento, sarò sempre dalla tua parte, lo sai».
«Jean» Beatris gli lanciò uno sguardo severo, quasi interrompendolo. «Non seguirmi più».
Non avrebbe accettato di vederlo di nuovo in pericolo a causa sua. Non avrebbe accettato di vedere più nessuno in pericolo a causa sua. E quel discorso, per quanto dolce, sembrava sottintendere che avrebbe potuto persino aiutarla in questo. Non doveva farlo, non doveva più seguirla, non doveva più essere dalla sua parte se questo rischiava di metterlo in pericolo. Non doveva più tornare indietro per raccogliere i suoi pezzi, da quel momento in poi. Ma Jean si lasciò sfuggire un sorriso divertito, come se non gli importasse. «Tu non fare niente di stupido».
Non l'avrebbe mai fatto. Ed era spaventosamente dolce.
«Io farò sempre così stupide!» gli rispose, abbozzando un sorriso. Era determinata, sicuramente avrebbe tentato di nuovo di raggiungere Reiner e non avrebbe più voluto mettere in pericolo nessuno. Ma le parole di Jean, nonostante tutto, la rendevano egoisticamente felice.
Jean sghignazzò, divertito. «E allora siamo in un bel guaio» disse.
Beatris si preparò a rispondergli, di nuovo, ma Connie tornò con il necessario per medicarlo e in quel momento sul dirigibile si scatenò un coro di euforia assordante.
«È una grossa vittoria!»
«La prima battaglia dell'impero eldiano è stato un gran successo!»
«E ora gioite!»
E gridarono, gridarono così forte da assordare persino i loro pensieri.
«Questa... davvero la considerano una vittoria?» mormorò Beatris, avvilita.
«Quante persone sono morte laggiù, oggi?» sospirò Jean.
«E quante altre battaglie ci attendono, da adesso in poi?» si unì Sasha, raggiungendoli.
«Beh, almeno siamo sopravvissuti» disse Connie, lanciandosi su Jean e Sasha e stringendo entrambi. «Mi dispiace per tutti, ma a voi tengo di più».
E Beatris li guardò, mentre sia Jean che Sasha arrossirono appena. Era proprio un bel quadretto, facevano una gran tenerezza. Sorrise, nella loro direzione, addolcita. Jean, ancora stretto nell'abbraccio di Connie, allungò una mano nella sua direzione e le sorrise. Invitandola ad afferrarla. L'istinto la portò a farlo, ma poi esitò, intimorita. Proprio lei, con tutto quello che aveva fatto, meritava di entrare a far parte di quel piccolo angolo felice? Cosa c'entrava? Lei era quella che li aveva sempre traditi... e delusi. Ma Connie vide il tentativo di Jean e fu il primo ad allungarsi, prendendo Beatris per il collo. La trascinò contro di loro, schiacciandola contro Jean, e un istante dopo Beatris sentì anche le braccia di Sasha avvolgersi intorno alle sua spalle. Stretta, incapace quasi di muoversi, intrappolata. Tutti e tre l'avevano non solo accettata, ma trascinata in mezzo con forza. Per quanto non si sentisse degna di tutto quello, non poté far a meno di sentire il calore nel petto scaldarla fino alle guance, facendola arrossire. E si ammorbidì in quell'abbraccio per tutta la sua durata.
Quando si alzarono in piedi, il resto delle reclute del corpo di ricerca continuava a fare un gran casino, in pieno festeggiamento nonostante ancora non avessero lasciato il territorio nemico.
«Ho sentito qualcosa...» mormorò improvvisamente Sasha, cercando di sporgere l'orecchio verso il lato del dirigibile.
«Mh?» mormorò Beatris. «Io non sento niente se non il casino che fanno loro» indicò le reclute davanti a sé.
«Ehy! Fate silenzio!» ruggì Jean, cercando di placarli.
«Non sono ancora risaliti tutti... dov'è Lobov?» chiese Connie, preoccupato.
«Dovrebbe rientrare a momenti» rispose Jean, cominciando a voltarsi verso il portellone, per controllare. Ma ormai fu lo stesso troppo tardi. Il rumore di uno sparo. Il coro di esultanza si zittì improvvisamente. E Sasha, in mezzo a loro, cadde a terra con una ferita d'arma da fuoco alla pancia.
Gabi, inginocchiata di fronte a loro, aveva in mano il fucile ancora fumante.
«Sasha!» gridò Connie, lanciandosi su di lei. Gabi cambiò subito obiettivo, senza arrendersi puntò il fucile a Jean che rispose con altrettanta velocità. Più per rabbia che per autodifesa, alzò la propria pistola, pronto a sparare. Entrambi fecero fuoco nello stesso momento, ma Beatris si lanciò su Jean, rompendo così il loro contatto.
Riuscì a spingerlo via in tempo per non colpire Gabi e non farsi colpire a sua volta, anche se il proiettile le sfiorò una spalla, graffiandola. Davanti a loro, Gabi a sua volta venne lanciata a terra da Falco, salito anche lui in quel momento, per salvarla e impedirle forse di uccidere qualcun altro. I ragazzini colpirono il fianco del dirigibile, nella loro caduta, e si dovettero prendere qualche secondo prima di riprendersi. Quando riaprirono gli occhi si trovarono improvvisamente accerchiati dal resto delle reclute.
«Sasha!» gridò Jean, ignorando i ragazzini e concentrandosi sull'amica.
«Ehy! Sasha!» si unì Beatris, inginocchiandosi al suo fianco. Aveva gli occhi vitrei, rivoltati all'indietro, e un'espressione moribonda. Ma respirava ancora.
«Quanta confusione...» gracchiò questa con un filo di voce. «La cena è già pronta?»
Beatris si voltò verso il gruppo di reclute e gridò in preda al panico: «Portate subito qualcosa per tamponare la ferita!» ma vide che erano quasi tutti impegnati a pestare i due ragazzini, senza prestar loro attenzione. Pugni, calci, urla, insulti e persino sputi. Non si risparmiavano, nessuno di loro. Scattò nella loro direzione e spintonò via il primo che si trovò davanti, lanciandolo a terra.
«Ma che cazzo state facendo?!» gridò e questo li placò dal continuare, ma non li lasciarono comunque andare. «C'è una compagna ferita e vi preoccupate solo di scaricare la rabbia su di loro?» gridò ancora.
«Legali» disse Floch, l'unico soldato che era tornato intero da Shiganshina insieme a loro quattro anni addietro. I suoi compagni obbedirono e cominciarono subito a legare i ragazzini, mentre Floch si avvicinava a Beatris. «Questi due si sono introdotti sul dirigibile usando il sistema di manovra di Lobov, dopo che l'hanno ucciso. Ho intenzione di buttarli fuori bordo, immagino che non ci siano obiezioni» le disse, minaccioso, guardandola dall'alto al basso. Beatris non gli era mai stata simpatica già dai tempi di Shiganshina, perché era una di quelle a sostegno della salvezza di Armin invece che di Erwin. Ma dopo aver saputo tutta la sua storia, l'antipatia era diventata serrante. Non avevano mai avuto modo di confrontarsi, non si conoscevano se non di vista, ma era abbastanza per disprezzarsi a vicenda. L'unico motivo che spingeva Floch a sforzarsi per andare d'accordo con lei era perché almeno nell'ultimo periodo era stata utile a Eren ed era stata fondamentale per quel primo attacco a Marley.
«Mi prendi in giro?» ringhiò Beatris, sostenendo lo sguardo. «Certo che ne ho, e tante».
«Sono nemici marleyani, hai visto la loro fascia al braccio? Oh...» e sogghignando malignamente puntò lo sguardo al braccio sinistro di Beatris, dove legata c'era la fascia rossa di Reiner. «Dimenticavo che ce l'hai anche tu».
«E con questo?» chiese Beatris, tendendo tutti i muscoli.
«La portavi anche in prigione, dopo essere stata arrestata per tradimento e sostegno del nemico. Te l'ho vista io stesso. Forse dovremmo buttare fuori bordo anche te».
«Floch, ma che cazzo stai dicendo adesso?» ringhiò Jean.
«Siamo in guerra! Bambini, donne, o soldati non fa alcuna differenza!» disse Floch, voltandosi verso Jean e indicando i due ragazzini inginocchiati al loro fianco. «Sono tutti nemici e vanno eliminati!»
Floch si accorse del pugno che gli arrivò in faccia solo quando ne sentì il dolore, durante l'impatto. Con lo sguardo rivolto a Jean, non aveva notato la reazione di Beatris che comunque fu decisamente troppo rapida anche per il resto delle reclute.
Si portò una mano alla guancia colpita e sentì poco dopo il sapore del sangue in bocca. Alzò gli occhi rancorosi e spaventati allo stesso tempo su Beatris e la sua sensazione di inquietudine aumentò quando la vide ferma, per niente turbata. Fredda come il ghiaccio d'inverno.
«Fai i suoi stessi discorsi. Mi dai il voltastomaco» gli disse, guardandolo dall'alto al basso. Quelli erano i discorsi di Eren, la sua ossessione per il nemico, la sua insensibilità di fronte alla morte. E cominciava a non sopportarlo più, perché era stata a causa sua se era successo tutto quello. Aveva visto con i propri occhi una ragazzina schiacciata da un masso, decine di persone schiacciate dal corpo di Eren in caduta, un ragazzino venir calpestato a morte. Aveva visto troppe cose orribili per restare indifferente di fronte a chi non riusciva a comprendere quale fosse il vero significato di quella follia e si ostinava a reagire con rabbia e violenza contro chiunque.
«Tu sei una loro simpatizzante!» le gridò contro Floch. «Lo sei sempre stata! Se non è così, togliti quella fascia dal braccio e gettala via di fronte a noi! Dimostraci la tua fedeltà».
«Io non devo dimostrare proprio un bel niente, soprattutto a uno come te» e si voltò, avvicinandosi a Gabi e Falco, troppo terrorizzati per dire qualsiasi cosa.
«Sei una traditrice! Ci pianterai un coltello nella schiena prima o poi, lo sappiamo tutti!» le urlò dietro Floch, sollevandosi a sedere.
«Floch!» ringhiò Jean. «Piantala! Beatris mi ha salvato la vita e ha combattuto di fianco a noi per riportare Eren indietro, ha rischiato di morire come tutti, combattendo su quel campo di battaglia. Ha sparato lei stessa a un sacco di gente, di che altre dimostrazioni hai bisogno? Sta solo cercando di farti capire che non serve a un bel niente uccidere due ragazzini!»
«Dateli a me» disse intanto Beatris, alle due reclute che tenevano fermi a terra Gabi e Falco. «Li porto dal comandante».
«Hanno sparato a uno dei nostri compagni!» ringhiò Floch, indicando Sasha a terra che intanto veniva medicata da un disperato Connie.
«Anche tu hai sparato sicuramente a qualcuno dei loro» gli disse Beatris, prendendo Gabi e Falco per le spalle, così da condurli alla sala di comando. «Perciò posso dire a questi due che possono buttarti giù dal dirigibile, dunque? Sarebbe la prima volta che una morte mi darebbe così tanta soddisfazione, potrei anche decidere di restare a guardare».
Una velata minaccia, a cui generalmente Floch non avrebbe badato, se non avesse saputo il passato sanguinolento che quella ragazza collezionava. Aveva ucciso compagni, aveva aiutato il nemico a eliminare prove sull'esistenza di un mondo esterno, e li aveva protetti quando aveva saputo la loro identità, accettando che avessero sterminato centinaia di persone. Era una criminale, un'assassina, e nessuno sembrava intenzionato a recriminarla come invece meritava. Avrebbe risposto, se non avesse sentito una goccia di sudore freddo corrergli lungo la schiena. Da quella ragazza poteva aspettarsi di tutto, anche un coltello piantato tra le spalle quando meno se lo sarebbe aspettato. Lei ne era capace.
Restò in silenzio, a lasciarsi travolgere dall'irritazione, e la guardò mentre accompagnava i due alla sala di comando del dirigibile.
«Tu...» Gabi alzò lo sguardo su Beatris. «Tu sei un marleyano! Non è così?! Perché ti fai sottomettere da questi demoni? Possiamo ancora vincere! Possiamo ucciderli tutti! Sei la moglie di Zeke! Porteremo avanti la sua volontà, insieme!» urlò.
«No, Gabi» le rispose Beatris pacatamente. «Ti sbagli, io vengo dall'isola. Ho usato questa fascia per infiltrarmi tra di voi».
«Ma...» balbettò Gabi, sentendosi sempre più confusa e disperata. Cosa stava succedendo? Perché quella donna li aveva salvati, se non era marleyana? Come aveva fatto a ingannare anche Zeke? Perché portava ancora quella fascia al braccio? «Ma... Zeke parlava sempre di te... lui non poteva non saperlo» ma l'ultima parola gli morì in gola e fu solo un flebile sussurro, quando infine Beatris aprì la porta dell'anticamera della sala di comando. Dentro c'erano due uomini e una donna dell'isola in divisa, ma in fondo alla stanza vide anche Eren Jaeger e due persone che conosceva fin troppo bene: Zeke, con braccia e gambe mutilate intento a rimarginarsi, e in piedi accanto a lui Yelena, uno dei suoi uomini più fidati. E sembravano spaventosamente tranquilli, mescolati tra di loro, come se non fossero nemici.
«È davvero piacevole vederti in quelle condizioni» disse Beatris, puntando gli occhi a Zeke. «Anche se personalmente avrei preferito che ti tagliassero via anche la testa».
Zeke ignorò la provocazione di Beatris e puntò gli occhi sorpreso ai due ragazzini, in piedi davanti a lei. «Gabi, Falco, che cosa ci fate qui?»
«Signore... lei era vivo?» balbettò Falco. Aveva visto chiaramente la nuca del suo titano saltare in aria, come faceva a essere ancora vivo dopo tutto quello.
«Come ha fatto a farsi catturare così da questi demoni?!» gridò Gabi, terrorizzata.
«Chi sono questi marmocchi?» chiese Levi, voltandosi a guardarli.
«Due marleyani» rispose Beatris. «Si sono infiltrati sul dirigibile usando l'attrezzatura di Lobov. Hanno sparato a Sasha» comunicò incupendosi tanto da socchiudere gli occhi. Mikasa e Armin spalancarono gli occhi alla notizia, colti dal terrore, e corsero verso la porta, uscendo dalla sala per andare a controllare le condizioni dell'amica.
«È... è così allora che ti hanno convinta!» gridò ancora Gabi, tornando a guardare Beatris. «Minacciano Zeke!»
«Gabi, smettila!» ringhiò, esasperata. Gabi trovava così inconcepibile che un demone dell'isola avesse provato a salvarli, così inconcepibile che Zeke fosse coinvolto in tutto quello e che, nonostante non ci fosse più bisogno di infiltrarsi, ancora non si liberava da quella fascia. «Il mio nome è Beatris, non Adele, e non sono la moglie di quel bastardo. Era tutta una copertura, io vengo dall'isola, ci sono nata lì! Zeke mi ha aiutata a infiltrarmi, lui era d'accordo con noi».
«No...» si corrucciò Gabi, quasi alle lacrime.
Falco, al suo fianco, era rimasto in silenzio per tutto quel tempo. Ma ora rivolgeva a Beatris gli occhi spalancati, allibito. Lei era quella Beatris di cui avevano parlato in quel seminterrato, era veramente quella che dicevano. Eren Jaeger non aveva mentito.
«Perché?» continuò Gabi, disperata. «Perché ci ha traditi, capitano Zeke?!»
«Perché?» mormorò Falco, sotto le urla di Gabi, guardando Beatris. «Perché mi ha ingannato?»
Beatris gli rivolse uno sguardo rammaricato, pieno di dolore, ma né lei, né Zeke risposero alle due domande. La porta davanti a loro, che conduceva alla sala di comando, si aprì e Hanji uscì comunicando alle sue spalle: «Occupati del resto, Onyankopon!»
«Ricevuto!» sentirono dire da qualcuno all'interno.
Hanji puntò gli occhi a Zeke, subito al suo fianco, e chiese: «Allora? Sei soddisfatto della riuscita del tuo piano?»
«Per la maggior parte» rispose Zeke. «Ma ci sono stati dei piccoli errori di calcolo».
E solo allora Hanji, sondando la stanza, vide i due ragazzini accompagnati da Beatris. «Eh?» mormorò, guardandoli confusa. «Chi sono questi due?»
«Gli errori di calcolo» rispose Zeke.
«Yelena» prese parola Beatris, alzando gli occhi sulla donna al fianco di Zeke. «Lì fuori è stato un gran casino. Mi pareva che avessimo detto che avresti dovuto bloccare il Mascella e il gigante Carro, perché non l'hai fatto?»
«Mi dispiace. Li avevo intrappolati in una botola, una prigione sotterranea, ma devono essere riusciti a fuggire. È stata colpa mia» confessò, mortificata.
«E questo ha costretto il gigante Bestia a colpirci molto più duramente del previsto» commentò Levi, lanciando uno sguardo a Zeke. «Per com'è andata, direi che è stato un attacco improvvisato davvero schifoso, tu che ne dici, pizzetto?»
«Non fissarmi in quel modo, Levi, o mi farai pisciare addosso e dopo ti toccherà pulire» rispose Zeke, provocatorio. «Ad ogni modo, direi che sei un ottimo attore. Soprattutto considerando che in quel momento avresti voluto uccidermi sul serio...»
«Sono il tipo di persona che si lascia il meglio per il gran finale» rispose Levi, altrettanto provocatorio. L'astio tra quei due era palpabile, si poteva affettare con un coltello tanto era denso.
«Siamo riusciti a uccidere i capi dell'esercito marleyano» prese parola, Eren. «E abbiamo distrutto la flotta al porto. Questo ci ha permesso di guadagnare tempo».
«E dopo?!» rispose Hanji, fulminando Eren. «Il mondo ci piomberà addosso con un attacco combinato! Ogni volta che sei stato catturato, Eren, abbiamo rischiato le nostre vite per cercare di riportarti indietro, senza riuscire a contare il numero di morti che ci lasciavamo sempre alle spalle. Eppure, nonostante questo, hai portato avanti il tuo piano iniziale cocciutamente, muovendoti da solo, e costringendoci a intervenire. Bene, sarai contento. Hai ottenuto quello che volevi. Tu hai riposto la tua fiducia in noi, oggi, ma sappi che hai appena perso la nostra».
«Eppure adesso avete sia il gigante Fondatore che quello di sangue reale» si intromise, Zeke. «I vostri sacrifici hanno dato i loro frutti. Adesso Eldia sarà libera».
Ma era veramente quello che volevano? Uccidere per poter essere liberi, coinvolgendo centinaia di innocenti, centinaia di consanguinei. Era davvero da considerarsi una vittoria?
Lo fissarono in silenzio, senza riuscire a trovare le parole adatte per esprimere il loro disappunto, e fu quello il momento in cui Connie entrò nella stanza. Con le lacrime agli occhi. «Sasha...» balbettò. «Non ce l'ha fatta».
Beatris si voltò verso la porta e puntò gli occhi sconvolti alle sue spalle, in direzione di Sasha. Stesa a terra, immobile, con Armin e Mikasa che piangevano disperati sopra di lei. Neanche dieci minuti prima si erano abbracciati tutti insieme, felici di essere vivi, e ora...
Trattenne un singhiozzo, ma le spalle le si scossero lo stesso, e fu costretta a serrare per un attimo gli occhi per evitare che una lacrima le cadesse sul viso. Si irrigidì e la presa sulle spalle di Gabi e Falco si fece più intensa.
«Connie» disse Eren, con una voce straordinariamente ferma e pacata. «Quali sono state le ultime parole di Sasha?»
«Lei... ha detto... "carne"».
Faceva ancora più male. Quella era Sasha, ossessionata dal cibo, e lo era stato anche in punto di morte. Non era mai stata tragica, non era mai stata seria nemmeno una volta, era così pura, così genuina. E se n'era andata con quel suo spirito così spontaneo che spesso metteva una grande allegria nei suoi compagni. Lei e Beatris... erano state punite insieme, il primo giorno di addestramento. Avevano rubato la carne insieme dalle scorte dei capitani, qualche sera dopo.
Carne...
Non riuscì più a reggere e una lacrima le ripulì una guancia, intrattenibile.
Ma in quel silenzio colmo di dolore, un suono lo ruppe inquietantemente. Fu come il rumore di unghie che rigavano una lavagna, fece venire la pelle d'oca esattamente allo stesso modo. Eren si mise a ridere. Soffusamente, ma in quel silenzio rimbombò come una tempesta sulle loro teste. Sasha era morta... e lui rideva.
Beatris gli si avvicinò, lasciando andare momentaneamente Gabi e Falco, e lo guardò allucinata. Sasha era morta, persone erano morte, uccise a sangue freddo. Il terrore di Shiganshina era tornato a galla, lui l'aveva fatto emergere come un mostro da un oceano d'orrore, e se la rideva. Fu esattamente quello il momento in cui Beatris capì che ormai non c'era alcuna speranza. Eren se n'era andato. Non sapeva quando, non sapeva perché, ma ormai lui non c'era più. Morto, chissà quanto tempo prima. E la persona che aveva preso il suo posto era la cosa più orribile, terrificante e nauseante che avesse mai visto in vita sua. La mano volò verso il viso di Eren con rapidità e violenza, e si schiantò contro la sua guancia in un sonoro schiaffo. Eren accusò il colpo, senza scomporsi, e restò a guardare un punto nel vuoto con ancora il sorriso sulle labbra. Beatris lo afferrò per il colletto della camicia e lo sbatté alla parete dietro di lui, si avvicinò al suo volto e gridò, ormai disperata: «Tutto questo è colpa tua!»
Hanji reagì immediatamente, prese Beatris per le spalle e la trascinò via, allontanandola da Eren, che ancora non sembrava per niente turbato dal trattamento.
«Beatris, adesso calmati» cercò di dirle Hanji e lanciò un'occhiataccia a Eren. «Lascialo perdere, ormai non c'è più niente da fare».
E aveva ragione. Ormai non c'era più niente da fare. Eren non sarebbe mai più tornato indietro...
Beatris si sciolse dalla presa di Hanji e tornò ad avvicinarsi a Gabi e Falco. Li prese per le spalle e li accompagnò verso la parete opposta. «State qui» disse e infine si appoggiò con le spalle al muro, per vegliare su di loro, ma soprattutto per continuare a fissare Eren con tutto l'odio e il dolore che sentiva avere dentro. E restò lì, in silenzio, per tutta la durata del viaggio di ritorno.
Nda.
Hi!!! Eccomi qui, questa volta puntuale :3
Niente da fare, non c'è ancora modo per Beatris di riuscire a raggiungere Reiner, sembra che tutto il mondo glielo stia impedendo nonostante i suoi sforzi. Era a un passo da lui, letteralmente a un passo, e ora, sconfitta, torna di nuovo a Paradis dopo avergli distrutto casa e ucciso chissà quanti dei suoi compagni. Come se non fosse già abbastanza tragico, sente di aver perso completamente Eren. Non è più lui, non c'è niente da fare, e ne soffre enormemente. Come da copione, purtroppo anche Sasha muore e lei ne è testimone, non ha potuto fare niente per salvarla. Subisce lo sguardo accusatorio e disperato di Falco, mentre le chiede perché l'abbia ingannato, quando lei in realtà non aveva nessuna intenzione di farlo, lei si era realmente affezionata a quel ragazzino e a quel posto. Tutto va a rotoli... ma per fortuna c'è ancora Jean al suo fianco, che nonostante abbia per un istante perso le staffe (e ha anche le sue buone ragioni, sono passati anni e ancora si ritrova a dover rincorrere Beatris che cerca disperatamente di tornare da Reiner pur consapevole di star rischiando la vita), ancora una volta promette la sua amicizia. Nonostante provi rancore per Reiner, soprattutto perché è la causa del dolore e della follia di Beatris, le augura di raggiungerlo presto. Le augura ogni bene e continua a ribadire che no, non ha intenzione di lasciarla sola, nemmeno se è lei stessa ad ordinarglielo. Nemmeno (e forse soprattutto) se farà altre delle sue stupidaggini.
Aaaaaaa Jean cuoricino!!! <3 *-*
Non ho una preferenza per lui... no, affatto xD
Che dire? Qui le cose sembrano andare sempre peggio, Beatris non è ancora destinata a trovare la sua pace (e il peggio non è ancora arrivato >_> sssssshhhh non ho detto nulla!).
Avete qualche lacrima di scorta? Perché la canzone extra che sto per condividervi a me la lacrimuccia me l'ha fatta scendere, eccome se lo ha fatto...
È il messaggio, addolorato, di Jean per Beatris. Testimone della sua vita ormai distrutta, vede che niente va come dovrebbe, vede che è decisamente stanca, al limite, che (suo malgrado) è ancora ancorata al passato, che ancora rivolge amore verso le persone sbagliate e lo vede lui stesso che niente sembra andare per il verso giusto... ma nonostante questo, nonostante tutto, ci sarà sempre una luce che potrà guidarla a casa, un posto che l'accoglierà, e lui sarà lì... pronto "ad aggiustare" i suoi pezzi rotti. Perché gliel'ha promesso... le ha promesso che sarebbe diventato un uomo migliore e che non avrebbe più commesso lo stesso errore del passato di dubitare di lei, ma le sarebbe sempre stato a fianco, anche quando non sarebbe stato in grado di comprenderla.
And i will try... to fix you.
Enjoy! E a presto :)
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I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no Kyojin
FanficIl boato che sfondava le sue finestre, il tremore della terra che la faceva cadere dalle scale, le urla di sua madre mentre correva a prenderla. Per le strade era il caos, riuscire a correre in mezzo alla folla senza separarsi era quasi impossibile...