Il cortile era più vivo che mai. Erano passati mesi dal loro ingresso in accademia e ormai le loro conoscenze in fatto di combattimento corpo a corpo cominciavano a prendere forma, non serviva altro che esercitazione, esercitazione e ancora esercitazione. Così, nel calendario accademico, era previsto che almeno tre pomeriggi a settimana li passassero nell'esercitare l'arte del combattimento corpo a corpo. A mani nude, con armi, erano step sempre successivi. Ciò che contava era la prestanza fisica e lo sviluppo della tecnica, lottando a coppia tra di loro. Ognuno stava sviluppando una propria capacità, sfruttando le proprie abilità innate. Sasha era molto agile e con ottimi riflessi, Annie era più portata per le prese e l'uso dei calci, Reiner era mera forza fisica, Jean sfruttava sempre la situazione a suo vantaggio, Mikasa... Mikasa decimava tutti senza esclusione di colpi. Sembrava non avere alcun punto debole, era strepitosa e a tratti terrificante. Connie non era ancora granché bravo, si affidava troppo nel rendere spettacolari le sue mosse e finiva con l'essere poco funzionale. E infine c'erano Armin e Beatris... che spesso sgattaiolavano da un compagno a un altro, pregando di non essere intercettati e non venir coinvolti.
Quel pomeriggio erano riusciti con una scusa a fermarsi in un angolo, uno di fianco all'altro, seduti a terra, guardavano passivamente il resto dei loro compagni schivare colpi e tentare di stendere l'altro.
«Oggi fa particolarmente caldo» mormorò Beatris, stretta nelle sue ginocchia.
«Già... forse è per questo che non siamo molto in forma».
«Già, dev'essere colpa del caldo».
Ed entrambi, dopo infiniti secondi di riflessione, sospirarono affranti. Erano veramente pessimi a inventare scuse, persino a loro stessi. La verità era solo che, chiunque provassero a sfidare, finivano sempre con il venir stesi e ogni volta era un livido in più da aggiungere alla lista. Negati, assolutamente negati.
«Armin...» mormorò Beatris. «Secondo te riusciremo mai a diplomarci?»
«Chissà» sospirò Armin, immobile al suo fianco.
«Certo non riuscirai mai a farlo se resti lì a battere la fiacca» la voce di Reiner la costrinse ad alzare gli occhi. Lo guardò, mentre si avvicinava con un finto coltello di legno in mano, e d'improvviso cominciò a sudare freddo. Si contrasse, allungò le gambe davanti a sé, si strinse la spalla destra e lanciò un plateale urlo dolorante: «Il mio strappo muscolare oggi non mi da tregua!»
«Gli strappi muscolari vengono ai muscoli, non alle articolazioni!» la rimproverò Reiner, ormai di fronte a lei.
«Ci sono muscoli anche nella spalla, lo sai!» lo rimproverò Beatris, ma Reiner restò inflessibile. Fece volteggiare il coltello di legno per aria, lo afferrò dalla punta e porse il manico a lei. «Dai, non costringermi a usare la forza».
«Oggi non mi sento molto bene» mormorò lei, sperando di essere convincente.
«Sei terribile a inventare scuse, lo sai! Alzati».
E ormai arresa, sapendo che non avrebbe ottenuta alcuna compassione né comprensione, si alzò in piedi. Prese il coltello dalla parte del manico e si voltò verso Armin. Gli fece un cenno del capo: «Andiamo, Armin» disse arrendevole.
L'amico aveva già cominciato ad alzarsi quando Reiner disse: «Non questa volta! Siete alla pari, voi due, questo non vi porterà alcun miglioramento. Oggi si va con il livello avanzato».
«Eh?!» sussultò Beatris, vedendo Reiner già mettersi in posizione per riceverla.
«Non contro di te, spero!» disse lei, ma Reiner restò immobile nella sua posizione.
«Non farti aspettare troppo, o farò io la prima mossa».
«Reiner...» mormorò lei, afferrando il coltello con entrambe le mani. Stava visibilmente tremando. «Per favore, vacci piano, ok? Sei troppo forte per me...»
«Non voglio farti del male, Tris. Prometto non ti farò niente, se non deviare i tuoi colpi» e le fece cenno con la mano di procedere. Beatris tirò un lungo sospiro raccoglitore e infine impugnò l'arma decisa. Armin si alzò da terra, di fianco a loro, e come colto da un brutto presentimento si spostò cercando un altro luogo dove andare a rifugiarsi. Beatris, alle sue spalle, iniziò il suo assalto. Urlando per darsi carica, cercò di colpire Reiner in pieno ventre con la punta del coltello, ma fu troppo lenta e troppo fiacca. Reiner la schivò e la colpì dietro la schiena per farle perdere l'equilibrio e buttarla a terra.
Beatris lanciò un urlo dolorante, mentre inarcava la schiena e cadeva a terra.
«Avevi detto che non mi avresti fatto male!»
«Ci sono andato piano, cerca di sopportare. Sono doloretti minuscoli».
«Tu non ti rendi conto della forza che hai, invece» mormorò lei, irritata. «E comunque hai visto? È stato inutile».
«No, che non lo è stato. Intanto ti sei alzata da terra» le sorrise Reiner e le porse una mano, per aiutarsi a rialzarsi. Beatris, per quanto si sentisse offesa e tradita, accettò comunque l'aiuto dell'amico e si rimise in piedi.
«Quante altre botte dovrai darmi prima che io possa riuscire a combinare qualcosa di buono?»
«Quando smetterai di piangerti addosso e inizierai a fare sul serio».
«Ci ho provato Reiner, davvero» sospirò Beatris e si accasciò su se stessa. Si voltò e cercò con lo sguardo Mikasa, in mezzo alla mischia di combattenti. Come gli altri giorni, continuava a mietere vittime senza sosta e non sembrava nemmeno troppo affaticata.
«A lei viene praticamente naturale».
«Mikasa è un mostro fuori portata, non puoi certo paragonarti a lei».
Beatris spostò gli occhi ancora lungo il campo, fino a trovare Annie che in quel momento si allontanava dopo aver steso Eren.
«E lei? Anche lei sembra perfettamente a suo agio» mormorò.
«Sì, anche Annie fa venire abbastanza i brividi» e stranamente persino lui si ritrovò a tremare di fronte all'idea di doversi fronteggiare con Annie.
«Anche tu, e Jean, Bertholdt, persino Sasha e Connie. Io non sono cresciuta sulle strade, ho avuto una vita abbastanza facile prima della distruzione di Shiganshina... e dopo c'è sempre stata Mikasa ad aiutarmi. Non so fare niente» sospirò, abbattuta.
«Io so qual è il tuo problema, Tris» Reiner le si avvicinò e si appoggiò alla staccionata alle sue spalle, guardando il gruppo di persone che avevano davanti.
«E qual è?» chiese lei, curiosa, come se saperlo da lui avrebbe davvero risolto tutti i suoi problemi. Reiner ci rifletté qualche istante, poi improvvisamente si voltò verso di lei e fece per attaccarla con il coltello finto che ancora teneva in mano. Un attacco improvviso, inaspettato, che portarono Reiner a sovrastare totalmente Beatris. Ma lei restò immobile, paralizzata, rigida come un tronco d'albero. Si limitò a lasciar uscire un lamento dalla gola e spalancare gli occhi, terrorizzata, ma non fece un solo movimento. Reiner non la colpì veramente, ma si fermò un istante prima di farle del male e rimase qualche secondo a guardarla, in silenzio. Infine, la colpì delicatamente in fronte con la punta del coltello di legno.
«È la paura» le disse, allontanandosi di un passo. «Ti paralizzi di fronte alle cose che ti spaventano. Lo stai facendo anche adesso. Quando hai cominciato l'addestramento, mesi fa, eri carica di aspettative e piena di energie. Hai sorriso a Shadis, il primo giorno, ricordi?»
«La cosa non gli è piaciuta molto» sospirò lei.
«Sì, ma hai continuato a farlo. Tutte le mattine. Non hai mai smesso di correre in giro, entusiasta, da un esercizio a un altro».
«Che fallivo miseramente» sospirò ancora.
«E la sera rientravi nel dormitorio con la coda tra le gambe, ma ho sentito Ymir brontolare che non riesce mai a dormire perché non fai che parlare con Mikasa e Christa fino a notte fonda. O almeno, questo succedeva fino a poco tempo. Io stesso faticavo a starti dietro, mi facevi arrivare a sera distrutto».
«Non dare la colpa a me per i tuoi esercizi, cerchi sempre di fare di più di ciò che ti chiedono gli istruttori, non è colpa mia se ti stanchi» si imbronciò.
«Non parlo della stanchezza fisica, lo sai» e le diede un altro colpetto con la punta del coltello alla fronte, anche se molto leggero, tanto da essere quasi un tocco affettuoso. Sospirò, platealmente. «Ho perso il conto delle volte che sono finito nei guai a causa tua».
«Io... non c'entro» mormorò lei, rossa in volto. Sapeva di essere colpevole, aveva perso il conto delle volte che aveva avuto qualche folle idea e Reiner era stato costretto a correre in suo soccorso. Ma aveva sempre chiesto scusa, non bastava quello ad espiare le sue colpe?
Reiner sogghignò. «Vogliamo parlare dell'alveare?»
Beatris sussultò e, se possibile, arrossì ancora di più. «Pensavo fosse disabitato! Sasha sarebbe impazzita di felicità se le avessi portato quel miele, volevo solo fare qualcosa di carino per lei».
«Durante un'esercitazione col movimento tridimensionale?»
«Quando avrei avuto occasione di tornarci, altrimenti?»
«Sei stata disposta a lasciar perdere il tuo addestramento per fare un regalo a un'amica?»
«Avrei... recuperato dopo» mormorò.
«Meno male sono riuscito a vederti prima che facessi follie, altrimenti quelle api ti avrebbero massacrata».
«E invece hanno massacrato te» si abbatté lei, prima di aggiungere, speranzosa: «Però poi sono venuta ad aiutarti a curare le punture, per scusarmi».
«Santo cielo, Tris» sospirò Reiner, ma non riuscì a trattenersi dal sorridere divertito da quel ricordo. «Sei entrata nel dormitorio maschile dopo il suono della campana e non hai nemmeno bussato! Jean era praticamente in mutande e hai rischiato di prenderti un'altra strigliata da Shadis, se solo ti avesse scoperto».
«Non mi sono accorta di Jean» confessò lei candidamente e ancora Reiner sospirò, rassegnato ma divertito. «Lo so, eri troppo concentrata a togliermi i pungiglioni dalla schiena».
«Volevo scusarmi» mormorò, sempre più rattristata sentendosi spiattellare davanti tutte quelle colpe. Lei lo faceva sempre con innocenza, le balenava in mente qualcosa, lo faceva e puntualmente finiva nei guai o metteva nei guai gli altri. Anche prima dell'accademia era stato così, Mikasa non aveva mai fatto altro che rincorrerla ed evitare che si facesse del male. Ora la responsabilità della sua salute se l'era indirettamente divisa con Reiner, che chissà per quale motivo l'aveva presa sotto la sua ala, e Mikasa poteva concentrarsi un po' più su se stessa e su Eren. Ma Reiner non era bravo come Mikasa ad evitare i guai, ne veniva anzi trascinato a fondo insieme a Beatris, e puntualmente se ne prendeva la responsabilità. Si sentiva come una bambina che aveva bisogno della balia, era così triste... eppure non aveva voluto mai altro, nella vita, che imparare ad essere migliore. «Sei stato persino costretto a dover chiedere tu scusa a Shadis per entrambi, quando ci ha sgridati, e sei finito in punizione insieme a me... un'altra volta».
«Perché non fai che paralizzarti. Di fronte a Shadis smetti persino di respirare, non sai mai cosa inventarti. Faccio solo quello che credo giusto».
Beatris sospirò e si appoggiò alla staccionata di fianco a lui. «Ti sei sempre fatto carico delle mie responsabilità, da quando siamo qui dentro, perché io non sono mai riuscita a farlo. Qualcun altro avrebbe pensato che sono davvero stupida».
«Ma io lo penso» disse repentino Reiner e Beatris sussultò, fulminandolo: «Cosa?! E perché sei mio amico, allora?!»
«Perché...» e qualcosa di strano e invisibile sembrò disegnarsi di fronte agli occhi di Reiner. Era come se avesse appena catturato un ricordo o un pensiero, come una farfalla, a mani nude, e non era intenzionato a lasciarlo andare tanto facilmente. C'era qualcosa di caldo, di felice, nel suo sguardo. Una malinconia avvolgente e infine decise di confessare quel crimine che da mesi aveva tenuto per sé.
«Perché ti ho sentita cantare» disse sorridendo dolcemente.
«Eh?» mormorò Beatris, arrossendo lievemente. Quando l'aveva sentita? Di cosa parlava?
«Alla cattedrale per gli sfollati, nel distretto di Trost, pochi giorni dopo l'abbattimento del Wall Maria» e Beatris spalancò gli occhi, prima di chiedere: «Tu eri lì?»
Reiner si ritrovò a sghignazzare, divertito. Lui se l'era ricordata molto bene, aveva ricordato persino il particolare del suo calzino trasformato a pupazzo, il nome di sua sorella, e il colore delle sue scarpe. Se l'era ricordata come fosse stata una fotografia, mentre lei, che l'aveva calpestato, neanche ricordava di averlo incrociato.
«Hai portato del pane ai tuoi amici, un pezzo anche a tua sorella, e tu non hai voluto mangiare. Poi hai cantato una canzone per la piccola Rose, sei riuscita a farla addormentare, e in mezzo a tutta quella disperazione e quel gelo sei riuscita a riscaldare più di un cuore».
«Rose...» mormorò Beatris, prima di corrucciarsi e tirare un pugno sul fianco di Reiner. «Che cazzo sei? Un cazzo di stalker? Maniaco psicopatico!» gli ruggì contro.
«Non ti ho stalkerata!» Sobbalzò Reiner, più per l'imbarazzo dell'accusa che per il dolore del colpo al fianco.
«Ricordi persino il nome di mia sorella! Dove l'hai sentito? Eh?!» e gli tirò un altro cazzotto, questa volta abbastanza potente da fargli persino male. «Ti ho sentito che la chiamavi, hai una voce bella squillante! Credimi, è stata una bella sorpresa anche per me quando ti ho rivista qui qualche mese fa».
«Perché non mi hai detto subito che mi conoscevi? Adesso mi sento stupida!»
«Mai quanto mi sarei sentito io nel dirti che mi ricordavo di te e della tua canzone. E comunque mi ricordavo di te perché mi calpestasti, tu e la tua imbranata coordinazione!»
«Ti ho calpestato?!» sussultò Beatris, spalancando gli occhi. Poi sospirò ancora, abbattuta: «Non faccio che crearti problemi da persino prima che ci conoscessimo, che disgrazia che sono».
«Ehy!» gridò uno dei capitani dall'altro lato del campo. «Vi siete riposati abbastanza voi due. Forza, riprendete!»
«Forse è così, sei stata una disgrazia» mormorò Reiner sollevandosi dalla staccionata e cominciando a far volteggiare il coltello davanti alla faccia. «O forse sei stata la persona giusta arrivata al momento giusto, questo non possiamo saperlo».
«La persona giusta per cosa? Per cantare una canzone?» disse, sarcastica e abbattuta.
In verità, era certo che lei fosse la persona giusta ad essere sua amica lì dentro, vista la sua precaria situazione. Era perfetta: genuina, ingenua, e non troppo curiosa e impicciona. Reiner riusciva a portare avanti la sua vita da Guerriero in incognito senza problemi, e intanto, durante il giorno, vedendolo girare insieme a lei faceva anche una buona impressione nel resto dei suoi compag... no, non compagni. Nel resto di quelle persone.
Ma non poteva dirglielo. Non poteva dirle la verità, non poteva dirle quanto lui avesse avuto bisogno di quella canzone quel giorno di quasi tre anni addietro. La ricordava ancora, ogni tanto ripensava alla sua voce prima di addormentarsi, e come un incantesimo questo gli permetteva di non fare incubi. Di non sognare tutte quelle persone morte a Shiganshina, di non sognare Beatris in mezzo a loro mentre lui e Bertholdt uccidevano tutti, compresi i suoi genitori, di non sognare Marcel, di non sognare Marley e Liberio.
Se si addormentava pensando alla sua canzone, lui riusciva incredibilmente a riposare con serenità. Non poteva dirglielo, non era riuscito a dirlo nemmeno a Bertholdt. Era qualcosa di suo, un segreto che avrebbe portato per sempre con sé, una vergogna forse, ma di cui si beava con dolcezza. Un Guerriero di Marley era stato ammansito dalla melodia di un demone, che con una semplicità disarmante era riuscita a penetrare oltre la corazza del suo gigante e colpire dritto al petto. Sarebbe stata una vergogna incurabile se fosse venuto allo scoperto.
«Chissà, magari è proprio di una canzone che qualcuno può aver bisogno ogni tanto» sorrise, mettendosi in posizione per provare ad attaccarla. «Il punto è un altro: io sono assolutamente certo, Tris, che tu sia forte come desideri esserlo e forse anche di più. La carica con cui sei partita all'inizio ne è una prova, tu non sei debole neanche un po', e quando vuoi riesci a tirarla fuori. Hai salvato me da April quando impazzì la prima volta e hai salvato Armin sulle montagne. Dentro te c'è quella forza, ne sono certo, devi solo smettere di avere paura e iniziare a muoverti».
Attaccò. Fu rapido, ma neanche troppo, per cercare di darle il tempo di reagire. Sapeva che il suo discorso avrebbe dovuto scuoterla un po', lei era genuina, più volte erano bastate poche parole per spronarla in qualcosa. Era certo che un minimo d'effetto le avesse fatto, eppure ancora lei non si mosse. Paralizzata.
Strizzò gli occhi e si rannicchiò nelle spalle, come una bambina di fronte al più temibile degli incubi, e si sarebbe fatta colpire in pieno se Reiner non si fosse fermato prima. Sospirò, rattristato, e le diede un altro colpetto con la punta del coltello di legno sulla fronte, per destarla.
«Come si fa a sconfiggere la paura, Reiner?» mormorò lei, riaprendo lentamente gli occhi. «Io non riesco a farlo. È possibile? Tu ci sei riuscito? Tu... hai paura di qualcosa?»
«Sì» sospirò Reiner. «Ho paura di tante cose, e anche io a volte temo di paralizzarmi per questo».
«E come l'hai sconfitta?»
«Non l'ho sconfitta» disse e Beatris spalancò gli occhi, se possibile, ancora di più. «È sempre lì, in ogni istante. Io... credo solo di aver trovato qualcosa di più forte a cui aggrapparmi e che possa trascinarmi in avanti».
«Qualcosa di più forte?» mormorò Beatris, inarcando le sopracciglia e cercando di riflettere sulla cosa. Reiner annuì e sorrise, dolcemente. «La troveremo insieme. Ti ho promesso che ti avrei aiutata, ricordi? Troveremo insieme il modo di tirare fuori la tua forza da dentro di te, va bene?»
E Beatris si illuminò come una bambina di fronte a un bellissimo giocattolo. Annuì vigorosamente e restò a fissare Reiner, come incantata, come se avesse potuto in quel preciso istante tirare fuori una bacchetta magica e compiere il miracolo.
«Lasciamo perdere il combattimento con l'arma e facciamo qualche esercizio di tecnica?» propose lui e Beatris sospirò, sollevata. «Sì, ti prego, buttiamoci sulla teoria per un po'. Vederti scattare verso di me con quell'espressione omicida mi terrorizza, per oggi basta per favore».
«Espressione... omicida?» mormorò Reiner, sentendo un moto di tristezza farsi strada nel petto. Era stata solo una battuta, ne era consapevole, ma davvero aveva l'espressione omicida quando si lanciava in combattimento? Lui... era davvero un omicida?
![](https://img.wattpad.com/cover/271660297-288-k387654.jpg)
STAI LEGGENDO
I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no Kyojin
FanfictionIl boato che sfondava le sue finestre, il tremore della terra che la faceva cadere dalle scale, le urla di sua madre mentre correva a prenderla. Per le strade era il caos, riuscire a correre in mezzo alla folla senza separarsi era quasi impossibile...