Capitolo 13

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Era stata una serata indimenticabile, tanto che persino quando rientrò nel dormitorio Beatris faticò ad addormentarsi, ancora scossa dall'emozione. Anche se Reiner era sembrato più depresso del solito, più preoccupato, era stato di una dolcezza infinita. Le piaceva stare con lui, passavano gran parte del tempo a scherzare, Reiner era un ottimo aascoltatore e soprattutto un ottimo compagno. Si divertiva molto quando era insieme a lui, anche se era pacato e molto composto, mentre quella sera era stato piacevolmente diverso. Dolce, timido, affettuoso... persino quel suo bisogno di rassicurazioni e quei suoi timori l'avevano reso adorabile: aveva cercato attenzioni come un cucciolo. E poi le aveva detto che l'amava. Per la prima volta, in un anno, le aveva detto che l'amava. Era stato come toccare il cielo con un dito... e lei era stata un'idiota.
«Non gli ho risposto!» Beatris sussultò così forte che Mina, al suo fianco, si spaventò e per poco non fece cadere a terra lo scopettone con cui stava pulendo l'interno della bocca del cannone. «Eh?!» le chiese, non capendo che le fosse preso. Beatris era stata di buon umore fin da quella mattina, si era alzata e aveva seguito gli altri a fare colazione con un enorme sorriso stampato in faccia. Aveva persino canticchiato lungo il tragitto per arrivare alle mura esterne di Trost, era proprio allegra. Ma assorta. Distratta, non guardava molto quello che aveva attorno, né ascoltava cosa le veniva detto. Sicuramente le era successo qualcosa di bello, e conoscendo la sua situazione non poteva escludere che c'entrasse Reiner. Anche se lui, in realtà, quella mattina era sembrato più cupo del solito. Beatris era anche andata a salutarlo, gli era saltata sulle spalle esclamando come al solito: «Ti ho preso!», e diversamente dal solito lui aveva risposto con un semplice e bofonchiato: «Già».
Perciò non sapeva bene dire cosa realmente fosse successo, ma ciò non toglieva che quella mattina Beatris era straordinariamente di buonumore e più distratta del solito. Aveva obbedito agli ordini e insieme a Mina avevano iniziato a pulire i primi cannoni, ma non aveva fatto che stare in silenzio a canticchiare allegra... fino a quel momento. E questo aveva causato a Mina un piccolo infarto.
«Oh no!» Beatris spalancò gli occhi e li rivolse a Mina, come se lei avesse potuto leggerle il pensiero e capire cosa stesse accadendo. «Sono stata una stronza! Non gli ho risposto!»
«Ma a chi?» bofonchiò Mina, confusa.
«Reiner! Lui...» cominciò, ma si rese conto in quel momento che non stava parlando da sola ma c'era un'ascoltatrice. Arrossì e cominciò a ridacchiare: «No, niente, mi aveva chiesto una cosa e non gli ho risposto».
«Certo che sei proprio strana stamattina» commentò Mina, tornando a pulire l'interno del cannone.
«È l'emozione per la fine del corso» mentì Beatris, tornando anche lei al suo lavoro.
«Ah, posso capirti» sghignazzò Mina. «Non rivedremo più Shadis! Te ne rendi conto?»
Beatris alzò la testa al cielo e lanciò un urlo lamentoso. «Grazie al cielo, sì!».
«Sì, ma adesso chissà cosa ci capiterà» commentò Thomas, raggiungendo le due con una cassa piena di palle da cannone ben lucidate. «Sappiamo cosa lasciamo, ma non sappiamo come sarà dopo».
«Non essere pessimista, Thomas» lo rimproverò Mina.
«Ho sentito dire che alcuni capitani di guarnigione sono veramente severi» disse Beatris. Mina sospirò affranta: «Per favore, non rovinatemi la giornata».
«Ti unirai alla guarnigione?» chiese Beatris, cogliendo l'informazione indiretta.
«Già» annuì Mina. «Non sono entrata nei primi dieci, dovrò accontentarmi».
«Perché non il corpo di ricerca?» chiese Beatris, lucidando il ferro del cannone. E calò il silenzio, di cui si accorse solo dopo qualche secondo, quando non sentì alcuna risposta. «Che c'è?» chiese, sorpresa.
«E me lo chiedi anche?!» chiese Mina.
«Il corpo di ricerca... è da pazzi volersi unire a loro!» le diede corda Thomas e Mina annuì, prima di chiedere sorpresa: «Non vorrai unirti a loro?!»
«È quello che volevo fin dall'inizio» rispose Beatris, alzando le spalle.
«Tu?! Moriresti non appena messo piede fuori dal cancello!» disse Thomas. Non era cattiveria, né malizia, solo profonda preoccupazione: una come lei, lì fuori, non sarebbe durata nemmeno un minuto. Ma Beatris non la prese bene comunque e chiese, offesa: «Perché?! Cos'ho che non va, eh?!»
«Thomas, stupido, chiedile scusa!» lo rimproverò anche Mina e lui si grattò la nuca imbarazzato. «Mi dispiace, non volevo offenderti. Solo che mi sembri poco adatta a vedertela con un gigante. Hai... capacità in altri campi, mettiamola così».
«Sono migliorata tantissimo in questi anni, perché mi trattate tutti come ancora la più debole?!»
«Hai ragione, Bea. Scusalo, è un gran maleducato» disse Mina, incrociando le braccia al petto e fulminando il ragazzo.
«Scusa, non avrei dovuto» si mortificò Thomas, prima di chiederle: «Ma scusami, se tu entrassi nella guarnigione avresti più possibilità di restare nei territori interni e stare insieme a Reiner».
«Giusto» si sorprese Mina. «Hai intenzione di lasciarlo così?»
«La mia vita non gira mica tutta intorno a Reiner, lo sapete?!» arrossì Beatris e si agitò ancora di più, ma i due compagni la guardarono scettici e chiesero in coro: «Davvero?!»
«E comunque non ci lasciamo per questo» bofonchiò irritata e iniziò a sfregare con più vigore il cannone. «Ho promesso che sarei sempre tornata».
«Povero Reiner» sospirò Mina e Thomas annuì, piegandosi per tornare a raccogliere casse.
«Che significa?!» ruggì Beatris, offesa che ancora non credessero nelle sue capacità.
«Immagino quanto sarà dura per lui doverti vedere uscire tutte le volte» proseguì Mina, piegandosi per scrostare dalla ruggine i bulloni alla base del cannone.
«Quante notti in bianco l'aspettano» l'assecondò Thomas, sollevando una cassa e cominciando ad allontanarsi.
«Io non riuscirei mai a stare insieme a qualcuno che fa parte del corpo di ricerca, morirei prima io per crepacuore che lui mangiato dai giganti» disse ancora Mina e Beatris tornò ad ammutolirsi. Ma con molta meno allegria rispetto a prima. Non aveva mai pensato a come fosse potuto sentirsi Reiner, aveva sempre e solo pensato a se stessa, al suo desiderio di stare a fianco dei suoi amici, di proteggerli. Come si sarebbe sentito lui, per tutta la vita, a doverla aspettare all'interno del muro e pregare di vederla sempre tornare? Forse avrebbe davvero dovuto scegliere la guarnigione?
Ma se l'avesse fatto Eren l'avrebbe mangiata viva, lui credeva fortemente nella causa della lotta contro i giganti, per questo che odiava tanto Jean, che invece preferiva puntare a una vita di sicurezze e agi. D'altra parte, Mikasa e Armin sarebbero invece stati felici per lei, saperla al sicuro anzi avrebbe tolto Mikasa di un peso e sarebbe stato più semplice occuparsi di Eren e Armin. L'indomani avrebbero dovuto fare le iscrizioni ai vari corpi militari e per la prima volta, in tre anni, cominciò a dubitare della sua scelta. Un attimo prima di quel passo, lei esitò. Non riuscì a togliersi dalla mente Reiner, la sera prima, che non aveva fatto che deprimersi e cercare di convincerla a rinunciare. L'aveva trovato dolce, si era beata di quella premura che lui aveva avuto nei suoi confronti, ma era stata tremendamente egoista. Non era riuscita a vedere il suo reale dolore. Forse avrebbe davvero dovuto rinunciare e accettare i suoi limiti, forse...
Un'esplosione.
Un'assordante esplosione li travolse in pieno, li assordò e li acceccò per un infinito istante. Vennero quasi scaraventati giù dal muro, all'interno di Trost. Urlarono, ma riuscirono ad aggrapparsi a ciò che avevano attorno, ad usare la propria attrezzatura per il movimento tridimensionale e restare miracolosamente appigliati. Ebbero appena il tempo di aprire gli occhi, guardarsi attorno, e venir colti dal terrore. Il volto del gigante colossale era lì, a pochi metri da loro, proprio alle spalle di Eren.
«Eren!» riuscì a gridare Beatris, ma il muro tremò spaventosamente e una vampata di vapore li travolse in pieno. Si coprirono il volto e fu solo quella la loro fortuna, o sarebbero stati ustionati. Vennero però scaraventati giù dalla sua potenza e si ritrovarono a piroettare per qualche metro verso il basso, prima di riuscire ad avere la prontezza di restare aggrappati con la propria attrezzatura. L'enorme mano rossa del gigante colossale stringeva le mura con tale foga da creparlo.
«Samuel!» gridò Mina, vedendo uno dei suoi compagni privo di sensi cadere verso il suolo. Una piccola scia di sangue gli uscì dalle labbra dischiuse, doveva essere stato ferito gravemente. Beatris si sganciò, si lasciò cadere e voltandosi cercò di aumentare la propria aereodinamicità mettendosi in verticale, dritta verso il suolo. Diede gas, usò la sua stessa attrezzatura per aumentare la propria velocità e vide il suolo avvicinarsi con una rapidità spaventosa a lei. Ebbe un fremito, la paura per un istante le paralizzò le mani, ed esitò nel portare a compimento la folle manovra che d'istinto aveva iniziato. Ma riuscì a sbloccarsi per tempo. Sparò un primo rampino verso Samuel, afferrandogli così la caviglia, poi voltandosi sparò il secondo verso il muro. Lo slancio che si era data verso il basso era stato tanto potente che quella frenata improvvisa, con un corpo appeso a sé, non la lasciò indenne. Si corrucciò e digrignò i denti, sentendo il riverbero tirarle spaventosamente la colonna vertebrale. Era stata avventata, aveva rischiato molto, ma era riuscita così a salvare entrambi.
«Bea!» gridò Eren, guardandola. «Stai bene?»
«Sì, c'è mancato poco!» rispose lei, ma ora lo sguardo di Eren non era più rivolto nella sua direzione. Occhi spalancati, impallidì, puntando qualcosa sotto di lei. Beatris si voltò preoccupata a guardare cosa ci fosse di tanto terrificante e sentì il sangue raggelarle le vene. Un gigante aveva appena oltrepassato una breccia nel muro e guardava Samuel dal basso, ad appena tre metri sotto di lui. Beatris sussultò, sentendo lo stomaco attorcigliarsi, e d'istinto riavvolse il cavo del rampino, risalendo appena e trascinando Samuel con sé, mettendo così più distanza tra lui e il gigante. Un altro si fece avanti, alle sue spalle, più basso. Entrò a Trost e cominciò a camminare lungo la via. Dietro di lui altri... due, poi tre, poi quattro.
Era una scena surreale, raccapricciante, che svegliò nei ricordi di Beatris e probabilmente anche in quelli di Eren una paura primordiale che credevano di aver superato. Sentendosi svenire, rivide per un istante la sua Shiganshina... invasa.
«Non... può...» sibilò, pallida. Neanche si accorse di aver iniziato a tremare dalla paura.
Un classe dieci metri oltrepassò il muro e come il primo si fermò a guardare Samuel appeso, pochi metri da lui. Lo videro chinare le ginocchia, pronto a saltare. Beatris sapeva che stava per farlo, ma non riuscì a distogliere lo sguardo dalla sua bocca spalancata, pronta ad afferrarla. Era come un incubo.
«Beatris!» chiamò qualcuno sopra di lei. «Sei troppo bassa! Sali!» si accodò qualcun altro. Il tempo parve rallentare, poté vedere ogni singolo muscolo del gigante contrarsi, mentre si dava lo slancio verso l'alto.
«Bea!» un urlo, alle sue spalle, ma non lo sentì. Non sentì niente. Era completamente paralizzata. E infine il gigante saltò.
«Combatti!» non era sicura che qualcuno l'avesse detto veramente o che l'avesse solo sentito nei suoi pensieri. Non riuscì nemmeno a identificare la voce, capire a chi appartenesse, seppe solo di averlo sentito. E reagì. Afferrò con le mani il cavo che teneva Samuel e si diede lo slancio contro al muro con le gambe, in modo da farlo ondeggiare il più possibile. Riavvolse poi Samuel, cercò di tirarlo verso di sé e con l'aiuto dello slancio orizzontale riuscì a fare in modo che il gigante mancasse il colpo. Sentì la propria attrezzatura scricchiolare, fare rumori strani, di meccanismi che si inceppavano e saltavano.
Non fu difficile capirne il motivo: erano troppo pesanti, la sua attrezzatura era eccessivamente sotto sforzo. Non avrebbe retto per molto e se si fosse rotta in quel momento sarebbe significato morte certa. Non rifletté nemmeno sulle possibilità che aveva. Agì e basta. Si staccò dal muro e si diede un altro slancio in orizzontale, spingendosi con le gambe. E infine si sganciò dal muro, cadendo verso il suolo, verso i due giganti che la guardavano famelici dal basso.
«Bea!» gridò qualcuno, terrorizzato nel vederla volare dritto verso il pericolo. Con un altro colpo di gas, Beatris riuscì a raggiungere Samuel in volo e lo prese tra le braccia. Volò alle spalle dei due giganti, ormai arrivata alla loro altezza e si voltò, sparando entrambi i propri rampini. Facendo leva su entrambi, invece che uno solo, anche se erano in due non sarebbe stato un problema, il peso si sarebbe distribuito meglio. Arrivò a sfiorare il terreno, volò alle spalle del gigante e cercò di rialzarsi e tornare verso il muro. Ma i due giganti la intercettarono. Voltandosi per afferrarla, colpirono i cavi su cui si era appesa e questo la slanciò altrove. Venne scaraventata a terra, pochi metri lontano. Rotolò nella polvere con ancora Samuel tra le braccia e quando si voltò vide i due giganti camminargli incontro. Il primo più lento, il secondo più agile e veloce, ma entrambi l'avrebbero raggiunta nel giro di qualche secondo. Un lamento le uscì dalla gola, in preda al panico, e l'istinto le fece ancora una volta irrigidire i muscoli dal terrore. Ma non l'avrebbe fatto... non sarebbe rimasta paralizzata. Non ancora. Si voltò, sparò i propri rampini a un edificio di fianco e diede una spinta di gas decisamente eccessiva. La mano del gigante le volò contro, pronto ad afferrarla. Riuscì a sgusciare via in tempo, si sentì sfiorare, ma con la punta del dito questo riuscì di nuovo a colpirla e scaraventarla a terra, ancora più avanti. Si rialzò, cercò di trascinare Samuel con sé, ma non fece neanche un passo che un tonfo la fece ricadere in avanti. Il gigante alle sue spalle si era lanciato in avanti, con una mano allungata verso di loro, e li aveva quasi presi. Urlò, in preda al terrore ed ebbe appena il tempo di vederli, entrambi chinati in avanti, con le mani che andavano nella loro direzione.
Provò a voltarsi, a gattonare via, ma fu lenta. Troppo lenta. Uno di loro la prese per una gamba e la tirò via. Urlò, si dimenò, provò addirittura a scalciare e afferrare le pietre sotto di sé, ma erano solo movimenti disperati di una donna disperata. Venne alzata da terra, tenuta per una gamba, e sollevata per aria. Il gigante che l'aveva presa la tenne per il piede, sollevata sopra la testa, spalancò la bocca e si preparò a lasciarla cadere per ingoiarla. Accanto a sé il secondo gigante, più basso, aveva preso Samuel e anche lui era pronto a portarselo alla bocca. Non aveva vie di scampo, il piede era immobilizzato, qualsiasi movimento le era impedito e il terrore le impediva persino di pensare lucidamente. Sapeva solo... che sarebbe morta. Era il suo primo incontro con i giganti, dopo cinque anni, e sarebbe già morta. L'ultima del corso, era sempre stata l'ultima del corso, e migliorare qualche tecnica non l'aveva resa certo migliore come aveva sperato. Non si era nemmeno ancora arruolata, non aveva nemmeno iniziato, e già sarebbe morta. Proprio quando aveva promesso... che sarebbe sempre tornata.
No. Lei sarebbe tornata. Doveva farlo!
Si torse col busto per direzionare meglio il rampino, per quel poco che riusciva a muoversi, e lo sparò dritto verso l'occhio destro del gigante. Questo si dimenò per il dolore, ma durò solo un breve istante. Scosse appena la testa, ma fu abbastanza. Non era più in traiettoria della bocca. Impugnò le lame e tirandosi su con gli addominali le piantò entrambe sul polso del gigante. Non ebbe la forza di recidere, non era nella posizione migliore, ma fu abbastanza a lesionare qualche tendine. Le dita si ammorbidirono, persero presa, e lei cadde nel vuoto. Dritta verso la bocca del gigante. Non ebbe tempo di sfuggire, era a malapena a un metro da lui, e la caduta fu troppo rapida. Urlò... e quella fu l'unica cosa che riuscirono a sentire, prima di vederla sparire in gola al mostro.
Il gigante chiuse la mascella con uno schiocco e deglutì. Non ci furono schizzi di sangue, ma non servirono. Beatris era appena stata ingoiata intera, scivolata lungo la lingua, dritta nel suo stomaco. Di lei non restava altro che il rampino ancora infilato nell'occhio destro del gigante, col cavo che la seguiva infilato tra i suoi denti e poi dritto in gola.
Il gigante si voltò, poi, pronto a cercare la prossima preda, ma proprio in quel momento un uomo lo raggiunse. Un colpo secco, preciso, nella zona esatta dove sapeva essere vulnerabile. Un soldato della guarnigione gli tagliò la nuca e il gigante cadde a terra, cominciando già a vaporizzarsi. Quello al suo fianco aveva appena staccato la testa a Samuel e stava finendo di ingoiare il resto del corpo, quando un secondo soldato di guarnigione lo raggiunse e tagliò la nuca anche a lui. Altri soldati, alle loro spalle, volarono rapidi verso la breccia e iniziarono subito a coprirla con una rete ed eliminare i pochi giganti che erano già entrati. Il caos per le strade, gente scappava, soldati volavano verso le mura per coprire la breccia e iniziare a preparare i cannoni. E in tutto questo, il gigante colossale, alle loro spalle, era di nuovo sparito.
«Connie!» gridò Eren, raggiungendolo sul muro. Aveva tentato di colpire il colossale, ma aveva fallito. Con uno sbuffo di vapore questo si era protetto dall'attacco, per poi svanire nel nulla, esattamente come aveva fatto cinque anni prima. Eren raggiunse Connie e Thomas, paralizzati, con gli occhi umidi e spalancati.
«Mina e Sasha?» chiese, non vedendole. Thomas indicò le ragazze in strada, intente a correre per raggiungere il quartier generale. Passarono di fianco ai due giganti uccisi, stesi a terra, in pieno stato di vaporizzazione, e rallentarono. Le vide scambiare due parole con i soldati che erano lì, poi con il volto contratto, l'espressione distrutta dal dolore, ripresero a correre.
«Vanno al quartier generale» mormorò Connie.
«Dovremmo andare anche noi» disse Eren, prima di aggiungere. «Beatris è riuscita a salvare Samuel? Li hanno già portati lì?»
Connie ebbe un sussulto e un lamento gli uscì dalla gola. Si corrucciò, non riuscì neanche a guardare l'amico in volto e negò con la testa.
«Cosa?» mormorò Eren, avvicinandosi all'amico. «Che stai dicendo? Dov'è Bea?»
Con una mano tremante, Connie indicò i due giganti stesi in mezzo alla strada. Uno di loro, poteva vederlo anche da lì, aveva del sangue tra le mani e tra i denti. Un singulto uscì dalla gola di Eren e si sentì vacillare. «Come...» mormorò. La testa gli girava talmente tanto che faticava persino a stare in piedi. Beatris... possibile che Beatris fosse morta? Quando era successo? Com'era possibile?
«Mi prendi in giro» sibilò, prima di voltarsi verso Connie e afferrarlo per la camicia, in preda alla collera. «L'avete vista morire e nessuno ha fatto niente?!» ruggì e Connie non fece niente per contrastarlo. Dagli occhi umidi sarebbe uscita una lacrima da un momento a un altro.
«Perché non l'avete salvata? Perché siete rimasti qui?!»
«Non sono riuscito a muovermi» sibilò Connie. «Perdonami, Eren».
Ma niente avrebbe potuto fermare quella rabbia, niente avrebbe potuto placare la sua disperazione. Le aveva tolto gli occhi di dosso solo per un istante, era convinto che fosse stata pronta. Anche se non era tra i migliori, in addestramento, era brava. Era diventata davvero brava. Si era fidato di lei, l'aveva lasciata sola, si era concentrato sul titano colossale... e aveva commesso un madornale errore. Beatris non era pronta, non lo era mai stata. Perché le avevano permesso di arruolarsi? Perché lui l'aveva sempre spronata a provarci, invece che fermarla? Tutto ciò che restava della sua famiglia... aveva perso persino quello. La gola gli bruciava tanto che fu impossibile trattenere dei lamenti. E Connie, ancora stretto tra le sue dita, non faceva che piagnucolare e tremare. Ma a che sarebbe servito? A cosa sarebbe servito piangere?
«Eren!» gridò improvvisamente Thomas, attirando così la sua attenzione. Si voltò e Thomas gli indicò nuovamente i giganti in strada, ormai vaporizzati per metà. Uno dei soldati che l'avevano abbattuto stava spingendo con forza la testa del gigante da un lato, mentre il secondo tentava di aprirgli la mascella facendo leva con un bastone. Riuscirono, con qualche difficoltà, a portare a termine il compito. E non appena la bocca del gigante fu libera e aperta una mano ne uscì. Umida di bava, tremante come una foglia, si aggrappò al soldato che aveva di fronte e questo non esitò a tirarla via.
Beatris uscì dalla bocca del gigante, apparentemente indenne.
«Bea!» gridò Eren, lanciandosi nel vuoto e sfruttando la sua attrezzatura per raggiungerla il prima possibile. Beatris era completamente ricoperta di bava e saliva, umida e appiccicosa, tremava talmente tanto che non riuscì a reggersi in piedi e il soldato che aveva davanti dovette sorreggerla per evitare che crollasse a terra. Tossì un paio di volte, ma alla fine fu costretta a chinarsi da una parte e vomitare in un angolo.
Eren la raggiunse in quel momento e le si lanciò a fianco. Non le diede nemmeno il tempo di rialzarsi che la strinse in un abbraccio disperato, fregandosene della bava e delle gocce di vomito che ancora le pendevano dalle labbra.
«Eren» mormorò Beatris, con la faccia schiacciata contro la sua spalla. Non aspettò risposta, mugolò frettolosa: «Devo vomitare di nuovo» e lo spinse via, prima di chinarsi da una parte e tornare a vomitare. Non fece in tempo a girarsi nel tutto, prese Eren su di una scarpa, ma nessuno dei due sembrò prestarci attenzione.
«È stato un gesto da pazzi, sei fortunata che tu sia riuscita a sopravvivere» commentò il soldato della guarnigione, avvicinandosi per assicurarsi che stesse bene. Del sangue le colava dalla testa e le stava imbrattando completamente l'orecchio destro e lo zigomo.
«Come hai fatto? Eri... nella bocca del gigante?» balbettò Eren, dandole un paio di carezze sulla schiena.
«In gola» riuscì a gracchiare Beatris, dandosi una pulita alla bocca con la manica. «Non sapevo a cosa aggrapparmi, non ho nemmeno pensato di farlo. Mi sono trovata in quella situazione e basta. Ho inizialmente pensato di accecarlo nella speranza che nel dolore mi avesse lanciata via, ma quando ho visto che non si è mosso troppo e che restavo in traiettoria della bocca... non lo so, non l'ho ragionata. L'ho fatto e basta» spiegò. «Ho tagliato i tendini della mano per lasciarmi cadere e a quel punto il mio unico pensiero è stato "cerca di non farti mordere". Ho dato gas, per spingermi in bocca prima che avesse potuto chiudere la mascella e ferirmi. Sono scivolata sulla sua lingua e nel farlo ho sbattuto la testa contro i suoi denti, ma sono riuscita a finirgli in gola senza essere morsa».
«E... non sei stata ingoiata?» balbettò Eren, confuso.
«Ho lasciato il rampino infilato nel suo occhio destro, senza richiamarlo, e ho usato il cavo per restare appesa tra le sue tonsille, pregando che non l'avesse trinciato via con i denti, che fosse resistente abbastanza. Non ho idea di cosa avrei fatto, se non fossero intervenuti i soldati, ho solo improvvisato. Probabilmente mi sarei ri-arrampicata verso la lingua e avrei provato ad aprirgli la bocca tagliando la mascella dall'interno. Io non lo so cosa...» e si ritrovò a vomitare ancora, anche se quella terza volta non ne uscirono altri se non succhi gastrici. Tossì e si sentì la gola andare in fiamme. Lacrime si mischiavano alla bava di cui era ricoperta, nonostante il gesto folle ma incredibilmente pronto e intelligente, non ne era uscita indenna. L'essere stata dentro la bocca di un gigante l'aveva scossa a tal punto che aveva perso il controllo di corpo e mente. Avrebbe avuto incubi per il resto della vita, in più a quelli con il gigante corazzato che provava a schiacciarla. Singhiozzò, le fu quasi impossibile respirare, ma con quel poco di voce che le restò disse: «Eren... Samuel è...» un singhiozzo la interruppe. «Perché non riesco a salvare le persone?» si voltò a guardarlo e non si trattenne più. Pianse lacrime amare. Aveva passato tre anni della sua vita ad allenarsi e addestrarsi, aveva fatto qualsiasi sforzo necessario per rafforzare sia mente che corpo, aveva raggiunto ottimi risultati. Era un soldato nella media, alla fine, ma soprattutto aveva capito dove trovare la sua forza. Voleva salvare le persone, si era impegnata tanto solo per riuscire in quell'intento. Voleva unirsi al corpo di ricerca per salvare quante più persone possibili, impedire che altri avessero potuto vivere ciò che aveva vissuto lei, proteggere Eren, Mikasa e Armin. Ma alla sua prima sfida aveva perso un compagno e quasi perso la vita, se non fosse stata solo tremendamente fortunata. Reiner era riuscito con fatica a costruire con lei un pilastro a cui aggrapparsi, una forza interna di cui sentirsi invincibile, ma ora... cominciò a credere che si trattasse solo di un misero castello di carte. Lei non valeva niente e lo aveva appena dimostrato.
«Ti sbagli!» ruggì Eren. La prese per le spalle e la costrinse a risollevarsi, guardarlo in faccia. «Eri sola contro due giganti e sei riuscita a sopravvivere! Hai salvato te stessa, da sola! Contro ben due giganti! Lo capisci, Bea?! Tu sei in grado di salvare le persone, e lo farai! Lo farai, ne sono certo!»
«Vorrei... essere almeno in grado di salvare te, Armin e Mikasa» singhiozzò Beatris, con una flebile speranza nel cuore. Il sorriso di Eren riuscì a riscaldarla. «Sono certo che lo farai».
«Dovete spostarvi di qua» gli disse il soldato. «Non sappiamo quanto ancora la rete e i cannoni riusciranno a tenerli a bada. Radunatevi al quartier generale, fai curare la ragazza e seguite gli ordini».
«Ok!» urlò Eren, drizzandosi da bravo soldatino. Si piegò poi e aiutò Beatris ad alzarsi in piedi, mettendole il braccio dietro le proprie spalle. «Andiamo, Bea».
E insieme, infine, raggiunsero il quartier generale. Il resto dei loro compagni era già lì, chi impegnato ad attrezzarsi, chi correva per preparare gli armamenti, chi in un angolo a piangere, e chi invece cercava compagni e amici. Ovunque era caos, ovunque era panico, ma tutti cercavano di mantenere una vaga dignità da militare e comunque nessuno si rifiutava di obbedire agli ordini. Eren entrò all'interno dell'enorme cortile con Beatris che barcollava appesa a lui. Era stremata, aveva bisogno di stendersi almeno un po', di riprendersi, magari bere dell'acqua, invece erano stati costretti a correre lungo la strada fino al quartier generale. La testa gli faceva un gran male e il sangue ormai si era incrostato ai capelli e aveva macchiato persino i vestiti.
«Serve un dottore!» gridò Eren, non appena mise piede all'interno. «Chiamate qualcuno, presto!»
Un gruppo di tre ragazzi scattò, correndo verso un porticato e poi dentro la struttura. Eren intanto trascinò Beatris per qualche altro metro, puntando una panchina a lato del cortile sopra cui farla stendere. Più erano andati avanti e più lei si era trasformata in un peso morto, faticava a restare sveglia e cominciò a temere che avesse perso troppo sangue o che la ferita alla testa fosse stata troppo profonda. Avrebbe potuto perdere conoscenza e non sapeva allora cosa sarebbe successo.
«Resisti ancora un po'» le disse, trascinandola verso la panchina.
«Bea!» gridò Armin, dall'altro lato del cortile.
«Eren! Che è successo?!» strillò anche Mikasa ed entrambi corsero loro incontro.
«È stata quasi mangiata, si è salvata per un pelo ma ha una brutta ferita alla testa» spiegò sbrigativamente.
«I giganti sono già entrati?» chiese Mikasa allarmata.
«Solo qualcuno, quando è stata aperta la breccia. Stanno difendendo il muro» spiegò Eren e in quel momento sentirono arrivare anche la voce di Reiner, allarmata: «Tris!» chiamò, correndo di fianco ai due. Si piegò e prese l'altro braccio di Beatris, portandoselo dietro al collo. «Ci penso io, Eren. Riposati pure» e Eren non se lo fece ripetere due volte. Trascinare Beatris per tutta la strada gli aveva quasi spaccato la schiena, non era stato semplice. Reiner poggiò un braccio dietro la schiena di Beatris, uno dietro le ginocchia, e la sollevò completamente da terra.
«Sto bene» biascicò lei, per niente convincente. Reiner raggiunse la panchina che Eren aveva puntato da subito e fece stendere Beatris sopra questa. In un istante venne completamente circondata. Armin le si inginocchiò a fianco, le poggiò una mano sulla spalla e non staccò gli occhi dal suo volto. Dall'altro lato Reiner fece altrettanto, inginocchiato al suo fianco, le scostò i capelli, cercando di intravedere la ferita.
Eren si sedette a terra, con la schiena poggiata alla panchina, di fianco ad Armin, mentre Mikasa restava alle loro spalle. Nel giro di qualche secondo arrivarono anche Christa, Ymir e Bertholdt.
«Che cosa è successo?» chiese Christa, in preda al panico.
«Non sono riuscita a vederla, ma... era stata quasi mangiata» cercò di spiegare Eren, chiedendosi in quale modo avrebbe potuto raccontare una cosa simile. Era a dir poco incredibile, era stata eccezionale tanto quanto folle e spericolata.
«Ho fatto una visita alle tonsille del gigante» mormorò Beatris, con gli occhi socchiusi. Reiner le accarezzò i capelli, la studiò e si rese conto solo allora di un particolare: «È completamente fradicia».
«È la saliva del gigante. Ha sbattuto la testa contro uno dei suoi denti» spiegò ancora Eren e Armin sussultò, terrorizzato: «Sei finita... nella bocca di un gigante?!» quasi urlò.
«Il colossale è apparso dietro di noi» mormorò Beatris. «Ha aperto la breccia e Samuel è stato ferito. Stava cadendo giù dal muro, ho provato a salvarlo».
Reiner le concesse un'altra carezza sui capelli e spostò discreto lo sguardo preoccupato su Bertholdt. Era pallido, sconvolto, ma per sua fortuna non era l'unico ad avere quell'espressione disperata. Andava bene, sapeva che andava bene... era stato lui a ordinare a Bertholdt di agire, senza preoccuparsi di niente. Se Beatris aveva rischiato la vita la responsabilità era solo la sua. E sentì una morsa allo stomaco.
«Non riuscivo a risalire con lui appeso, non ero nella posizione migliore per sostenere il peso di due corpi, la mia attrezzatura rischiava di rompersi» continuò a mormorare Beatris. Stava cominciando a sentirsi meglio, aveva decisamente bisogno di restare stesa per un po', la corsa per le strade di Trost le avevano dato quasi il colpo di grazia.
«Mi sono dovuta lasciare andare. Ho provato a scappare, ma erano veloci, mi prendevano sempre, e io... non sono riuscita a portare via...» ed ebbe un fremito, colta di nuovo dal dolore. Un flash, uno squarcio nella sua memoria, e rivide Samuel un istante prima di essere divorato. Non sapeva nemmeno di essere stata in grado di vederlo, se ne ricordava solo in quel momento. Si portò le mani alla bocca ed Eren fu rapido nel prendere Armin e tirarlo indietro appena in tempo, prima che Beatris si voltasse e vomitasse per l'ennesima volta.
«Adesso basta, cerca di riposare» le disse Reiner, aiutandola a sorreggersi mentre vomitava. Le mise la giacca sotto la nuca, così da poter poggiare la testa sul morbido, e la riaccompagnò indietro in modo che potesse stendersi.
«Come... ne è uscita?» mormorò Mikasa, ma diretta a Eren, in modo che fosse lui a rispondere e non Beatris.
«Ha sparato uno dei suoi rampini in un occhio del gigante che l'ha inghiottita, ha usato la propulsione del gas per spingersi in gola prima che potesse masticarla ed è poi rimasta appesa in gola a questo fintanto che dei soldati della guarnigione non l'hanno abbattuto».
«Stai scherzando?!» urlò Christa, bianca in volto per il terrore.
«Credevamo fosse morta. L'ho vista uscire dalla bocca del gigante, una volta a terra, ricoperta di saliva e in queste tremende condizioni».
«Ho bisogno di bere qualcosa» gorgogliò Beatris e non dovette dirlo due volte. Christa schizzò in piedi, corse a perdifiato lungo il cortile e si fiondò a riempire una borraccia. Stava bevendo, quando infine arrivò anche il medico, portato dal gruppo di cadetti che era andato a chiamarlo.
«Andate nel cortile sul retro! Vi stanno radunando per decidere il piano, sbrigatevi. Ci pensiamo noi adesso a lei» disse il medico, sporgendosi sulla panchina e cominciando ad esaminare Beatris lì dov'era.
«Sto bene» ripeté lei, moribonda. «Ho solo bisogno di riprendermi un attimo».
«Questa ferita va curata» commentò il medico, scostandole i capelli e cercando il taglio. La costrinse, per riuscire a trovarlo, a spostare la testa su di un lato e Beatris notò solo in quel momento che Reiner era ancora lì, a differenza del resto dei suoi compagni che aveva obbedito immediatamente all'ordine. Cercò di sorridergli, notando la sua espressione contratta, in un misto tra il frustrato e il terrorizzato.
«Alla fine sono caduta dal muro come avevi detto tu» gli disse, sorridendogli divertita. Ma lui non ricambiò la sua flebile ilarità e restò a fissarla, con quell'espressione sempre più addolorata. «Sto bene, davvero» e non poté far a meno di ripensare a ciò che Mina le aveva detto quella mattina. Quanto sarebbe stata dura per lui dover aspettare sempre di vederla tornare? «Non devi preoccuparti per me...» gli disse e stupidamente sperò che bastasse a farlo stare meglio.
«Braun!» il richiamo del medico lo fece sussultare come una molla. Si drizzò sulla schiena, mettendosi sull'attenti.
«Vai col resto dei tuoi compagni, adesso».
«Va bene, Signore» rispose e si incamminò, pronto ad andarsene, ma ancora esitò. Si voltò un'ultima volta e lanciò a Bestris un ultimo sguardo. Era fradicia di saliva, reduce da un incontro che l'aveva vista salva per un pelo, ferita e moribonda, forse talmente traumatizzata che non si sarebbe ripresa mai più. Sapeva a cosa sarebbe andato incontro, sapeva quali sarebbero state le conseguenze del suo piano, ma vederla in quelle condizioni, sapere che per un solo caso fortuito era riuscita a tornare da lui, lo faceva di nuovo sbattere violentemente contro tutte le sue colpe e le sue responsabilità. Era stato lui a metterla in pericolo. Sapeva che era stata la cosa giusta, non si pentiva della scelta presa, la sua missione l'aveva richiesto e si stavano comportando adeguatamente... ma poteva esistere un modo per riuscire a salvare lei? Almeno lei, in mezzo a tutta quella follia? Il destino sembrava avesse voluto punirlo, mettendo invece Beatris in pericolo prima di chiunque altro. Sapeva che era stata la scelta giusta... eppure non riusciva a placare il dolore che aveva nel petto in nessun modo. Non le disse niente, ma la guardò talmente rammaricato che Beatris ebbe come l'impressione di sentirglielo dire lo stesso: «Mi dispiace».
E non riuscì a comprenderlo.

Nda.

Ho saltato la pubblicazione di domenica scorsa, me ne rammarico, ma essendo ferragosto io (e immagino anche voi) ero un po' impegnata xD
Mi dispiace di essere arrivata con un giorno di ritardo, questa settimana, ma ho avuto un sovraccarico di impegni. Comunque!!! Eccomi qui!
Il caos è appena iniziato! L'attacco a Trost, con tutte le sue conseguenze... e un Reiner che, consapevole di essere la causa, è combattutissimo tra il "era giusto" e il "avrei voluto non farlo". Soprattutto quando scopre che la prima ad aver rischiato la vita è stata proprio Tris.

Vi lascio la canzone di questo capitolo che è MOLTO BELLA e azzeccata. È un po' articolata perciò ve la spiego un attimo:
La prima parte vedetela dal punto di vista di Tris, quando cerca di sfuggire ai giganti e sta per essere mangiata. Fa riflessioni sulla vita, sulla morte ("ci svegliamo solo quando dormiamo" perché chi è morto non può più farlo), e si chiede perché... perché debba succedere una cosa come quella. "È per qualcosa che hanno detto? Che hanno fatto?", è una mente pura, semplice, e nella sua semplicità non riesce a capire cosa abbiano fatto di male, perché si meritano tutto quello (quando parla di "loro" ovviamente si riferisce ai giganti). Il pezzo in cui parla a qualcuno di specifico ("Dal giorno in cui te ne sei andato") è riferito ai suoi genitori.
Dopo la parte strumentale intorno al minuto 6.30 dice "aiutami a trovare la mia strada" e l'ho immaginata che la dicesse a Reiner, il suo unico punto di riferimento in questo momento... e a rispondere è proprio lui, dal "non c'è polso nel mio corpo", e parla direttamente a lei, facendo emergere tutto il suo turbamento, i suoi sensi di colpa e il suo desiderio di salvare almeno lei. Quando parla delle immagini stampate nella mente sono i ricordi emersi di quel giorno a Shiganshina.
E l'ultima parte... beh... "tonight we all die young"... siamo a Trost, c'è un attacco. Non c'è bisogno di sottolineare quanto sia straziante.

Enjoy!

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora