Reiner rientrò nel dormitorio dell'ospedale che era quasi il tramonto. Avevano impiegato tutto il giorno per riuscire a eliminare l'ultima traccia dei giganti da Trost, non avevano fatto altro che caricare cannoni, pulire e poi sparare e ripetere tutto dall'inizio. Un lavoro noioso, ripetitivo, ma estenuante. Aveva tutti i muscoli a pezzi e moriva di fame, ma non appena era stato congedato, prima di concedersi del riposo, aveva preferito passare a trovare Beatris. Non l'aveva lasciata nel migliore delle condizioni, era stanca, affaticata, con una notte in bianco sulle spalle e l'umore a terra. Era preoccupato, soprattutto visto quanto era successo il giorno prima. Aveva odiato doverla lasciarla sola tutto il giorno, spaventato all'idea che le sue condizioni fossero potute peggiorare in sua assenza. Ma quando superò le prime brandine e si affacciò sull'ala est della struttura, dove l'aveva lasciata, ebbe una piacevole sorpresa. Beatris era seduta sulla propria brandina, con la coperta a coprirle le ginocchia, un libro tra le mani e un'espressione rasserenata... avrebbe addirittura detto felice. Ebbe quasi timore ad avvicinarsi, spaventato di rompere quell'incantesimo, ma il desiderio di farne parte ebbe la meglio.
«Hai trovato qualcosa da fare, vedo» commentò, facendosi così notare dalla ragazza. Beatris alzò gli occhi dal suo libro e l'espressione serena che aveva in viso si allargò lentamente in una addirittura entusiasta. Nonostante la fasciatura sul viso e i cerotti che la deturpavano, sembrò risplendere di una bellezza unica.
«Reiner!» esclamò, felice di vederlo, e lui rimase per qualche istante scosso. Ne aveva passate veramente tante, in nemmeno ventiquattro ore aveva toccato il fondo del baratro, ma ora invece la vedeva smagliante come non mai. Fu una sorpresa, non se lo sarebbe mai aspettato, e per questo sentì il cuore battere qualche palpitazione di troppo. Quanto gli piaceva quel sorriso, quanto amava vederla con quell'espressione cucita addosso, sembrava essere fatta apposta per stare lì, sul suo viso. Era perfetta.
«Come stai?» le chiese, riuscendo a riemergere quasi immediatamente dal sogno in cui stava per cadere vittima. Le si avvicinò, prese uno sgabello e le si sedette a fianco.
«Molto meglio» rispose lei, appoggiandosi il libro sulle gambe, ma senza chiuderlo, tenendo il segno con un dito.
«Sei riuscita a dormire?»
«Sì, ho chiuso un po' gli occhi oggi pomeriggio, ma è stato difficile. Qui dentro non c'è proprio l'atmosfera adatta a rilassarsi» sospirò, guardandosi velocemente attorno. Ovunque non c'erano che lamenti e singhiozzi, interrotti qualche volta da un urlo più o meno disperato. I medici, inoltre, non facevano che correre da tutte le parti in preda al caos, andando a curare l'uno o a provare una rianimazione a un altro.
«Mi ricorda un po' quella cattedrale...» mormorò lei, rattristata.
«Già» sospirò Reiner. «Anche a me».
«Sai, sono riuscita a ricordarlo».
Reiner si voltò a guardarla, lasciando i moribondi ai loro dolori, e mormorò un confuso: «Mh?» non capendo a cosa si riferisse. Beatris spostò anche lei lo sguardo su di lui e tornò a sorridere, gioviale: «Di averti quasi rotto un piede» ridacchiò, divertita.
«Eri solo inciampata, certo non mi avresti rotto un piede per così poco» sorrise, altrettanto divertito. «Anche perché allora eri abbastanza mingherlina. Avresti dovuto veramente impegnarti anche solo per riuscire a farmi un piccolo livido».
«Oh» Beatris sollevò il mento. «Come siamo pieni di noi!»
Reiner non riuscì a non sogghignare divertito. «È solo la verità. Ero bello resistente già al tempo, mentre tu cadevi di faccia per salvare del pane».
«Era importante! Non mangiavamo dal giorno prima e per riuscire a prendere quelle pagnotte ho dovuto persino litigare con dei bambini!»
«Hai tolto da mangiare a dei bambini?!» sussultò lui.
«Loro l'avevano già preso il giorno prima, noi no! Era nostro di diritto. Mi sono persino beccata un pugno in un fianco mentre scappavo» sospirò.
«Hai combattuto con i denti, eh? Ti sei fatta valere» sorrise divertito e lei ammise, rossa in volto per l'imbarazzo: «Avevano sei anni... ed erano due».
«Cosa?!» sussultò ancora Reiner.
«Ma erano agguerritissimi! Non è stato facile! Mi tiravano i capelli!»
«Per questo eri così spettinata?» la prese in giro e lei si finse offesa prima di dire, scocciata: «Cosa potevo saperne che avrei trovato quel giorno l'uomo della mia vita?! Se l'avessi saputo mi sarei di certo pettinata e magari avrei fatto in modo di non inciampare solamente sul tuo piede, ma ti sarei caduta addosso».
Non ricevette risposta e aprì un occhio per guardare Reiner, pochi istanti dopo, chiedendosi che reazione avesse avuto. E scoppiò a ridere. Reiner era diventato completamente paonazzo dalla vergogna, la fissava con occhi sgranati e labbra dischiuse, come se avesse voluto dire qualcosa ma non ne fosse stato in grado. Sentirla ridere così forte di sé e della sua vergogna riuscì a sbloccarlo, ma fu difficile lo stesso riuscire a pensare a qualcosa. Lei l'aveva davvero definito "l'uomo della sua vita"?
«Sarebbe stato romantico» insisté Beatris e lui rispose, rapido: «Sarebbe stato imbarazzante».
Eppure riuscì a vedersela, la scena. Lei che cadeva, gli atterrava addosso con quel suo tremendo vizio di non mettere le mani avanti, gli sarebbe caduta addosso direttamente di faccia. In quell'immaginario idilliaco, come fosse stata la storia di un libro, probabilmente quello sarebbe stato il loro primo bacio, benché ancora non si conoscessero. E lui sarebbe caduto in preda alla follia, troppo emozionato per un incontro scontro come quello. Si sarebbe comportato da idiota, balbettando e arrossendo, mentre lei l'avrebbe guardato con le guance teneramente rosate e i capelli a ricaderle sul volto, come un bellissimo quadro. Era perfetto. Una scena che mai più avrebbe cancellato dalla memoria e su cui avrebbe fantasticato per tutta la vita.
Ma conosceva Beatris, lei era impacciata e imbranata, e non faceva che portargli guai. Anche se fosse caduta dolcemente di faccia su di lui non ne sarebbero mai usciti in altro modo se non stupidamente, con qualche ferita di troppo. «E mi avresti dato una testata, come minimo» aggiunse, consapevole della sorte a cui sarebbero andati incontro, anche in una scena romantica come quella. Beatris scoppiò nuovamente a ridere.
«Penso ti avrei detestata per un po'» insisté Reiner, sollecitato dalla sua reazione. Aveva davvero avuto paura che non sarebbe più riuscito a vederla così di buon umore, dopo tutto quello che era successo. Aveva davvero avuto paura che l'avrebbe persa. E invece erano tornati a un paio di giorni prima, quando ancora andava tutto bene, come se niente fosse. Non sapeva il motivo dietro alla ripresa di Beatris, non sapeva cosa le fosse successo, forse aveva solo avuto bisogno di tempo, ma ciò che contava era che voleva approfittarne il più possibile. Poter essere felice di nuovo.
«Ti ho fatto cose ben peggiori, non credo tu mi abbia detestata» gli disse e lui rispose, repentino: «In realtà un po' sì».
«Cosa?!» sussultò Beatris.
«Mi hai messo più in pericolo tu in questi tre anni che qualsiasi altra cosa in tutta la mia vita».
«Dai, non esagerare adesso» mormorò imbarazzata e Reiner le ricordò, rapido: «L'alveare».
«Basta con la storia dell'alveare!» ringhiò, capricciosa, e provò a tirargli un paio di colpi alla spalla. Reiner ridacchiò divertito e non provò nemmeno a difendersi più di tanto, se non provando a scostarsi un po'. «Sul serio, Tris, che ti passa per la testa a volte?»
E lei, paonazza, sollevò in aria il libro che stava leggendo. «Sono una donna d'avventura, sono attratta dal pericolo».
«Sei tu il pericolo» continuò a ridacchiare Reiner e prese il libro che lei gli stava sventolando davanti. Curioso, iniziò a sfogliarlo. Era una storia di fantasia, un'avventura ambientata in un mondo completamente fantastico, dove un giovane guerriero con un piccolo gruppo di amici era stato assoldato dal Re per penetrare all'interno di una roccaforte infestata da alcuni mostri e portare in salvo la principessa. Era in realtà più una storia per ragazzini, il linguaggio usato non era nemmeno troppo ricercato, ma ne rimase comunque colpito. Era davvero un caso che avesse iniziato a leggere proprio quel libro in sua assenza?
Beatris si sporse in avanti, poggiandosi sulle proprie gambe, e si affacciò per riuscire a intravedere le pagine che Reiner stava leggendo. «Alla fine la principessa si unisce alla battaglia. Ha discendenza fatata, è dotata di poteri magici, ed è così di supporto al guerriero. Riescono a liberare insieme il mondo dall'infestazione dei mostri, che oltretutto tenevano prigionieri interi villaggi. Diventano degli eroi. Lei non è solo un trofeo da prendere e portarsi in giro, è in gamba. Mi piace molto».
No, decisamente non poteva essere un caso. Quanto tempo aveva perso in libreria prima di trovare qualcosa di simile? E quante possibilità c'erano che esistesse davvero un libro del genere? Riuscì improvvisamente a comprendere il suo buon umore: era riuscita a mettere ordine ai pensieri e aveva trovato una strada da seguire. La sua promessa, di non lasciarlo anche se avesse scoperto la verità, era decisa a mantenerla. Se ne sarebbe potuto rallegrare, una cosa come quella in un altro momento avrebbe potuto portarlo in cielo per la gioia, se solo le cose fossero davvero state così semplici come descritto dal suo libro di fantasia. Era felice di poterla tenere ancora vicino a sé, ma sapeva che le cose sarebbero state molto più complicate, da quel momento in poi. Non avrebbe dovuto abbassare la guardia e presto avrebbe di nuovo dovuto fare i conti con la realtà. Beatris era disposta a seguirlo, ma non aveva idea di dove quella strada avrebbe portato. Se avesse saputo che il suo obiettivo era di consegnare Eren a Marley, probabilmente non avrebbe scelto quel libro... e non avrebbe sorriso in quel modo. Era così ingenua. Ma per il momento l'avrebbe accettato così com'era. Sarebbe stato compito suo, di quel guerriero della storia di fantasia di quel libro, sistemare le cose e portare la pace. E magari mostrarle, un giorno, chi veramente erano i mostri contro cui avrebbero dovuto combattere. Ma avrebbe fatto un passo alla volta. Intanto, si sarebbe goduto quel sorriso che era tornata a sfoggiare, prima di vederglielo sparire di nuovo.
«Mi hai sul serio appena rivelato il finale?» le disse sottecchi e lei sobbalzò, colta di nuovo dall'imbarazzo. «Mi dispiace! Volevi leggerlo?»
«Avrei anche potuto, ma adesso che senso ha?» le chiese, fingendosi scocciato, e le diede indietro il libro. «Mi dispiace!» mormorò lei, sempre più nel panico. «Ma... magari non finisce proprio così! Magari ti ho mentito! In realtà succedono altre cose incredibili, cosa puoi saperne?!» un tentativo orribile per riparare al danno. Risultò sempre più imbranata, parola dopo parola, e proprio per questo anche sempre più adorabile. Reiner non riuscì a mantenere salda la maschera di offesa che aveva assunto e scoppiò a ridere, divertito dal suo fallimentare tentativo di rimediare all'errore.
«Sei veramente un disastro naturale, Tris».
«Ma io cosa potevo saperne?!» brontolò, imbronciata come una bambina. «Non sapevo che avrebbe potuto interessarti, non credevo nemmeno fosse il tuo genere».
«E che genere credevi potesse piacermi?»
«Non lo so! Manuali sul perfetto soldato!»
«Hai dato una sbirciata tra le mie cose, per caso?!» le chiese, corrugando le sopracciglia, e lei strabuzzò gli occhi chiedendo sorpresa: «Perchè?! Ce l'hai davvero?!»
E ancora Reiner scoppiò a ridere divertito.
«Moreau» un soldato della guarnigione si avvicinò a loro e li interruppe. «Il comandante Pixis mi ha mandato a chiamarti».
Non si sorprese della cosa, sapeva che Pixis voleva parlarle. Avevano terminato quel tardo pomeriggio di eliminare i giganti rimasti a Trost, probabilmente aveva finalmente trovato del tempo libero. «Ah, Sì! Arrivo!» esclamò, togliendosi frettolosamente la coperta dalle gambe. Lasciò il libro poggiato sul letto e si sporse per infilarsi le scarpe. Si alzò poi in piedi, prese la giacca dalla sedia poggiata al suo fianco e la indossò sopra la vestaglia, così da non essere totalmente in borghese, dovendosi incontrare con un comandante. Si voltò, infine, e fece un gesto a Reiner. «A dopo» e sorridendo si allontanò, seguendo il soldato.
Reiner ricambiò il saluto con una mano e restò a guardarla, mentre si allontanava. Si voltò infine a guardare il libro che lei aveva lasciato sul letto, pensieroso. Beatris aveva davvero accettato di seguirlo alla cieca in tutto quello? Inconsapevole di ciò che sarebbe successo nei prossimi tempi, inconsapevole di quale fosse il suo obiettivo, le sue radici, inconsapevole di ciò che le sarebbe aspettato. Nonostante tutto il male che aveva fatto sia a lei che a ciò che aveva di più caro. Gli riempiva il cuore, il suo desiderio di amarlo era tale da superare la paura e il rancore, da superare la razionalità di avere a fianco un assassino. Gli riempiva il cuore, ma quanto altro male le avrebbe fatto? Era davvero giusto, continuare a ingannarla in quel modo trascinandola in una guerra di cui neanche sapeva l'esistenza? Si corrucciò e infine si alzò. Quel libro le aveva dato l'illusione che sarebbe stato tutto semplice. Cominciò a detestarlo.
Beatris seguì il soldato fuori dall'ospedale, fino a una delle sedi d'appoggio della guarnigione. Entrarono, superarono un paio di corridoi, e bussarono ad una porta. Attesero la voce di Pixis che dava loro il permesso di entrare e infine fecero il loro ingresso. Con gran sorpresa, Beatris non si trovò davanti solo Pixis ma anche Erwin Smith, comandante del corpo di ricerca, entrambi seduti a un tavolo, con un paio di bicchieri davanti. In piedi, al fianco di Erwin, c'era anche il capitano Levi, il soldato più famoso degli ultimi tempi, forse dell'intera storia dell'umanità. Beatris sobbalzò, agitata all'idea di trovarsi di fronte alle cariche militari più importanti degli ultimi tempi, e si portò rapidamente un pugno al petto, cercando di raddrizzare la posa militare il più possibile.
«Moreau» salutò Pixis. «Come vanno le tue ferite?»
«Credo che il mio polso si prenderà un po' troppo del mio tempo, Signore. Il resto sono solo graffi superficiali» rispose Beatris, avvicinandosi alla loro scrivania per poter parlare meglio.
«Accomodati pure» le disse Pixis, indicando una sedia lì vicino. «Cerca di non affaticarti troppo».
«Sto bene» Beatris quasi balbettò, sentendo l'agitazione nascerle dentro sempre più. Era sola, in mezzo a tre titani del corpo militare, si sentiva come un cucciolo in mezzo a lupi feroci. Conciata in quel modo, che impressione stava facendo al comandante Erwin e al capitano Levi? «Ho riposato fino ad'ora. Ma accetto volentieri» aggiunse, sedendosi solo per la cortesia di non rifiutare. In realtà era così tesa che avrebbe volentieri preferito stare in piedi, per scaricare un po' di energia. Pixis prese una bottiglia di liquore dal suo fianco, si versò da bere e fece altrettanto col bicchiere di Erwin.
«Conosci già il comandante Erwin Smith del corpo di ricerca e il suo sottoposto Levi, giusto?» disse, mentre versava la bevanda.
«Certo» mormorò ancora lei, nervosa. «È un onore conoscervi di persona».
«Immagino l'avresti fatto a breve comunque. Volevi arruolarti nel corpo di ricerca, se non ricordo male» disse Pixis e lei non riuscì a non arrossire. Era veramente in condizioni pietose, era davvero così che si stava presentando a quello che sarebbe stato presto il suo comandante? Che razza di figura stava facendo?
«Un vero peccato, avrebbe fatto comodo alla guarnigione avere tra le sue file una ragazza caparbia come te» insisté Pixis, facendo aumentare ancora di più il rossore sul volto di Beatris. «Non riesco a comprendere queste lusinghe, ho solo agito come ritengo sia normale per un soldato agire» disse, sperando che la sua non fosse risultata solo come falsa modestia. In realtà non le capiva davvero, lei era un disastro sotto ogni aspetto.
«Spero solo che la tua fortuna ti possa accompagnare lì fuori e non se ne resti rintanata dentro queste mura, o finirai mangiata dal primo gigante. E questa volta per davvero».
La vergogna fu decisamente eccessiva, Pixis era in grado di lodarla tanto quanto denigrarla e quella storia che lei era uscita viva dalla gola di un gigante l'avrebbe sicuramente tormentata per l'eternità, ne era ormai consapevole. Non riuscì a rispondere e abbassò lo sguardo, in preda all'imbarazzo.
«Ti hanno tirata fuori viva dallo stomaco di un gigante» commentò Levi. «Notevole, tanto quanto disgustoso».
«Questa storia diventerà il nuovo alveare» borbottò tra sé e sé, infastidita.
«Mh?» mormorò Pixis, avendola sentita appena. «Alveari?»
E lei si lasciò sfuggire un risolino nervoso, prima di dire: «Brutti trascorsi con gli alveari, non c'entra niente. Scusatemi. Di cosa volevate parlarmi, comandante Pixis?» chiese, sperando di riuscire a cambiare argomento.
«Hai sempre l'abitudine di parlare da sola come gli imbecilli?» le chiese Levi e lei si sentì definitivamente sprofondare nella vergogna. Quanto avrebbe voluto darsela a gambe in quel preciso istante. Che razza di figura stava facendo?
«Lasciale respiro, Levi» l'ammonì Erwin. «Non ha ovviamente avuto una buona giornata».
«Chi ce l'ha avuta?» rispose Levi, di rimando. Ma fu comunque pronto ad obbedire e non insisté oltre.
«M-mi dispiace» borbottò Beatris, sentendosi in dovere di dare delle scuse. L'agitazione la stava tradendo, sentiva le mani fradice di sudore.
«Ho parlato con il capitano Rico» disse Pixis, riprendendo le redini della discussione. «Mi ha raccontato precisamente come sono andate le cose, con Eren Jaeger» e Beatris non riuscì a leggere sul suo volto se fosse contento o meno. Era riuscita a domare Eren e fargli portare il masso, ma prima di questo erano successe un paio di catastrofi che non sapeva quanto avessero potuto peggiorare la situazione.
«Pare che Jaeger all'inizio non abbia risposto ai comandi, era fuori controllo e ha tentato di uccidere sia te che Ackerman. È così che ti sei rotta quel polso?» chiese Pixis e Beatris, avvilita, annuì. «Sì, è andata così. Non era in sé e ci ha attaccati. Per questo il capitano Rico e il capitano Mitabi volevano annullare la missione, ritenendola fallita».
«Ma tu hai avuto un altro dei tuoi colpi di testa» proseguì Pixis e Beatris arrossì nuovamente. «Hai l'animo ribelle Moreau» ridacchiò e si voltò verso Erwin, prima di aggiungere: «Avrai una gran bella gatta da pelare. Ricordati solo di venire a raccontarmele, questa ragazza mi diverte particolarmente».
«Cerco solo di fare la cosa giusta» quasi sibilò Beatris, sentendosi sempre più atterrita e in preda al panico.
«Ti ho già raccontato, Erwin, di come ha provato a fermare l'attacco che Woermann aveva iniziato contro di loro appena sotto le mura, vero?»
«Sì, me ne hai già parlato» rispose semplicemente Erwin e Beatris si rese conto che da quando avevano iniziato l'incontro il comandante non sembrava averle tolto gli occhi di dosso nemmeno per un istante. La metteva a disagio, non si preoccupava di fissarla e studiarla apertamente. Era una caratteristica del comandante Erwin, aveva già sentito parlare del suo temperamento schietto, ma vederlo con i propri occhi era tutta un'altra faccenda. Si sentiva sempre più piccola, quasi minuscola.
Pixis bevette un lungo sorso del suo liquore e si lasciò andare a un verso compiaciuto, prima di riprendere a parlare: «Insomma, ti sei opposta personalmente agli ordini di ritirata dei capitani, li hai fronteggiati personalmente. Mh...» mormorò, alzando gli occhi al soffitto e cercando di ripescare alcuni ricordi: «"Ho già un'accusa di tradimento sulla testa, non peggioro la mia situazione se mi oppongo adesso", è così che hai detto?»
Il colore delle guance della ragazza raggiunse una tonalità quasi violacea, da quanto stava arrossendo. Ripensandoci a mente fredda, si era comportata da vera idiota. Ma aveva agito d'impulso, come sempre, e aveva finito ancora col fare pasticci. Non a caso Shadis, durante l'addestramento, la puniva almeno una volta a settimana per qualche suo colpo di testa. Non sarebbe mai uscita da quella maledizione, era destinata a fare sempre stupidaggini.
«Mi dispiace» mormorò ancora, non sapendo che altro dire.
«Rico non ne è stata molto contenta, devo dirtelo. Personalmente, mi sarebbe piaciuto essere presente e vedere la sua faccia» ridacchiò e bevette ancora.
«Shadis non deve aver fatto un bel lavoro con te, quel vecchio rimbambito si sta rammollendo» commentò Levi. Mentre Erwin la fissava come se la stesse smontando pezzo per pezzo per studiarla, Levi sembrava sul punto di volerle saltare al collo e prenderla a pugni. E la cosa triste era che Shadis l'aveva sempre fatto, di prenderla a testate, ma mai era servito a raddrizzarla.
«Sarebbe interessante vedere in che modo contribuiresti alla nostra avanzata» commentò invece Erwin e per la prima volta staccò gli occhi di dosso da lei. Si voltò a prendere il bicchiere che Pixis gli aveva riempito poco prima e ne fece ondeggiare un po' il liquido. «Credo che ad Hanji potrebbe fare comodo una persona fuori dagli schemi come te» e bevette un sorso.
«Il capitano Hanji Zoe?!» sussultò Beatris, strabuzzando gli occhi. Sul serio stava pensando di affidarla a lei? Un membro dell'élite del corpo di ricerca? Sul serio stava, anzi, pensando di accettarla e basta?!
«Fuori dagli schemi» rise Pixis. «Sì, è esattamente il termine che stavo cercando. Comunque...» si riempì un secondo bicchiere. Quanti ne aveva già bevuti? «Il capitano Ian pare essere rimasto colpito dalla determinazione tua e di Ackerman nel voler portare avanti la missione. E ti ha lasciato carta bianca. Da qui non ho altre informazioni ufficiali, se non che a un certo punto hanno visto Jaeger portare il masso alla breccia con te dondolante sotto la sua ascella come fossi un bell'ornamento» e rise ancora, prima di voltarsi verso Erwin e aggiungere: «Era bloccata lì. Sono dovuti intervenire Ackerman e Arlet per farla scendere, i testimoni hanno detto che sembrava un bel salamino stagionato nella cantina di un macellaio».
«Avevo il polso rotto e mi era caduto il manico sinistro dell'attrezzatura, per questo motivo non ho potuto tirarmi su» cercò di giustificarsi lei.
«Un vero spasso, te l'avevo detto» continuò a ridere Pixis e buttò giù, alla goccia, ciò che restava nel bicchiere. Era decisamente ubriaco, era davvero il caso che sostenere un colloquio in quelle condizioni? «Mi hanno riferito che rideva come una bambina a un parco giochi» continuò a ridacchiare Pixis, riprendendo a riempire bicchieri.
«Ero... solo felice della riuscita della missione» balbettò Beatris, corrucciandosi. Che razza di immagine stava dando di lei a Erwin e Levi? Era davvero il caso?!
«Lo credo bene» annuì Pixis. «Ti avevo ordinato di far funzionare Eren Jaeger e alla fine, contro ogni aspettativa del capitano Rico, ci sei riuscita».
E finalmente arrivò qualcosa di buono. L'espressione di Pixis, in quella frase, non sembrò nemmeno così ubriaca come era sembrata fino a quel momento. Che forse la sua idea di lei non fosse poi così orribile?
«Come ti avevo già anticipato, questo ti scagiona dalle accuse di tradimento. La tua punizione è ufficialmente finita, Moreau. Hai portato a termine la missione con successo, hai tutta la mia riconoscenza».
Beatris restò per qualche istante sorpresa, dopo tutte le premesse mai si sarebbe aspettata una conclusione tanto ottimale e piacevole. Si lasciò sfuggire un sorriso felice e raddrizzò la schiena, rendendosi conto solo in quel momento di essersi ingobbita per la vergogna. «La ringrazio, comandante Pixis!» disse, improvvisamente rianimata.
«È anche grazie a te se siamo riusciti finalmente a riprenderci Trost. Questo è un giorno memorabile, oggi abbiamo ottenuto la prima vittoria dell'umanità sulla minaccia dei giganti. Sei stata un tassello importante, rallegratene. Prendi» e Pixis le allungò un bicchiere pieno di liquore. «Brinda con noi».
L'idea di bere non la entusiasmava affatto, anche perché non aveva ancora avuto modo di cenare, ma rifiutare una concessione del comandante le era stato insegnato che era profonda maleducazione. Si sarebbe appena bagnata le labbra, solo per farlo contento. «Grazie!» disse e prese il bicchiere. Ne bevette un sorso e scoprì di aver appena fatto uno dei più grandi errori della sua vita. Il liquore le bruciò in gola come fosse fuoco vivo. Tossì istintivamente e si portò una mano alle labbra per evitare di sputare tutto davanti a sé. Pixis ridacchiò divertito e tirò giù un altro sorso. Beatris stava ancora cercando di riprendersi da quell'inferno, tossicchiando per riprendere a far funzionare la gola, quando Pixis rimettendo il bicchiere sul tavolo le chiese curioso: «Come hai fatto?»
«Come?» mormorò Beatris, confusa.
«Come hai fatto a farlo funzionare? Come hai spinto Jaeger a portare il masso alla breccia? Non sembrava in grado di capire cosa avesse attorno, come sei riuscita a domarlo?»
Con una semplicità disarmante, Beatris disse, con voce ancora roca per il bruciore alla gola: «Gli ho piantato la lama destra nella nuca. È rimasta lì quando si è rialzato e mi ha fatto cadere, per questo sono rimasta bloccata».
Pixis per poco non sputò il liquore con cui si era di nuovo bagnato le labbra. Sgranò gli occhi e li puntò a lei, guardandola a bocca aperta. Con gran sorpresa di Beatris, però, non fu l'unico a guardarla come fosse una psicopatica. Anche Erwin e Levi avevano spalancato gli occhi e la guardavano, sconvolti.
«Nel suo punto debole?» mormorò Pixis.
«Stupida, hai rischiato di ammazzare la nostra nuova arma?» le disse Levi e Beatris sussultò, come se si fosse resa conto solo in quel momento dell'errore madornale che aveva commesso. «Io... sì, credo di sì, ma...» balbettò, prima di rimettere ordine ai pensieri e soprattutto trovare il coraggio di giustificarsi. «Avevo visto Eren uscire da lì, la prima volta che si era trasformato. Ho cercato di non colpire il corpo, ma... magari di ferirlo solo perifericamente. In realtà non avevo intenzione di fargli del male» mormorò grattandosi la nuca, imbarazzata. «Non lo so perché l'ho fatto, ho sentito che fosse la cosa giusta. Non riusciva a sentirmi mentre gli parlavo e non si rigenerava per le ferite riportate inizialmente. Ho pensato fosse... svenuto o qualcosa di simile. Volevo solo svegliarlo» sospirò infine, affranta. «Sono stata incosciente, lo so. Ma...» e rianimata da un nuovo fuoco, tornò ad alzare lo sguardo e lo puntò a Pixis. «Non è per questo che ha affidato a me Eren? Perché sapeva che avrei potuto risolvere eventuali complicazioni col mio modo di pensare... fuori dagli schemi» mormorò le ultime parole, non troppo convinta di ciò che stava dicendo, ma era quello di cui era stata convinta fino a quel momento. Stava cominciando a considerare la sua avventatezza una qualità, più che un difetto, ci stava decisamente facendo troppo affidamento. Ma era quella l'impressione che le stavano dando tutti.
Pixis non rispose, ma lanciò a Erwin un'occhiata e sorrise sotto i baffi. Sghignazzò e bevette poi ancora. Erwin si girò verso Beatris, dopo aver intercettato lo sguardo di Pixis, e disse infine: «Che cosa sai della trasformazione in gigante di Eren?»
«Non molto, in realtà» tornò ad arrossire, prima di confessare debolmente. «La storia dell'esperimento che ho raccontato al capitano Woermann era una bugia, credo che il comandante Pixis gliel'abbia già detto. Era solo un modo per riuscire a tirarci fuori dai guai, è stata una sorpresa anche per me quando l'ho visto uscire da quella nuca».
«Puoi comunque raccontarci quello che sai» la stimolò Erwin.
«Io... ho visto personalmente Eren che veniva divorato da un gigante, durante l'evacuazione di ieri mattina. Ho creduto fosse morto, ho portato Armin, il mio compagno, in salvo e ci siamo riuniti agli altri. Dopo poco abbiamo visto arrivare questo gigante anomalo che uccideva gli altri giganti e non si curava di noi. Non sapevo che fosse Eren, ma abbiamo pensato di utilizzarlo a nostro vantaggio. Eravamo tutti a secco di gas e l'unità di approvvigionamento non si faceva vedere, il quartier generale era inoltre sotto attacco, era impossibile avvicinarci».
«È stata una tua idea?» chiese Erwin.
«È stata un'idea di Armin. Io l'ho aiutato a perfezionarla. Eren non ci teneva minimamente in considerazione, non potevamo comunicare con lui, perciò abbiamo provato a trattarlo come... un asino» mormorò e Pixis ancora rischiò di strozzarsi col liquore. «Abbiamo usato i giganti nei paraggi come fossero state le carote, se capisce che intendo. Li attiravamo su di noi, così Eren veniva a ucciderli e intanto ci seguiva. A pensarci ora è stato proprio stupido» continuò a mormorare, imbarazzata. «Ma ha funzionato! Siamo arrivati al quartier generale e siamo riuscito a liberarlo grazie all'aiuto di Eren. Noi siamo entrati a fare rifornimento e quando siamo usciti fuori abbiamo visto che i giganti lo stavano mangiando. Si è liberato da solo, combattendo, ma alla fine è caduto a terra stremato. E poi abbiamo visto Eren uscire dalla nuca. Era svenuto ma...» si corrucciò, pensierosa. «Gli era ricresciuto il braccio».
«Ricresciuto?» chiese Erwin.
«Quando era stato mangiato, Eren aveva perso il braccio! L'ho visto con i miei occhi cadere a terra, sono sicura che gliel'avesse strappato via. Anche perché quando poi l'abbiamo ritrovato la manica era strappata proprio a quell'altezza. Gli era ricresciuto il braccio!»
«Come le cazzo di lucertole» mormorò Levi, apparentemente disgustato da quel dettaglio.
«L'abbiamo portato al sicuro, oltre il muro di Trost e lì siamo stati fermati dal capitano Woermann. Ci hanno sparato addosso, nonostante avessimo provato a parlare e spiegare la nostra situazione, e lì Eren si è di nuovo trasformato per proteggerci».
«Sai in che modo?» chiese ancora Erwin.
«Ha detto che non lo sa come funziona, ma sente di poterlo fare e basta. Ha detto che ha solo pensato di volerci proteggere e poi si è morso una mano, e il gigante è nato con il braccio teso a fermare la palla di cannone. Però...» mormorò, di nuovo pensierosa. «Quel gigante è nato incompleto. E Eren in quel momento era pallido e stremato. Credo che la sua capacità dipenda anche dalle sue condizioni fisiche, Armin ha detto che forse trasformarsi gli consuma molte energie».
«Jaeger ha parlato di una cantina» parlottò Pixis, introducendo anche quel particolare.
«Ah, è vero» sussultò Beatris, ricordandosene. «Ci ha detto che mentre era incosciente ha ricordato un particolare di qualche anno fa. Suo padre gli ha fatto un'iniezione, prima di sparire, ed è convinto che sia per quel motivo che possa trasformarsi. A casa avevano una cantina che tenevano sempre chiusa, zio Grisha... suo padre, intendevo, prima di andarsene gli ha detto che gli avrebbe mostrato cosa c'era lì sotto quando Eren disse che avrebbe voluto arruolarsi nel corpo di ricerca. Ma poi quel giorno Shiganshina venne distrutta e non siamo più potuti tornarci. Eren ha la chiave però».
«È questa?» chiese Erwin, tirando fuori la chiave da una tasca.
Beatris annuì: «Sì, è lei. Abbiamo ipotizzato che le risposte che cercavamo potessero trovarsi lì, visto che è stato suo padre a fargli quell'iniezione».
«Tu sei sua parente, giusto?»
«Io e Eren siamo cugini, è esatto» confermò.
«Sei mai stata a casa sua?»
«Praticamente ci andavamo tutti i giorni, le nostre madri erano molto legate».
«E non sei mai andata in quella cantina, immagino».
Beatris negò:«Zio Grisha la teneva sempre chiusa, anche se...» e arrossì di nuovo, grattandosi la nuca. «Quello che nascondeva doveva essere veramente importante» mormorò, prima di spiegare, imbarazzata: «Quando ero più piccola provai ad entrarci. Ero curiosa, Eren mi parlava sempre di questa cantina misteriosa, volevo scoprire cosa ci fosse. Avevo visto una volta dei ragazzini aprire un lucchetto con un filo di ferro e ci provai anche io, anche se non avevo la più pallida idea di come si facesse» e Pixis ancora sghignazzò divertito, confermando probabilmente la sua idea che avesse a che fare con una vera ribelle. Beatris andava contro le regole fin da piccola. «Eren tentò di fermarmi e litigando davanti a quella porta ci facemmo scoprire dallo zio. Si arrabbiò molto, il che è stato strano... lui non si arrabbiava mai».
«Non c'è mai stato niente che ti abbia portato a scoprire qualcosa di più su quella cantina?» chiese ancora Erwin e Beatris sospirò: «No. Vedere lo zio così infuriato mi terrorizzò abbastanza da dissuadermi nel provarci ancora. Ho lasciato perdere».
Erwin e Pixis si scambiarono un altro sguardo, confermando ancora una volta chissà quale loro idea solo con quello, poi Erwin tornò a guardare Beatris. «Credi di riuscire a domare ancora Eren?»
Beatris alzò le spalle e disse, con tranquillità: «Posso provarci. Eren è scemo come un carciofo quando diventa gigante, basta capire come stimolarlo» e non si accorse che ancora una volta lo sguardo dei tre si aprì leggermente, sorpreso. La ragazza si trovava di fronte alle più alte cariche dell'esercito, eppure non si faceva problemi a esprimersi con naturalezza, quasi non facesse caso alla differenza di grado. Poteva essere sintomo di irrispettosità, o coraggio, o semplice spontaneità. Poteva essere qualcosa di molto negativo, o al contrario molto positivo, ma era sicuramente una figura singolare. Pixis aveva avuto le sue ragioni nell'interessarsi così a quella ragazza, nonostante i suoi scarsi successi accademici e la sua poca palese competenza. Aveva una mente aperta, andava molto oltre al semplice rigore militare, e forse proprio per questo riusciva a stuzzicare chi aveva bisogno di uscire dalle gabbie sociali e dal rigore per arrivare ai propri obiettivi. Sul campo di battaglia forse non sarebbe stata la migliore, ma avrebbe potuto portare comunque delle buone idee e soprattutto un atteggiamento positivo al cambiamento. Era ciò che serviva ad Erwin.
Le sorrise, dopo essersi preso qualche istante per riflettere, e infine le chiese: «Tu invece? Perché vorresti unirti al corpo di ricerca?»
«Io...» mormorò Beatris e la vergogna tornò a farle colorare le guance. Avrebbe davvero potuto ammettere al comandante Erwin che le sue motivazioni erano superficiali, come il semplice non voler restare sola e seguire i suoi amici? Che razza di figura ci avrebbe fatto? «Non saprei, a dire il vero» mentì, ma fu talmente poco convincente che nemmeno lei ci credette.
«Vuoi farti mangiare dai giganti e nemmeno sai il perché? Credi che sia un gioco?» la provocò Levi, infastidito più degli altri della palese bugia. Beatris sussultò e arrossì ancora di più. Si strinse nelle spalle e infine sospirò, rilassandosi. Non c'era niente da fare, Reiner aveva ragione, lei era terribile a inventare scuse. E mentire ai superiori, aveva già appurato, non portava mai a niente di buono.
«Sono solo una cadetta che si è diplomata oltre il primo quarto dei candidati, non ho mai avuto grande determinazione né grande forza. Non pensavo mi sarei mai trovata qui a dover giustificare le mie motivazioni, ho sempre pensato che sarei andata avanti come un'ombra, un numero in mezzo ad altri numeri. Mi dispiace deludere le vostre aspettative, ma non ho nessuna nobile ragione alle spalle» confessò, sapendo che questo avrebbe tagliato direttamente le gambe al rispetto che sembrava in quel momento volevano portarle. Probabilmente l'avrebbero addirittura disprezzata, Levi soprattutto sembrava quel tipo di persona. Ma a risponderle fu Erwin, con uno strano sorriso sul volto: «La maggior parte di noi si muove solo perché spinto da pulsioni personali, siamo tutti uomini che vivono la propria vita inseguendo i propri bisogni. Chi si affida alle nobili ragioni è il primo a mollare il colpo, perché sono motivazioni esterne a noi, non legate alla nostra storia, e perciò molto deboli. L'essere umano è egoista di natura, inseguiamo tutti un sogno, un'idea, un desiderio personale e nient'altro. Il tutto poi sta nel far coincidere i propri bisogni con quelli della comunità. Desiderio di vendetta, il sogno di una vita migliore, di scoprire la verità, il desiderio di libertà o di una vita agiata. Sono queste le motivazioni più frequenti, niente nobiltà d'animo. Il tuo qual è?»
«Io...» mormorò Beatris e alzò gli occhi al comandante Erwin, colpita dalle sue parole. «Non voglio restare sola, credo. Tutta la mia famiglia è morta nell'attacco a Shiganshina, mi sono rimasti solo Eren, Mikasa e Armin. Loro si arruoleranno nel corpo di ricerca, ho deciso di fare altrettanto solo per seguirli. Come un'ombra...» mormorò, tornando ad abbassare gli occhi. Era più squallida di quanto avesse immaginato, dirla ad alta voce dopo un così bel discorso la fece sentire ancora più piccola e misera. Ma riportare alla mente l'episodio di Shiganshina le riaccese qualcosa dentro. La sua famiglia era morta e lei aveva visto i suoi amici rischiare di farlo ormai innumerevoli volte, ed era ciò che le aveva dato la forza di muoversi. E adesso rischiava di perdere anche Reiner, al primo passo falso. La solitudine era dietro l'angolo e lei conosceva solo un modo per evitarla. Diventare come lui, diventare forte come Reiner, diventare forte come il suo titano e poter così lottare con e contro di lui. «No, in realtà... non come un'ombra» mormorò, prima di dire decisa: «Come una corazza. Non voglio perdere più nessuno, non voglio più stare a guardare mentre chi amo muore davanti ai miei occhi. Non voglio restare sola, perciò li seguirò e farò in modo che ciò che può ferire loro si scontri prima contro di me. Potrei non sopravvivere all'impatto, ma non ha importanza se dietro di me chi voglio proteggere potrà tornare a casa indenne. Io... voglio essere il loro muro, quando usciranno fuori da qui».
Erwin l'ascoltò con un'espressione imperscrutabile sul volto, ma non era molto diversa da quella mostrata fino a quel momento. Metteva in soggezione proprio per quel suo modo di fare, era inespressivo e sembrava sempre che stesse studiando la situazione, qualsiasi essa fosse. Non lasciava un solo attimo di respiro, faceva credere che di fronte a lui non ci si potesse rilassare nemmeno per un istante.
«Ti spiegherò adesso le nostre intenzioni» comunicò, infine, e Beatris lo guardò curiosa. «Vogliamo utilizzare di nuovo il potere di Eren Jaeger per chiudere la breccia nel Wall Maria e quella di Shiganshina. Riprenderci i territori persi, e infine andare a dare un'occhiata a quella cantina».
«Tornare... a Shiganshina?» mormorò Beatris con lo sguardo spalancato. L'idea di tornare a casa la faceva emozionare tanto quanto rabbrividire: sarebbe riuscita a mettere di nuovo piede nella sua città e non crollare? Probabilmente no, probabilmente si sarebbe sentita atterrita, ma voleva farlo lo stesso. Tornare a casa... e riprendere Kitty.
Erwin annuì. «È una fortuna che tu e Jaeger vogliate unirvi al corpo di ricerca, sarà facile così unire le nostre intenzioni. Penseremo noi a convincere il tribunale a lasciarci la custodia di Jaeger durante il processo, poi lavoreremo su questo obiettivo. Non abbiamo mai approcciato prima un umano in grado di trasformarsi in gigante, mentre tu sei riuscita persino a domarlo, per questo avremo bisogno del tuo supporto almeno nelle prime fasi. Ce lo darai, Beatris?»
Fremeva all'idea di tornare a casa, fremeva all'idea di prendere parte a quel piano che avrebbe cambiato le sorti dell'umanità, e certo non avrebbe lasciato Eren da solo in tutto quello. «Mi è stata affidata la responsabilità di farlo funzionare. Anche se la mia punizione è terminata, ho ancora quella responsabilità su Eren» comunicò, decisa. «Lo farò».
«Molto bene» sorrise Erwin. «Se mi concedi altro del tuo tempo, vorrei a questo proposito farti conoscere il capitano Hanji Zoe. Se riuscissimo ad ottenere la custodia di Eren, lavorerai insieme a lei alle sperimentazioni».
Erwin era gentile ed educato, le aveva parlato come fosse una richiesta, ma era ovvio che fosse un ordine. Faceva anche quello parte del suo temperamento, così come la sua abitudine a chiamare tutti per nome invece che cognome. Era un uomo piacevole, la metteva a suo agio. In ogni caso, Beatris non avrebbe certamente rifiutato. Perciò annuì e infine, dopo essersi congedati da un Pixis ormai decisamente troppo ubriaco, uscì seguendo Erwin e Levi per incontrare quella che sarebbe diventata la sua nuova caposquadra.Nda.
Ehy There! Capitolo transitorio, niente da aggiungere, niente di nuovo, ma abbiamo finalmente una Beatris che dopo tutti gli orrori vissuti alza la testa ed è di nuovo pronta a combattere. È decisa a combattere con e contro Reiner, a combattere per l'umanità, per Eren e la sua famiglia. Beatris si sta finalmente rialzando ed è pronta a fare un po' di casino :3È un momento importante, da qui in poi Beatris non farà che correre avanti e scontrarsi contro tutti... proprio come il corazzato, quando corse lungo le strade di Shiganshina fino a scontrarsi contro il Wall Maria. Beatris avrà la stessa forza della sua nemesi nel suo tentativo? O si farà distruggere da questo?
Vi lascio la canzone del capitolo che VI PREGO di ascoltare e leggere :3 è perfetta, mi piace un casino. È la dedica che Beatris fa a Reiner, adesso che è pronta a combattere. Lei è stata affascinata da lui, ma è forte ed è decisa a dimostrare che ciò che prova per lui non è sbagliato, che tutto quello può avere un senso. Gli chiede di metterla alla prova per dimostrare che lei... è una guerriera (lo sentite il parallelismo da brivido, sì? :P)
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I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no Kyojin
Hayran KurguIl boato che sfondava le sue finestre, il tremore della terra che la faceva cadere dalle scale, le urla di sua madre mentre correva a prenderla. Per le strade era il caos, riuscire a correre in mezzo alla folla senza separarsi era quasi impossibile...