Capitolo 55

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Un'esplosione. Un crollo. Non seppe cosa fosse appena successo, ma si sentì improvvisamente sbalzare via e delle macerie arrivarono a seppellirla. Tossì, sentendo la polvere in gola, e riuscì a rialzarsi pochi istanti dopo. La struttura tremò ancora, sentì chiaramente il rumore di un rombo sopra la sua testa. Un lampo di luce fuori dalla finestra della sua cella. Si guardò attorno, confusa. Che stava succedendo?
Un ruggito e altri crolli. Tutto tremava.
«Stanno combattendo?» mormorò Beatris, riuscendo a riconoscere il rumore dei giganti. Che cosa era successo? Pieck e Eren avevano iniziato a combattere? Perché? E Gabi? Cosa ne era di Gabi? Si alzò da terra, togliendosi di dosso alcune delle macerie, e si voltò verso la porta decisa a lanciarsi contro di questa, provare a sbirciare fuori, ma non ce ne fu bisogno. Il crollo aveva aperto una breccia. Corse verso questa, guardando fuori. C'era un enorme buco che partiva dal pavimento, proprio al confine con la sua cella e la breccia, e portava dritto sul soffitto. Era stato sfondato? Qualcosa da sopra? Un colpo? O forse... un altro gigante, nascosto all'interno? Pieck aveva detto che c'erano suoi compagni appostati in giro. E se si fossero infiltrati proprio nella base militare?
Qualsiasi cosa fosse successa, una cosa era chiara: la guerra era appena cominciata. Non sapeva che cosa fosse successo a Gabi e soprattutto non sapeva ancora dove si trovasse Falco. Era con loro al ristorante, forse era stato portato via insieme al resto dei suoi compagni. Se così era, allora poteva trovarsi lì, in quella base, in qualche cella. Guardò fuori dalla breccia e cercò un appiglio: la voragine era troppo ampia, ma sotto di sé poté vedere il corridoio del piano di sotto. Si aggrappò al pavimento e si calò verso il basso. Ondeggiò, cercando di darsi uno slancio, e riuscì a raggiungere il pavimento con un salto. Prese a correre, non sapendo nemmeno lei dove andare, ma conosceva vagamente quella base militare. Ci era stata almeno una volta, durante i suoi giorni di libertà vigilata al ritorno da Marley. L'unica cosa che riuscì a pensare era che doveva raggiungere le celle: da qualsiasi luogo avesse potuto iniziare a cercare, quello era il luogo più ragionevole. Corse lungo il corridoio, arrivando alla scalinata che portava verso il basso e intercettò un numeroso gruppo di soldati che salivano. Si fermò, paralizzata, sapendo di essere nei guai. Ma assurdamente questi non la degnarono neanche di uno sguardo. Era una fortuna, ancora una volta Eren le stava dando involontariamente un vantaggio.
Corse, scendendo fino alle celle sotterranee. Più andava verso il basso e meno soldati trovava, ormai quasi tutti all'esterno, e quando arrivò nelle prigioni non trovò ormai più nessuno. Aprì una porta, che portava alle celle, e si trovò davanti in quel momento un soldato. L'unico rimasto a guardia.
«Ehy!» esclamò, sorpreso, e d'istinto alzò il proprio fucile su di lei. Beatris agì d'istinto, trovandosi la canna del fucile puntata alla faccia, e con un calcio, trovandosi qualche scalino più in alto, deviò la traiettoria un istante prima che sparasse. Un altro calcio e spinse il soldato giù dalle scale. Questo rotolò giù, sparò un altro colpo per inerzia, ma quando arrivò in fondo smise di muoversi. Il suo collo spostato dal suo asse in maniera innaturale significava solo che non era sopravvissuto. Beatris ansimò, ancora terrorizzata, ma riprese poco dopo a correre. Si piegò sul soldato ucciso e recuperò il suo fucile e le chiavi che portava attaccate alla cintura. E infine arrivò di fronte alle prime tre celle. Piene zeppe.
Si bloccò, sorpresa di vedere così tanti uomini: Eren aveva incarcerato un gran numero di soldati a lui contrari, era assurdo. Più li guardava e più si rendeva conto di quanto fosse ormai disperata la sua situazione: non c'era alcun modo di farlo ragionare. Ormai Eren era perduto per sempre, se vedeva in tutti loro dei nemici.
«Tris!!!» sentì gridare da una cella adiacente e spostando lo sguardo riuscì a vedere Jean, sporto oltre le sbarre. Al suo fianco anche il resto dei suoi compagni. Gli corse incontro e lanciò subito un rapido sguardo all'interno della cella, sondando tutti quei volti. Erano lì, quasi tutti i suoi compagni erano lì, insieme persino alla famiglia di Sasha che aveva avuto la sfortuna di trovarsi in quel ristorante quel giorno.
«Adele...» mormorò sorpreso il signor Blouse, guardandola affannata e armata.
«Non mi chiamo Adele» rispose lei, semplicemente, guardando ancora sconvolta le persone dietro quelle sbarre. Erano tutti lì... ma non Falco.
«Bea!» la chiamò Armin. «Che sta succedendo?»
«Non lo so... ma sono sicura che Marley sia qui» rispose.
«Sono qui?! Di già?» esclamò Armin, spaventato.
«Tris! Facci uscire!» la chiamò Jean e questo parve destarla. Prese le chiavi che aveva raccolto dalla guardia e si avvicinò di un passo, pronta ad aprire la porta, ma improvvisamente si fermò. E tremante indietreggiò di un passo.
«Che stai facendo?» le gridò Jean.
«Voi...» mormorò Beatris, cominciando a tremare. «Proteggerete Eren?»
«Certo che lo faremo! Non possiamo permettere che muoia» le disse Armin, convinto che quella fosse la risposta giusta. Ma si sbagliò, e questo lo terrorizzò. In quell'istante Beatris ritirò la mano che sorreggeva le chiavi, dimostrando così di non volerli liberare.
«Ma che ti prende?! Apri subito questa porta!» le disse ancora Jean.
«Ma...» mormorò Beatris, senza riuscire a guardarli negli occhi. «Ma se noi lasciassimo Eren morire... tutto questo non avrebbe fine?»
Un brivido li colse tutti, tanto che alcuni fecero uscire dalle loro gole un lamento. Che intenzioni aveva? Che diamine le stava prendendo?!
«Sei impazzita?!» gridò Mikasa, schiacciandosi contro le sbarre. «Vuoi davvero che Eren muoia?»
E Beatris alzò in quel momento lo sguardo su di loro, mostrando così la sua espressione disperata e piena di panico. Gli occhi lucidi, pieni di lacrime, sul punto di scoppiare. «No, certo che non lo voglio!» mormorò, tremante. Aveva davvero pensato una cosa come quella?!
«Bea, ascolta... non sei lucida in questo momento, è ovvio» le disse Armin, più tranquillo. «Ma rifletti: se Marley prendesse il Fondatore sarebbe la fine per tutti noi».
«Ma loro non sanno usarne il potere» continuò a mormorare, sempre più in preda alla confusione.
«Potrebbero trovare il modo e comunque noi non avremmo più niente per difenderci dai giganti!» esclamò Connie, affacciandosi di fianco a Jean. E Beatris lo guardò sempre più confusa, sempre più terrorizzata. Aveva ragione, avevano tutti ragione. Ma in che altro modo avrebbero potuto fermare quella follia? In che altro modo avrebbero potuto fermare Eren? Non potevano imprigionarlo, era troppo forte, e nessuno sarebbe più riuscito a farlo ragionare. Lui ormai era perduto. Salvarlo, significava continuare quella guerra... ma era giusto lasciarlo nelle mani di Marley? Dar loro il potere di spazzarli tutti via?
«Tris» Jean la chiamò improvvisamente più tranquillo, l'unico che in quel momento sembrava aver messo da parte il panico di vedere Beatris di nuovo disposta a voltar loro le spalle. Forse l'unico in grado di comprenderla, l'unico che fosse sempre stato in grado di farlo. «Che cosa farai?» le chiese semplicemente. Non le disse cosa era giusto, lui voleva solo sapere come si sarebbe mossa d'ora in avanti. Quale posizione avrebbe preso?
E Beatris esplose definitivamente: «Io non lo so!» pianse. «Non ci capisco più niente! Qualsiasi cosa faccia è sempre tutto sbagliato, qualsiasi cosa accada va sempre tutto male, qualsiasi scelta non è mai quella giusta! Io... non lo so più. Jean... che cosa devo fare?» singhiozzò, stringendosi al petto le chiavi della loro cella.
Era come quel giorno, a Shiganshina, quando aveva sentito di aver perso ogni cosa. Non sapeva più come muoversi, non sapeva più come sopravvivere a tutto quello, era disperata... e chiedeva il suo aiuto.
Che cosa devo fare, Jean?
Lui poteva aiutarla, lo aveva sempre fatto, era sempre stato al suo fianco in qualunque momento, anche quando non riusciva a comprenderla. E non aveva mai fatto altro che fidarsi. Aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno del suo aiuto e lui non avrebbe mai smesso di darglielo. Non avrebbe mai smesso di offrirle la sua schiena dove nascondersi e piangere di dolore per un nemico in punto di morte. Si indurì nello sguardo, deciso. Se era del suo aiuto che aveva bisogno, lui non poteva non darglielo. Lo avrebbe sempre fatto!
«Adesso devi combattere, Tris!» le disse, come quel giorno a Shiganshina. E Beatris parve smettere di tremare, affogando nello sguardo pieno di coraggio e determinazione di Jean. «È questo il momento! Non puoi fermarti proprio ora. Devi muoverti, Tris. Devi combattere, adesso! È questo il tuo momento!»
Lei... non poteva paralizzarsi e restare a guardare. Non ancora. Per quanto facesse male, per quanto facesse paura, lei doveva muoversi. E non per il bene del mondo, non per l'umanità, ma per se stessa. Quello era il suo momento. Jean non le aveva parlato di Eren, non le aveva parlato del Fondatore, lei lo sapeva... glielo leggeva nello sguardo. Quello era il momento in cui avrebbe dovuto lottare per se stessa, potendo finalmente farlo. E anche se non poteva prevedere l'esito di tutto quello, anche se non sapeva se sarebbe sopravvissuta o meno, cosa sarebbe successo, lei non poteva restare a guardare.
Adesso devi muoverti, Tris!
Infilò la chiave nella serratura e infine aprì la porta della cella. Presi dalla fretta dell'ennesimo scossone alla struttura, il gruppo di soldati uscì correndo verso l'esterno e precipitandosi verso il piano di sopra, dove sapevano che avrebbero trovato le loro attrezzature. Beatris si fece da parte e li lasciò correre via, guardandoli. Connie, Armin e Mikasa avanzarono di qualche passo, pronti a seguirli, ma poi si voltarono a guardare Beatris. Jean le si fermò davanti e le mise una mano sulla spalla.
«Jean, io...» mormorò, addolorata. Lei non voleva farlo, non voleva combattere quella guerra. Non si sarebbe fermata a guardare, ma lei non era nata per combattere guerre. Lei era nata per proteggere chi aveva di più caro, era quello il suo unico obiettivo. E in quel momento non poteva far a meno di pensare a cosa fosse successo a Gabi e Falco... era quella la sua missione. Lei era così... lei era egoista. E faceva un gran male, soprattutto sapendo come l'avrebbero presa i suoi compagni. Ma Jean la stupì con un dolce: «Lo so».
Alzò lo sguardo su di lui e trovò sul suo viso un sorriso intenerito. «Non preoccuparti, penseremo noi a Eren. Solo non uscire di qua con quel banale fucile, non sopravviveresti a lungo».
Spostò lo sguardo sul resto dei suoi amici, e per quanto ci fosse tristezza nei loro volti, consapevoli che lei non avrebbe combattuto al loro fianco, nessuno di loro sembrò recriminarla di niente. Ma parvero tutti, assurdamente, comprensivi.
«Io...» mormorò.
«Lo sappiamo» sospirò Connie. «Non sei mai stata dalla nostra parte, in fondo».
«No! Non è questo!»
«Ci sta bene» la interruppe Armin. «Fintanto che non sarai nemmeno contro di noi» aggiunse, poco convinto. Non era sereno della cosa, sembrava più che ci stesse sperando, e Beatris sentì dentro sé l'urgenza di spiegarsi, capendo che loro temevano fosse corsa da Reiner piuttosto che aiutarli. Ma Reiner non centrava, dovevano saperlo! Dovevano sapere che lei non era loro nemica. «Io devo trovare Falco! Ho... promesso di riportarlo a casa sano e salvo. Lui è qui?»
«Falco?» mormorò Connie, scambiandosi uno sguardo con i propri compagni. «È quel bambino che era al ristorante?»
«Lui è solo un ragazzino» aggiunse Beatris, animata delle sue convinzioni. «È solo un'altra vittima di questo mondo, io... io voglio solo aiutarlo. Non è cattivo».
«No, certo che no» sospirò Jean.
«Credo lo abbiano portato nella cella al piano di sopra» disse Armin. «Aveva ingerito del fluido spinale di Zeke, con quel vino che gli era caduto in bocca quando è stato colpito al ristorante da Nicolò».
«Cosa?!» sbiancò Beatris. «Fluido...» mormorò, confusa.
«È così che riesce a trasformare la gente in gigante e a comandarli» spiegò Connie. «Come ha fatto con la gente del mio villaggio. Gli fa bere quella schifezza e poi gli basta urlare. Ne aveva nascosto un po' nel vino, molti degli ufficiali lo avevano bevuto, sono stati messi tutti insieme».
Un altro crollo, la struttura vacillò pericolosamente e questo ricordò loro l'urgenza di muoversi.
«Io devo portarlo fuori da qui» disse semplicemente Beatris, voltandosi per correre alla successiva rampa di scale, che avrebbe portato alle celle superiori. Non aveva tempo da perdere, qualche crollo avrebbe potuto ucciderlo. Alla storia del fluido ci avrebbe pensato dopo, ora doveva solo trovarlo e portarlo via da lì. In quella città si stava scatenando il putiferio, potevano sentire all'esterno degli spari, oltre che i ruggiti dei giganti... più di uno, sicuramente. Erano tutti lì. Marley era lì e la guerra era appena iniziata. Non poteva lasciarlo solo in mezzo a quel caos.
«Tris!» la richiamò Jean, preoccupato. Beatris si fermò e si voltò a guardarlo, per ascoltarlo. Jean schiuse le labbra, pronto a dirle di non fare pazzie e fare attenzione, ma si bloccò.
Sei tu la pazzoide! Forza, fai qualcosa di pazzo e risolvi questo casino!
Giusto... lei era la pazzoide che risolveva i problemi facendo cose pazze. Glielo aveva sempre detto, affidandosi a quel suo assurdo potere, perché sapeva che funzionava sempre. Quando Beatris faceva qualcosa di folle e sconsiderato vinceva sempre.
Le sorrise, fiducioso. «In bocca al lupo, pazzoide».
E Beatris riuscì a sciogliersi lentamente, sorridendogli a sua volta. Quel soprannome... era assurdamente il più dolce che avesse mai avuto. Era il soprannome che Jean le aveva affidato ed era il suo modo personale di dirle che si fidava di lei. Ancora, nonostante tutto.
«Prometto che vi raggiungerò. Risolvo questo casino e torno da voi».
«Non portare i tuoi casini con te, però, ne abbiamo già abbastanza per conto nostro» le rimbeccò Connie, ma le rivolse comunque un sorriso. Beatris spostò lo sguardo su Mikasa e Armin, decisa a rivolgere anche a loro, soprattutto a loro, la sua promessa. E i due la colsero. Annuirono, determinati.
Loro tre, insieme a Eren, avevano cominciato tutto quello insieme. Lo avrebbero concluso insieme, lo sapevano. Qualsiasi cosa fosse successa, loro sarebbero rimasti sempre insieme. E Beatris, ormai carica di determinazione, corse via, diretta alle celle superiori.
Come le avevano indicato, e come sperava, trovò lì Falco, insieme al resto degli ufficiali.
Non appena aprì la porta della cella vide Falco guardarla con occhi sorpresi, ma anche felici.
«Signorina Beatris...» mormorò, tremante. Beatris non restò immobile, gli corse incontro e lo abbracciò, disperata. Non si prese più che qualche secondo, solo il tempo necessario a scaricare un po' la tensione. Lo prese per le spalle e lo guardò in volto, chiedendogli: «Stai bene?»
«Io...» mormorò Falco, avvilito, e si guardò il fazzoletto nero legato al bicipite: il segno che indicava la presenza del liquido spinale nel suo corpo.
«Troveremo un modo» gli disse Beatris rapidamente, prima di rialzarsi e guardare il resto degli ufficiali e dei soldati. «Ascoltatemi! Non sono ancora uscita, non so cosa stia succedendo, ma sono sicura della presenza di Marley all'interno delle mura. C'è una battaglia in corso, lì fuori, e certo restare qui dentro non vi aiuterà a restare in vita. Comandante Nile» si voltò verso l'uomo al suo fianco e gli porse le chiavi. «Faccia uscire tutti quanti, dovete mettervi in salvo».
Nile prese le chiavi e annuì convinto. «Forza, fuori di qui!» ordinò e tutti presero a uscire. Ma un uomo si avvicinò a Beatris e Falco, chiamandola con fermezza: «Moreau».
«Comandante Pixis!» esclamò Beatris, notandolo solo in quel momento. Notò il fazzoletto al suo braccio e mormorò, dispiaciuta: «Anche lei...» ma si interruppe e sospirò, arrendevole: «No, dovevo immaginarlo».
Se c'era qualcuno all'interno delle mura che poteva aver ceduto a del banale vino ovviamente Pixis doveva essere stato il primo, con quel suo vizio di bere in qualsiasi occasione, persino nei momenti peggiori. Pixis ignorò la sua velata allusione e le disse semplicemente: «Sei cresciuta molto». Un complimento, un modo semplice e poco espressivo di ringraziarla per quello che stava facendo.
Beatris sospirò, abbattuta. «No, non così tanto. Non ho perso certi vizi, a quanto pare...»
Ancora dava priorità alle proprie battaglie, rispetto che al mondo intero. Le parole di Eren non l'avevano ancora abbandonata, se le portava sulle spalle come un pesante fardello.
«Spirito di sacrificio e istinto di sopravvivenza. Me lo ricordo bene» sorrise Pixis, assurdamente divertito data la terribile situazione in cui si trovavano. «Sapevo che ne avresti combinate un bel po', non ho mai smesso di trovarti veramente spassosa».
«Ha un bizzarro senso dell'umorismo, comandante» mormorò Beatris, perplessa. Quell'uomo era davvero assurdo, ma era il motivo per cui era diventato comandante, probabilmente. Riusciva a vedere cose dove altri non erano in grado.
«Sì, può darsi» disse Pixis, voltandosi per uscire dalla cella insieme al resto dei suoi uomini. «Ma non ho cambiato idea sul tuo conto. Sai pensare fuori dagli schemi, hai l'animo ribelle e questo ti ha permesso di arrivare fino a qua, sbaglio? Anche se con qualche livido di troppo, ma quello ormai non mi stupisce più».
«Io...» mormorò Beatris, sorpresa. «Sì, credo di sì».
«Molto bene» annuì Pixis. «Siamo in una situazione disperata, come successe a Trost. Mi affido alla tua fortuna, Moreau. Spero possa accompagnare anche noi, questa volta» sospirò, guardandosi il fazzoletto al braccio, e infine uscì.
Beatris sospirò, abbattuta. Era riuscita a cogliere la tristezza che avviliva il comandante, nonostante la sua fermezza nemmeno lui era lontano dal pericolo, ma c'era invischiato completamente. Sbagliava ad affidarsi a una come lei, soprattutto in una situazione come quella. Ma non avrebbe voluto dirglielo, deluderlo proprio a un passo dalla fine. La ricordava bene la sensazione che le aveva dato quel giorno. Pixis era stato il primo, escludendo i suoi amici d'infanzia, a darle piena fiducia e credere nelle sue capacità nonostante la sua debolezza. Non lo avrebbe dimenticato. Le aveva dato la forza di combattere, la forza di sconfiggere la sua scarsa autostima. Tutto era partito proprio da lì. Forse Pixis aveva ragione, quando l'aveva conosciuta era molto più timorosa e poco combattiva. Era davvero cresciuta, ma non sapeva in che modo e se questo fosse stato positivo o meno. Erano così lontani quei giorni, quando credeva che avere un obiettivo nobile fosse la cosa a cui aspirava di più.
«Andiamo, Falco» disse e lo prese per mano, accompagnandolo fuori dalla cella, seguendo il resto degli ufficiali fino alla sala centrale, dove tutti si stavano raccogliendo.
«Ascoltatemi!» urlò Pixis, da in cima alla scalinata. «Abbiamo un numero limitato di attrezzature per il movimento tridimensionale. Chi non porta il fazzoletto nero ha la priorità ad equipaggiarsi! Invece gli ubriaconi che sono caduti nella trappola del nemico mi seguano! Andremo in prima linea ad affrontare gli invasori!»
«Sissignore!» urlarono i soldati, prima di scattare e mettersi in marcia.
«Moreau» si voltò Pixis e la guardò deciso. «Fallo funzionare».
«Cosa?» mormorò Beatris, spalancando gli occhi.
«Tu sei in grado di farlo. Eren Jaeger è sotto la tua piena responsabilità, al momento è fuori controllo perciò sta a te. Scacciare gli invasori non basterà a fermare questa situazione, dovremo trovare il modo poi di placare Eren e questo spetta a te. Fallo funzionare. È un ordine».
Come quel giorno a Trost... si affidava davvero a qualcosa successo anni prima? Non era certamente la stessa cosa. Lei ci aveva provato, ci aveva provato davvero a far funzionare Eren questa volta, ma non c'era riuscita. Non poteva più riuscirci. Era tutto sbagliato, la fiducia del comandante era sbagliata, anche perché lei non aveva alcuna intenzione di fronteggiare Eren, non in quell'occasione. Il suo obiettivo era diverso.
«Io... non...» mormorò, avvilita, ma Pixis non l'ascoltò più e si incamminò.
«Che significa che tu puoi farlo funzionare?» chiese Falco, confuso.
«Io non posso riuscirci...» mormorò Beatris, abbassando lo sguardo addolorata. «Lascia stare, Falco. Pensiamo a te, adesso. Devo tenerti in salvo e voglio trovare anche Gabi, non ho idea di che fine abbia fatto» cominciò a incamminarsi verso l'armeria. «Mi dispiace, comandante Pixis. Questa volta non posso obbedire ai suoi ordini» sospirò tra sé e sé. E seguì i pochi uomini che non avevano il fazzoletto nero al braccio, arrivando così al deposito delle attrezzature. Si cambiò rapidamente, abbandonando gli abiti da civile e indossando la divisa. Si sistemò l'attrezzatura per il movimento tridimensionale addosso, ma a differenza del resto degli uomini non indossò il nuovo equipaggiamento. Si avvicinò ai vecchi sistemi, quelli con le lame, e si armò con quelli. Non aveva avuto modo di esercitarsi molto col nuovo sistema, anche se Jean glielo aveva insegnato ed era riuscita a usarlo durante l'attacco a Marley. Ma la sua esperienza maggiore era col vecchio sistema di movimento, si sentiva più a suo agio con quello. Tanto, non aveva in programma di prendere parte alla guerra. Lei doveva solo trovare il modo di volare via, portare lontano Gabi e Falco, e aspettare che tutto finisse. In un modo o un altro. Lei non poteva combattere contro Eren e nemmeno contro Marley... quella non era la sua guerra. Non lo era mai stata. Lei era la traditrice, l'egoista che pensava solo a se stessa... e che non aveva avuto il coraggio di sparare a Eren, sapendo che sarebbe stata la scelta migliore. Sospirò e guardò la fascia marleyana che Reiner le aveva donato. L'unica cosa che sentiva la rappresentasse davvero, in quel momento. Il simbolo del suo tradimento e del suo egoismo. Sì, lei era quella.
La indossò sopra la divisa, senza preoccuparsi di destare sospetti o far parlare il resto dei soldati. Non le importava.
«Con quello al braccio potrebbero scambiarti per una nemica» le fece notare Falco, preoccupato che avessero preso lei di mira durante il combattimento.
«Non importa» gli rispose Beatris e di nuovo lo prese per mano, accompagnandolo fuori. «Tanto lo sono sempre stata. Sono nemica di chiunque, qui dentro, che siano di Marley o di Paradis. Andiamo a cercare Gabi».
E uscirono infine dalla base. Ciò che videro fu anche peggiore del previsto: ovunque c'erano spari, ovunque c'erano morti e urla. Civili ci andarono di mezzo, soldati nemici o amici stramazzavano al suolo, e non troppo lontano potevano vedere case cadere a pezzi coinvolte nel combattimento tra i giganti. Non riuscirono a vedere quali giganti fossero coinvolti, nascosti oltre gli edifici, ma sapevano che non potevano perdere tempo a guardare. Erano al centro del mirino.
«Di qua!» gridò Nile, facendo a Beatris cenno di seguirli in una via traversa. Prima che dei massi arrivassero a loro, lanciati dal gigante bestia più avanti, vicino al muro, riuscirono a spostarsi e correre via.
«Moreau! Lascia il bambino a me, unisciti al resto degli uomini» le ordinò Nile, correndo lungo una strada insieme a un piccolo gruppo di soldati.
«Non lo farò» rispose secca Beatris, senza preoccuparsi di violare degli ordini.
«Moreau!» gridò Nile, contrariato.
«Crede davvero che a una criminale come me interessi di violare degli ordini!» ruggì Beatris, fulminandolo.
Ho già un'accusa di tradimento sulla testa, non credo che la mia situazione possa peggiorare se mi rifiuto in questo momento.
Più ci pensava e più se ne rendeva conto. Era esattamente come quel giorno a Trost, niente sembrava essere cambiato. Persino la sua ostinazione a seguire la sua strada, a scapito degli ordini dei superiori. Non era cambiata. Lei era ancora una ragazzina, una bambina capricciosa ed egoista, ed Eren aveva maledettamente ragione.
Quanto lo detestava!
Digrignò i denti. «Vi aprirò la strada dall'alto!» decretò e fece scattare il proprio meccanismo di movimento, spiccando il volo e lasciando Falco dietro di sé. Salì su di un tetto e si guardò attorno. Nemici marleyani sulla sinistra, in avvicinamento. Se Falco avesse avuto la sua fascia al braccio forse si sarebbero fatti remore a sparare, ma così sembrava solo un bambino come un altro, avrebbero potuto scambiarlo per un nemico di Paradis. Scattò nella loro direzione e si nascose tra i vicoli, volando bassa per non farsi vedere. Sbucò alle loro spalle e con un rapido colpo di lame riuscì a ucciderne un paio. Qualcuno provò a spararle e sarebbe riuscito a prenderla, se uno dei massi lanciati da Zeke non lo avesse centrato. Volò via appena in tempo per schivarlo, evitare di farsi coinvolgere dal colpo e tornò vicino a Nile e Falco, volando sopra le loro teste.
«Di qua! La via è più sicura!» disse ai due, svoltando dentro una via secondaria. Se avessero proseguito nella direzione precedente si sarebbero trovati assediati dai nemici e spaventosamente vicino a Zeke. Da dei dirigibili sopra le loro teste caddero bombe e altri soldati, qualcuno di questi volò nella loro direzione e puntò loro le armi, pronto a fare fuoco. Per quanto Beatris fosse in grado di volare in alto, non sarebbe mai arrivata a loro, doveva trovare il modo di proteggersi. Ma alle sue spalle Nile e il suo gruppo spararono con i propri fucili e riuscirono ad abbatterne un paio.
«Proseguì, Moreau! Ti copriamo!» urlò Nile, incentivandola ad attaccare.
«No, aspetti Signorina Beatris!» gridò Falco, preoccupato per quelli che erano i suoi compagni, ma non riuscì quasi nemmeno a finire la frase che uno di questi gli sparò addosso da sopra un tetto. Lo mancò per poco, Nile fu costretto a tirarlo indietro, e Beatris digrignò i denti. Non voleva farlo, non voleva uccidere ancora, tutto quello era insensato. Ma che altra scelta aveva? Usare la diplomazia non era mai servito a niente, provare a parlare non era mai servito a niente. Tutto ciò che faceva era sbagliato, provare a restare pacifica non era mai servito a niente. Si lanciò all'attacco, coperta dal fuoco di Nile, e uccise altri soldati marleyani. Volò oltre una casa, si lanciò verso l'alto, e vide un gruppo di soldati correre in una via perpendicolare. Li avrebbero intercettati, ed erano numerosi. Deviò, tornò indietro e atterrò vicino a Nile.
«Di là! Ne arrivano molti, nascondetevi!» indicò, ma Nile le spinse Falco addosso.
«Non siamo qui per nasconderci!» disse, impugnando il fucile e preparandosi a mirare laddove Beatris gli aveva indicato l'arrivo del nemico. «Portalo lontano da qui! È questo il tuo obiettivo, no? Avanti, proseguite, vi copriamo noi!»
«Comandante Nile...» tentò di parlare Beatris, contrariata all'idea che quel gruppo si sparasse addosso, ma Nile la fulminò, rabbioso. «Vai!» gridò e Beatris capì che non poteva fare niente per fermarli. Erano in guerra, avrebbero combattuto, e in fondo la salvezza di quelle persone non era la sua priorità. Lei era l'egoista che pensava solo a se stessa...
E in quel momento la sua unica preoccupazione era Falco. Lo prese per mano e iniziò a trascinarlo, lontano, infilandosi in un vicolo.
«Perché sta succedendo tutto questo?» mugolò Falco, sempre più avvilito.
«Non chiedertelo, Falco. Non troveresti mai una risposta sensata» gli disse Beatris, continuando a correre. Sbucarono in una via parallela, ma in quel momento altri soldati marleyani li videro, appostati su dei tetti, e gli spararono addosso. Arretrarono, tornarono nel vicolo e riuscirono così a salvarsi.
«Di qua!» sfondò una finestra al suo fianco e si infilò all'interno di una casa. Corsero lungo il salotto e uscirono da una porta, dentro un'altra via. Corsero ancora, scappando da un altro gruppo di soldati e sopra le loro teste compagni di Paradis volarono nella loro direzione e spararono loro addosso, prendendoli per nemici. Ovunque andassero erano spari, colpi e morte. Non sembrava esserci una via di fuga, erano costretti a deviare continuamente, correndo verso nemmeno loro sapevano dove. Dovevano solo allontanarsi dalla battaglia in qualche modo. Un altro soldato marleyano si affacciò a una finestra e puntò loro contro il fucile. Beatris ebbe prontezza di sparare contro di lui uno dei suoi rampini e lo colpì in pieno petto. Riavvolse lo spago, lo trascinò giù e continuarono a correre. Una casa venne sfondata al loro fianco e un gigante atterrò davanti ai loro occhi, lanciato via dalla battaglia. Lo riconobbero appena in tempo per vederlo alzarsi e lanciarsi nuovamente in avanti, verso il nemico. Galliard, il gigante mascella era lì e stava combattendo. Attraversarono la voragine che aveva aperto con la sua caduta e andarono oltre, ma non si trattennero dal lanciare uno sguardo verso la strada da cui era provenuto, per vedere cosa stesse accadendo. E fu proprio Beatris a rallentare e poi fermarsi, con gli occhi spalancati. Eren era in mezzo alla via, ormai quasi del tutto distrutta, intento a combattere contro Galliard che continuava a lanciarsi su di lui, ma anche contro il gigante corazzato.
«Reiner...» mormorò, sentendo ogni muscolo paralizzarsi.
Anche lui era lì, a pochi metri da lei. Lo vide sferrare un pugno verso Eren, lanciarlo via, ma venir colpito poco dopo da alcune formazioni rocciose nate dal terreno: il potere del gigante martello, assimilato da Eren. Lo vide proteggersi, invano, mentre una di questi spuntoni rocciosi lo colpirono e riuscirono persino a sfondare la sua corazza, penetrando nel petto e bloccandolo. Alcuni spari li raggiunsero, da sopra le mura: il gigante carro, armato con mitragliatrice anti-gigante, mirò a Eren e riuscì a colpirlo, ma Zeke lanciò qualche altro dei suoi massi e colpì a sua volta sia Reiner che Galliard. Era una carneficina e non riusciva a capire chi fosse in vantaggio su chi. Ma lui era lì, poteva vederlo... forse poteva anche raggiungerlo. Un masso di Zeke lo colpì in pieno viso, disintegrando la sua corazza su tutto il lato destro della faccia. Restò in piedi, ma mai l'aveva visto così ferito. E se fosse morto lì? Davanti ai suoi occhi?
Ti prenderò sempre, Reiner.
La sua promessa... doveva mantenere quella promessa, prima che lui fosse potuto morire. Lui l'aveva aspettata. Falco glielo aveva detto. Non poteva lasciarlo solo in tutto quello, lei doveva correre a prenderlo prima della fine. Fece un passo nella sua direzione, sentendo il suo istinto urlarle di andare da lui. Farsi almeno vedere, fargli sapere che ci stava ancora provando, che non l'aveva dimenticato. Quella poteva essere la fine di tutto, doveva andare da lui. Ma spostandosi riuscì a tornare in contatto con se stessa e sentì la mano di Falco ancora stretta nella sua. Si voltò a guardare il ragazzino con gli occhi spalancati, come se si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza. Erano nel pieno di una guerra... aveva davvero intenzione di lasciarlo solo per correre da Reiner?
Falco la guardò terrorizzato. «Qui... siamo scoperti» mormorò, rendendosi conto di essere in pieno campo aperto. Dovevano muoversi, spostarsi... andarsene.
Perdi la ragione tutte le volte che c'è di mezzo Reiner, la tua è un'ossessione, Tris!
Lo era davvero. Jean aveva avuto ragione, qualche giorno prima. Perdeva sempre la ragione quando c'era di mezzo Reiner, non ci capiva più niente. Ma lei era così... lei...
Per questo sei tanto ossessionata dal ritrovarlo, per questo continui a combattere contro il mondo intero. Sei totalmente accecata dal tuo egoismo, non ti importa niente degli altri.
Le parole di Eren... riusciva a sentirle nella sua testa rimbombare come gli spari che li circondavano. E il ruggito dei giganti, nella loro battaglia, non era abbastanza forte da sovrastarle. Lei era così, Eren aveva ragione. Una bambina egoista che pensava solo a se stessa, decisa a voltare le spalle a chi aveva sempre creduto in lei solo per inseguire i suoi capricci. Lo era davvero, lo sapeva. Anche in quel momento, avrebbe abbandonato Falco per raggiungere Reiner. Lo voleva davvero.
«Mi dispiace» mormorò, con gli occhi lucidi di lacrime. E corse... trascinando Falco, lontano dal campo di battaglia. «Reiner... resisti ancora un altro po', ti prego» mormorò tra sé e sé, correndo lontano da lui. Quelle parole, le parole di Eren... erano vere? Sì, lei era una bambina egoista e capricciosa, ma non aveva mai voluto esserlo. Lei amava davvero Reiner, la sua non era una malattia, non era un'ossessione, e non era innamorata solo di se stessa. Non lo era! Eren si sbagliava!
Lei voleva davvero salvare quante più vite possibili, almeno di quelli a cui era legata di più. E Falco non lo avrebbe mai abbandonato. Era più forte di lei, più forte di qualsiasi follia. Lei aveva promesso di riportarlo a casa!
Superarono un vicolo, allontanandosi dal campo di battaglia, e fu quello il momento in cui riuscirono a intercettare finalmente un volto amico. Gabi e Colt, nascosti dietro una casa, li guardarono sconvolti e preoccupati. Colt impugnò il suo fucile e lo puntò immediatamente alla testa di Beatris, ora di nuovo ferma, pronto a spararle. Quella donna se la ricordava, e come allora aveva la divisa del nemico addosso, anche se con quella fascia marleyana al braccio.
«No, Colt, aspetta!» gridò Falco, mettendosi davanti a lei per proteggerla. «Ci sta aiutando! Non è nostra nemica!»
«Ha ucciso dei compagni!» gridò Colt, tenendola sotto tiro.
«Sì, è vero» si intromise Gabi, prendendolo per un braccio e provando a tirarlo via. «Ma non combatte contro di noi! È stata costretta a farlo, non ucciderla!»
«Gabi...» mormorò Colt, sorpreso. «Perché la difendi?»
«Possiamo fidarci di lei, vuole solo aiutarci!» disse anche Falco. Dei passi non troppo lontani li distrassero: qualcuno correva nella loro direzione. Beatris corse all'interno del vicolo dove erano nascosti Colt e Gabi e trascinò Falco con sé. Aprì una porta alla sua sinistra e fece loro cenno di entrare. «Presto! Di qua!»
«Andiamo!» disse Gabi, prendendo Colt per un braccio e correndo dentro la casa insieme a Beatris e Falco. Si lanciarono sotto la finestra, si nascosero e attesero che i passi andassero oltre, superandoli.
«Di qua!» sentirono dire da qualcuno, dietro la finestra sotto cui erano nascosti. E riconobbero solo in quel momento una voce familiare: era Nicolò. «L'uscita dalla città sarà sicuramente bloccata, non abbiamo altra scelta che cercare un posto sicuro e rinchiuderci fino a quando la battaglia non sarà finita».
«Mia, Ben e Adele saranno riusciti a scappare vero?» una seconda voce conosciuta. La signora Blouse era con Nicolò e forse con loro anche il resto della famiglia.
«Sono sicuro che staranno bene, sono forti» disse il signor Blouse.
«Perché preoccuparsi di chi ha ucciso mia sorella?» e infine Kaya, fredda, glaciale ma profondamente triste. «Non posso perdonarli. Vorrei ucciderli con le mie mani».
Gabi abbassò lo sguardo, sentendo le lacrime minacciare di uscire. Kaya... era assurdo, ma si era persino affezionata a lei. Kaya le aveva detto che la credeva un'amica... loro erano amiche. Ora l'odiava. E aveva tutte le ragioni per farlo. Si rannicchiò, cercando di lottare con la tristezza che le opprimeva il petto, il senso di sconforto e solitudine, ma una mano l'avvolse per le spalle e la trascinò da un lato. Cadde sul petto di Beatris, tirata dalla sua presa, e si rese conto che dall'altro lato anche Falco aveva ricevuto lo stesso trattamento. Beatris li strinse a sé, affondando il volto tra i loro capelli, e la sentirono quasi tremare per la forza che desiderava imprimere in quella stretta. Non disse niente, ma bastò a farli sentire meglio. Loro, qualsiasi cosa sarebbe successa, non sarebbero mai stati soli. Ma forse proprio per questo Gabi non riuscì a trattenere un singhiozzo.
«Gabi...» mormorò Falco, preoccupato.
«Non c'era nessun demone su quest'isola... solo persone. Ora sono riuscita a capirlo» mormorò Gabi.
«Mi dispiace, Gabi» le mormorò Beatris tra i capelli.
«Ora riesco a capire i sentimenti di Reiner, capisco perché dai tuoi racconti, Beatris, sembrasse così felice e contemporaneamente così disperato. Se me lo avessi raccontato prima, è vero, non sarei riuscita a comprenderlo».
«Tu... conosci il vice-capitano Braun?» mormorò Colt, capendo poco di quanto stesse accadendo. Ma venne ignorato, perché Gabi riprese a lamentarsi, stretta nell'abbraccio di Beatris: «Sul dirigibile... io mi sono arrampicata e... è sempre la stessa storia che si ripete! Mi dispiace, Falco... sono stata io a trascinarti in tutto questo».
«Io ho contribuito all'attentato a Liberio, senza sapere che quell'uomo fosse Eren Jaeger» mormorò Falco, altrettanto abbattuto, deciso a rivelare la verità.
«Cosa?» mormorò Gabi, sconvolta. Alzò il volto dal petto di Beatris e cercò gli occhi di Falco.
«Lo andavo sempre a trovare in ospedale, si fingeva un soldato ferito. È così che ho conosciuto la signorina Beatris» spiegò. «E le ho consegnato io la lettera dove Jaeger le diceva di andare a chiamare i suoi compagni».
«Ho sempre provato a fermarlo, speravo di farlo ragionare» sospirò Beatris. «Mi dispiace aver portato il nemico in casa vostra, è stata colpa mia. Ma volevamo riportare Eren a casa, sano e salvo. Il nostro non era un attentato, era un'operazione di salvataggio. È colpa mia se i vostri amici sono morti...» confessò anche Beatris, sciogliendo l'abbraccio per permettere loro di allontanarsi e poterla guardare in volto. «Eren è mio cugino, siamo cresciuti insieme, in questa città. Io... volevo salvarlo, anche da se stesso, ma non ci sono riuscita. Mi dispiace, Falco, Gabi... non ho mai fatto altro che collezionare fallimenti nella mia vita, avete messo le vostre vite nelle mani della persona sbagliata».
«Perché ti sei incaponita così tanto nel salvarci?» le chiese Falco.
«Perché...» mormorò Beatris alzando gli occhi al soffitto e un intenerito sorriso le si disegnò sul volto. «Voi due mi ricordate così tanto noi. Ho visto Gabi, al cancello, piena di euforia e felicità. Sei rumorosa, come lo ero io un tempo. Sei riuscita a far sorridere Reiner per un istante... anche io ci riuscivo. E tu, Falco, hai la sua stessa ostinazione e dolcezza nel voler proteggere a ogni costo ciò che ti è più caro, anche a costo della tua stessa vita. Mi avete rimandato indietro con gli anni, a quando eravamo anche noi semplici ragazzini pieni di vita e speranza. Vedervi mi riempie di malinconia e felicità allo stesso tempo. E ho capito che così come noi eravamo vittime degli eventi, dovevate esserlo anche voi... non volevo che viveste il nostro stesso destino. Incastrati in questo mondo crudele che punisce chi non ha colpe se non quella di essere nato».
Loro erano simili. Gabi e Falco, le ricordavano lei e Reiner nel passato. Loro due, nei loro tempi più felici, quando erano semplici innamorati e non nemici destinati a uccidersi a vicenda. Gabi non riuscì a trovarci una grossa attinenza, ma a Falco aprì in verità una finestra. La storia di Reiner e Beatris gli avrebbe dovuto insegnare qualcosa, adesso lo capiva: forse un giorno anche loro non avrebbero più avuto modo di parlarsi ancora, e quel giorno poteva essere quello stesso. Il fazzoletto nero intorno al suo braccio era una sentenza imminente, avrebbe non potuto avere altre occasioni.
«Gabi, lei ha ragione. Sono stato ostinato nel proteggerti, perché sei ciò che mi è più caro» disse con una strana sicurezza, per niente intimorito da ciò che stava dicendo. Niente avrebbe potuto fare più paura della morte. «Volevo essere io a ereditare il gigante corazzato perché volevo che tu vivessi una lunga vita. Perché tu mi piaci e... avrei voluto sposarti» e abbassò lo sguardo, sentendo il rossore dell'imbarazzo sul volto cominciare a farsi strada.
«Eh?» mormorò Gabi, arrossendo improvvisamente. E restò immobile per qualche secondo, paralizzata, sconvolta.
Beatris guardò Falco con occhi sgranati, sorpresa dal suo improvviso coraggio. Glielo aveva detto veramente? Così apertamente? Si voltò a guardare Colt, alle spalle di Gabi, e anche lui ricambiò quello stesso sguardo sorpreso e incuriosito. Ed entrambi sembrarono chiedersi per un istante se non fossero di troppo.
«Ma...» balbettò Gabi, fissando il volto sempre più rosso di Falco. «Che stai dicendo?»
«Visto che potrei diventare un gigante da un momento all'altro, ho preferito dirti tutto» e gli occhi di Falco cominciarono a inumidirsi, atterrito da quella verità. Lui rischiava di diventare un gigante in qualsiasi momento. Rischiava di perdere tutto.
Gabi si allungò verso di lui e afferrò con rabbia il fazzoletto che teneva al braccio. Lo strappò via, decisa. Non lo avrebbe accettato. Non avrebbe accettato di vederlo sparire così! Non dopo quello!
«Andiamo! Cerchiamo Zeke!» disse, determinata.
«Eh?» mormorò Falco, confuso.
«Se Zeke saprà che hai ingerito il fluido spinale, forse non userà l'urlo» annuì Colt, alzandosi e dirigendosi verso la porta da cui erano entrati. Gabi lo seguì immediatamente, determinata a seguire quell'unico e folle piano che avevano. Beatris si alzò poco dopo, decisa a seguirli, e si voltò verso Falco, ancora in ginocchio a terra. Gli allungò una mano e gli fece un enorme sorriso incoraggiante. Un sorriso che lui non aveva mai visto prima sul suo volto. Era scaldante, luminoso come il sole stesso, e per un istante gli parve di vederla ringiovanita di qualche anno. Più simile a un'allegra ragazzina, piuttosto che a una donna avvilita dalla vita. Tirò su col naso, sentendo il pianto farsi strada e afferrò la sua mano, pronto a seguirla.
«Sei stato bravo» gli sussurrò, affiancandolo. E Falco arrossì di nuovo. Beatris ridacchiò, divertita, e infine uscì dalla casa. Sì, era incredibile, ma la famiglia Grice aveva davvero il potere di rasserenarla e farla di nuovo sorridere. Ora più che mai non desiderava che poterlo riportare a casa, insieme a Gabi. Felici.


«Colt!» gridò Beatris, cercando di sovrastare il frastuono della battaglia. «Seguite me, posso indicarvi la via più sicura dall'alto!»
«Arriveremo proprio al centro del ciclone, sarà il caos» commentò Colt, preoccupato.
«Fate attenzione, allora, restate nascosti dietro le case» e si allontanò di un paio di passi, cercando dei primi appigli per spiccare il volo. Ma Colt allungò una mano verso di lei e la chiamò: «Aspetta, Adele!»
«Lei si chiama Beatris» gli dissero in coro Gabi e Falco, in una sorta di rimprovero.
«B-Beatris...» si corresse Colt, imbarazzato per essere stato ripreso così dai due ragazzini. Sembrava che la cosa fosse particolarmente importante, visto quanto ci avevano tenuto a specificarglielo. «Io... vorrei ringraziarti, prima. Per aver cercato di proteggere Gabi e Falco».
E Beatris gli rispose con un enorme sorriso. Lo stesso sorriso solare e incantevole che aveva rivolto poco prima a Falco, un sorriso che le apparteneva ma che chissà da quanto tempo non aveva tirato fuori. E senza dire altro, fece scattare il proprio meccanismo e si lanciò verso l'alto, atterrando su un tetto di fianco. Riuscì a vedere gran parte della città da quell'altezza, e vide la situazione attuale. Il gigante Mascella era a terra, apparentemente distrutto. Il gigante Carro vaporizzava sul muro, ma non riusciva a vedere bene cosa avesse intorno, avvolto ancora da troppo vapore. Al centro della strada principale Eren e Reiner erano ancora impegnati a lottare. Zeke, vicino al muro, era steso a terra. Ferito gravemente. E tutto intorno a loro il resto dei nemici non facevano che spararsi addosso, tra marleyani ed eldiani di Paradis. Le strade erano prese d'assedio, i cieli invasi dai suoi compagni di Paradis intenti a muoversi col movimento tridimensionale.
«Di là!» gridò, affacciandosi oltre il tetto per indicare a Colt la strada da percorrere. «Non è libera, ma sono pochi! Vi aprirò la strada!» disse e corse via, decisa a lasciare Gabi e Falco nelle mani di Colt. Si lanciò contro alcuni soldati marleyani, impegnati a combattere con i suoi compagni di Paradis, e riuscì a intromettersi. Distraendo i primi, tagliandogli la gola nel tentativo di volare in mezzo, il resto vennero abbattuti dai suoi compagni. Lanciò uno sguardo alla strada indicata a Colt per poi voltarsi a guardare i suoi compagni di Paradis. «Qui è pulito!» disse. «Andate di là, date supporto alla squadra dall'altro lato della strada!»
«Ok!» dissero e volarono via, lontani da Colt. Beatris tornò a correre, tornò a volare e si lanciò contro altri soldati di marley, uccidendoli insieme ad un'altra squadra di Paradis. «Con me! Ne ho visti altri!» gridò a questi, per portarli lontani dalla strada percorsa da Colt. Sapeva che non stava facendo esattamente il gioco pulito, stava uccidendo i loro compagni, nonostante l'intenzione amichevole. Ma ormai non esisteva più nemico o amico, per lei erano tutti ostacoli. Guidò il suo gruppo di compagni lontano, dirigendosi dall'altro lato della strada principale. Ma deviò, quando vide un uomo di Paradis volare proprio in direzione di Colt. Tornò indietro e si lanciò su di lui, appena in tempo per vederlo puntare la propria arma contro Colt, pronto a sparare. «Nemico! Qua!» gridò, cercando supporto. Ma Beatris gli fu addosso, gli volò davanti e con un colpo netto di lama gli recise il polso che sorreggeva la pistola prima che questa avesse potuto sparare. Un gruppo di tre soldati di Paradis sbucarono in quel momento sopra di loro, allertati dal richiamo del compagno.
«Beatris!» esclamò Gabi, preoccupato nel vedere che puntavano a lei.
«È quella ragazza! Si mescola tra noi, attenti! Sta dalla parte di Marley!» gridò uno di questi puntandole la pistola contro. Beatris prese la pistola dalla mano mozzata del compagno e scappò appena in tempo dentro una casa lì vicino, evitando così di essere colpita, ma venne inseguita. Gabi provò a tornare indietro, intenzionata a intervenire, ma Colt la fermò: «Lasciala andare! Non metterti in pericolo! Ci siamo quasi!»
«Andate avanti, provo ad aiutarla!» gridò Gabi e si scrollò di dosso la presa di Colt, fuggendo via. «Gabi!!!» la chiamò Falco, terrorizzato dal suo ennesimo colpo di testa. Ma Gabi si infilò dentro un viottolo e corse via, senza dar loro tempo neanche di capire che intenzioni avesse.
«Andiamo, Falco!» lo tirò Colt, intenzionato a non far scappare pure lui. E corse via, proseguendo.
Beatris si lanciò oltre la casa dentro cui era entrata e sparò i propri rampini a una casa di fronte, cercando di sfuggire, ma il gruppo di soldati di nuovo le fu sopra e le sparò addosso. Deviò all'improvviso e si lanciò contro una finestra, entrando nella casa successiva. L'impatto non fu dei migliori, i vetri della finestra la tagliarono in più punti, ma così almeno era sopravvissuta al fuoco. Sentì un leggero fischio e vide in quel momento entrare dalla stessa finestra una lancia fulmine. Sgranò gli occhi allarmata: ci andavano giù così pesanti con lei?! Si voltò e corse via, verso la finestra successiva, provando a raggiungerla prima che fosse potuta esplodere. Ci arrivò, ma non fece in tempo a uscire che la casa saltò in aria. Venne scaraventata fuori dalla finestra, dritta nella strada principale. Proprio di fronte a Reiner e Eren, che ancora combattevano. Si voltò a mezz'aria, ancora cosciente nonostante sentisse dolore ovunque per le ferite dell'esplosione, e cercò un appiglio. Voltandosi riuscì infine a vederlo. A pochi metri da lei, Reiner era sopra il gigante di Eren, ormai quasi del tutto a pezzi, sovrastato. E lei gli stava passando proprio davanti al volto, nell'istante in cui stava per colpire di nuovo Eren in viso con un pugno. Beatris sgranò gli occhi, rendendosi conto dello sguardo del gigante che si sollevava da Eren a lei... ed ebbe come la sensazione che esitasse nel pugno che aveva già caricato contro il nemico a terra. Non c'erano dubbi: Reiner l'aveva vista. Per la prima volta dopo quattro anni erano di nuovo l'uno di fronte all'altro.
E forse sarebbe stata anche l'ultima. Sopra di lei, volavano ancora i soldati di Paradis che l'avevano inseguita. Uno di questi era appena stato colpito da un colpo di fucile, sparato da chissà chi, ma gli altri avevano tutti già le armi puntate nella sua direzione, pronti a finirla. Beatris premette il grilletto della propria attrezzatura, cercando qualcosa a cui appigliarsi per non cadere al suolo, per volare via dalla traiettoria delle pistole del nemico, ma non funzionò. Un click sordo e nessun rampino partì, mentre ormai lei era in piena rotta di collisione verso il suolo. L'esplosione della lancia fulmine doveva aver danneggiato la sua attrezzatura.
Guardò con occhi sgranati i nemici sopra di lei, come fosse uno sciame apocalittico. Non c'era modo per lei di scappare. E li vide, come se tutto fosse improvvisamente rallentato, premere il grilletto delle loro pistole. La scintilla dentro la canna, mentre il proiettile veniva sparato nella sua direzione. Pronti a crivellarla di colpi.
"No". La gola le si chiuse. "Non così". Gli occhi lucidi di lacrime.
Sarebbe morta. Lì, in quell'istante, a un passo da Reiner. Senza alcun senso, senza essere riuscita nemmeno a rivolgergli ancora la parola. Sarebbe morta così, davanti a lui, dopo essere riuscita solo a rivolgergli appena uno sguardo. A un passo da lui. Tanto da poterlo sfiorare.
"Non così". Non poteva nemmeno avere il tempo di piangere. Ormai era tutto finito. I proiettili volavano nella sua direzione.
"Reiner!"
Un'enorme mano si frappose tra lei e i colpi appena sparati e si prese al suo posto quei proiettili, ma contro la sua armatura non poterono fare altro che rimbalzare con delle scintille. Un colpo di braccio e Reiner spazzò via il gruppo di soldati, lanciandoli lontani, mentre con l'altra mano riusciva a raggiungere Beatris e afferrarla al volo. La strinse appena, la portò ad altezza del terreno, e la lanciò lontano, verso un vicolo sicuro. Non fu delicato, Beatris rotolò per qualche metro sul terreno, ma riuscì a sopravvivere e soprattutto si ritrovò abbastanza distante dal campo di battaglia da ritenersi al sicuro. Si schiantò contro qualcosa, sentì un rumore di ferraglia che cadeva al suolo e soprattutto un lamento femminile.
«Beatris» la chiamò Gabi, tentando di alzarsi dopo essere stata travolta. Al suo fianco, caduto a terra, c'era un fucile anti-gigante che aveva rubato chissà dove. La ragazzina si rialzò velocemente e si avvicinò a Beatris, per controllare come stesse. Era a pezzi, ferita ovunque, ma era ancora viva. Beatris non riuscì a rispondere se non con un lamento dolorante e Gabi provò a sorreggerla, aiutarla a rimettersi in piedi, quando sentirono alle loro spalle Colt gridare: «Signor Zeke! La prego, aspetti, non urli! Falco ha bevuto il suo fluido spinale! La prego, non mi sembra il tipo di persona che coinvolge dei bambini! Non dico di non usare la sua arma, ma aspetti perlomeno che riesca a portare Falco lontano dalla sua portata, la prego!»
Beatris si sollevò su di un gomito, aiutata da Gabi, e guardò la scena a occhi spalancati. Erano riusciti ad arrivare fin lì, ce l'avevano fatta, ma la vera domanda era: Zeke li avrebbe ascoltati? Lui... era davvero il genere di persona che non coinvolgeva i bambini?
Un nodo le si formò in gola. No, non era così! Zeke aveva ucciso anche dei bambini, non si era fatto scrupoli. Ma forse, con Falco, che lo conosceva... poteva essere diverso?
«La prego!» insisté Colt. «Poi potrete essere liberi di uccidervi a vicenda quanto volete, ma non coinvolga mio fratello, la prego!»
«Colt» parlò il gigante Bestia. «I tuoi sentimenti verso tuo fratello li comprendo bene» e lentamente si sollevò da terra su di un braccio, prima di sentenziare: «Per questo, mi dispiace molto».
E lo videro aprire la bocca... pronto a urlare.
«No!» gridò Beatris, lanciandosi sul fucile anti-gigante ai loro piedi. Lo impugnò, si voltò e caricò il colpo in canna, mirando Zeke. Ma non fece in tempo... non appena si voltò, il gigante Bestia lanciò un urlo che fu talmente potente da squarciare l'aria stessa. E un'esplosione avvolse Falco e Colt, accecando sia Gabi che Beatris, impedendole di mirare a Zeke. Ma soprattutto paralizzandola tanto che non avrebbe saputo sparare neanche se ce lo avesse avuto proprio davanti.
La città si riempì di lampi e rombi, squarciando l'aria, facendo tremare la terra stessa. Ma non sentirono niente, nient'altro, se non il ruggito di Falco ora trasformato. Proprio davanti a loro.
«Falco!!!» gridò Gabi, scoppiando a piangere. Beatris, ancora stesa a terra con il fucile tra le mani, sentì improvvisamente ogni muscolo perdere il proprio vigore. Guardava il volto del gigante di Falco, sconvolta, paralizzata come la bambina che era stata un tempo. E lasciò la presa sul fucile.
«Falco...» sibilò in un lamento. Era tardi, troppo tardi. Lei aveva esitato un secondo di troppo. Avrebbe dovuto fidarsi del suo istinto, uccidere Zeke subito col fucile di Gabi, senza aspettare... senza sperare nel buon cuore di un uomo che evidentemente non ne aveva. No, Zeke non risparmiava nemmeno i bambini, nemmeno i suoi stessi compagni. Perché? Perché non aveva provato a fermarlo? Perché aveva preferito ascoltare Colt, fidarsi della sua fiducia verso quell'uomo? Era arrivata tardi... aveva perso Falco e Colt era morto, coinvolto nell'esplosione della trasformazione. La famiglia Grice, quella famiglia che era stata l'unica ad essere stata in grado di ridarle il sorriso quando credeva di averlo perso per sempre, era stata sterminata. Davanti ai suoi occhi.
«Falco» gracchiò il gigante Bestia. «Fallo. Uccidi Reiner».
«Cosa?!» sobbalzò Beatris ed ebbe appena il tempo di metabolizzare l'ordine, che vide Falco lanciarsi su Reiner. Il ragazzino tentò di morderlo ma Reiner riuscì a fermarlo, e lo spinse a terra. Eren, bloccato fino a quel momento, gli sfuggì a causa della sua distrazione, e provò a correre verso Zeke, ma Reiner lo prese per una caviglia. Lo tirò a terra, ma perse presa su Falco che tornò ad attaccarlo, tentare di morderlo.
E Beatris tremò, passiva spettatrice. Sempre più disperata, sempre più tremante. Che cosa doveva fare? Proteggere Reiner? In che modo? La sua attrezzatura era rotta... ma aveva il fucile. Poteva sparare a Falco.
No... non avrebbe mai potuto farlo. Forse sparando a Zeke? Ma a che sarebbe servito? Ormai Falco era un gigante, in che modo avrebbe potuto riportarlo indietro?
E se... avesse sparato a Eren?
«No...» si portò le mani alla testa, stringendo le dita tra i capelli. Non poteva farlo. Non poteva fare niente. Lei non aveva mai potuto fare niente.
«Che cosa devo fare?» pianse, ormai incontrollata.
Un colpo di fucile provenne da sopra le mura, e il collo di Zeke venne colpito in pieno da uno dei proiettili anti-gigante sparato dal gigante Carro. Ma Armin e Mikasa lo attaccarono, comparendo alle sue spalle in quel momento, ed eliminarono gli utilizzatori del fucile. Reiner tentò di afferrare Eren, in fuga, ma questo aprì un varco a Falco che infine gli si aggrappò al collo e tentò di morderlo alla nuca. Nel suo punto debole. Tentò di masticarlo, senza riuscire a penetrare nella sua corazza, quando dal corpo fumante del gigante Mascella venne fuori un ragazzo ormai dilaniato. In fin di vita. Porko Galliard camminava loro incontro.
«Ormai non posso rigenerare più le mie ferite» lamentò questo. «Nelle memorie di mio fratello Marcel ho visto come ha ingannato l'esercito per farti diventare Guerriero, Reiner. Per proteggermi». Vide Falco abbandonare improvvisamente la nuca di Reiner e lanciarsi su di lui, a bocca spalancata. Reiner tentò di prenderlo, di fermarlo, ma non riuscì ad arrivare in tempo. «In questo modo sarà chiaro, no?» disse Galliard, guardando Reiner. «Che sono io il migliore fino alla fine».
E restò immobile, mentre Falco si lanciava su di lui... e infine lo divorava.
Con un urlo rabbioso, Reiner si voltò nuovamente verso Eren, di nuovo bloccato sotto di lui, e gli sfondò definitivamente il cranio con un pugno. E colpì, colpì ancora, fuori controllo, accecato dalla rabbia. E più sentiva Reiner urlare, più Beatris sentiva l'incubo inghiottirla. Era impotente. Non poteva fare niente. Non poteva salvare nessuno. Lei era sempre la stessa bambina di allora. Persino in un momento come quello tutto ciò che riusciva a fare era restare ferma, paralizzata, a piangere. Senza avere la forza di muovere un solo muscolo. Era tutto sbagliato. Quel mondo era tutto sbagliato e lei non riusciva ad aggiustarlo nemmeno provandoci con tutta se stessa.
Perché faceva sempre le scelte sbagliate? Perché non riusciva a capire che semplicemente restando a guardare, sperare che qualcun altro risolvesse la situazione, non l'avrebbe portata da nessuna parte? L'ennesimo pugno di Reiner restò bloccato nel corpo di Eren, improvvisamente indurito. Ma lei non lo vide neanche più. Con le mani strette intorno alla testa, piangeva, tremava, disperata. Perché lei non riusciva mai a fare niente?
Perché Eren doveva per forza avere ragione?
Eren...
Lo vide correre in quel momento da umano, uscito dal suo gigante, diretto verso Zeke che era riuscito a uscire dal corpo del proprio gigante appena in tempo per non essere ucciso. Era deciso ad avvicinarsi a lui, ad attivare quella potente arma distruttiva che avrebbe per sempre decimato ogni cosa. E lei lo vide passare davanti a sé, senza fare niente. Paralizzata. Terrorizzata. Che poteva fare? Che doveva fare?
«Che cosa devo fare, Jean?» singhiozzò, sentendo la speranza abbandonarla completamente. Lei non poteva niente, lei sbagliava sempre tutto, lei non aveva alcun potere. Non poteva fare altro che aspettare che qualcun altro risolvesse la situazione, continuando a scappare da ogni responsabilità. Perché lei era così... una bambina egoista, che non voleva assumersi alcuna responsabilità.
Eren è una mia responsabilità!
Sgranò improvvisamente gli occhi.
Fallo funzionare, Moreau. È un ordine.
Eren era una sua responsabilità. Spettava a lei, solo a lei, farlo funzionare.
Come sei riuscita a farlo funzionare?
La domanda curiosa di Erwin, quando di ritorno da Trost lei aveva raccontato in che modo era riuscita a domare Eren, convincerlo a portare il masso alla breccia. E la risposta... la risposta era stata...
Gli ho piantato una lama nella nuca.
Si allungò ad afferrare il fucile, ai suoi piedi.
Non sparerà. Beatris non ucciderebbe mai una persona che ama, anche se questo fosse un genocida.
Le lacrime le offuscavano la vista, ma riusciva a vederlo comunque.
Sei ancora quella stupida bambina, Beatris... non riesci a prenderti le tue responsabilità.
La sagoma di Eren, sfocata, correva verso Zeke proprio davanti alla canna del suo fucile.
Eren è una mia responsabilità!
Premette il grilletto.
Eren, perché non riesco mai a salvare le persone?
E la testa di Eren saltò via, lacerata alla base del collo.
Ti sbagli, Bea! Tu sei in grado di salvare le persone, e lo farai! Lo farai, ne sono certo!




Nda.
Vi ricordate quando a inizio storia (più o meno) vi dissi di tenere bene a mente la promessa che Tris aveva fatto al comandante Pixis? ("Eren è sotto la mia responsabilità"). Vi ricordate quando vi dissi che non sarebbe stata una semplice promesso/impegno ma ci sarebbe stato qualcosa di molto di più dietro? Nel profondo, Tris non ha mai smesso di mantenere fede a quell'impegno, in tutti questi anni. Quando ha visto che Eren aveva qualcosa che non andava, quando ha pensato che stesse per fare una pazzia, lo ha seguito a Marley con l'intenzione di fermarlo. Ha provato a parlarci, a farlo ragionare, le ha provate tutte, e si è impegnata e invischiata tanto proprio perché dentro sentiva ancora la responsabilità di quell'ordine datole anni addietro. Lei era l'unica "in grado di domarlo" e continua a farlo. Continua a provarci. Ma non ci riesce... e la responsabilità è sua. È sempre stata sua.
Parlare con Eren è impossibile, sa che se venisse ucciso allora tutto avrebbe fine. La sentenza di Eren su di lei ("Sei egoista. Non uccideresti chi ami, anche se questo fosse un genocida") è una condanna di cui vuole liberarsi. Non ha ucciso Reiner, anche se era un genocida, e non vuole uccidere Eren anche se sta per diventarlo... Ma alla fine lo fa. Preme quel grilletto.
Eren era una sua responsabilità e a lei... solo a lei... spettava premere quel grilletto.

(Scusate se non commento "l'incontro" Reiner/Beatris, ma questo evento è più importante per me (Tanto importante che arrivo in super anticipo con la pubblicazione, perché voglio darvi il più possibile di questa storia che ha raggiunto l'apice). Tutta la ff si basa sul fondamento che Tris è in mezzo alla battaglia tra Reiner e Eren, che cerca di stare dalla parte di entrambi, che cerca di salvare entrambi... e qui è lei stessa, dopo aver persino scelto di rinunciare a Reiner pur di salvare Eren, che gli spara. È un pilastro centrale che si è appena sgretolato).

Vi lascio alla canzone extra del capitolo. È un'introspezione di Beatris su ciò che ha appena fatto, su ciò che Eren significa per lei. Quasi da la colpa a lui ("come hai potuto buttare via tutto?"), ma non riesce a capacitarsi di ciò che è appena accaduto, tanto che ha quasi un estraneamento, è come se si vedesse da fuori e dicesse a se stessa "come hai potuto?". E in quei pensieri c'è persino come un'intromissione di Eren stesso, o quello che lei pensa le stia dicendo, che le chiede come abbia potuto fare una cosa simile? Le dice che non meritava una fine come quella, le ripete, le ricorda... "io non sono il tuo nemico".
Ci sono alcune strofe che possono benissimo essere veramente frasi dette da Eren nella testa di Beatris, come se le stesse comunicando telepaticamente, ma lascio a voi la possibilità di comprendere quali potrebbero essere e quale significato possano avere.
In ogni caso, tra una colpa data a lui e una data a se stessa, tra i pensieri deliranti di chi non si rende conto di ciò che ha appena fatto, come se non fosse stata lei ad avere quella "pistola fumante" tra le mani, c'è solo un pensiero che è razionale... non ha altre scelte, non ha modo di scappare.
"So cosa è meglio per noi alla fine..."
E in un attimo di lucidità, con le mani tremanti, poco prima di sparare, ha un'ultima preghiera:
"Qualcuno mi senta.
Qualcuno mi fermi.
Qualcuno mi ascolti.
Perché tu non mi ascolti?"
Se solo Eren l'avesse ascoltata...Invece, adesso, non le resta che una sola cosa da fare.

I got you || Reiner x OC || Attack on titan/Shingeki no KyojinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora