9 - Park Bogum / [ Taehyung POV]

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Ahn Hye-jin, per il suo unico amico (ovvero me) 'Hwasa', era da sempre la mia collaboratrice più fidata. Non che avessi bisogno di un'assistente personale visto che mi limitavo a sopravvivere senza svolgere attività realmente importanti, ma ero pur sempre il CEO di un'azienda multimiliardaria, era ovvio che ne avessi una. E avevo scelto lei perché era cazzuta.

Lo potevi capire anche solo guardandola quanto fosse cazzuta e potente, una di quelle donne che metteresti sui manifesti femministi come simbolo del predominio della razza femminile e del matriarcato.

Ed era anche estremamente competente in finanza, marketing ed economia, tutte cose nelle quali io, pur avendo completato i miei studi, ero decisamente carente. Avevo studiato senza motivazione, e dopo ogni esame il mio cervello decideva autonomamente di cancellare ogni singola nozione bollandola come 'inutile per il resto della tua vita'. Perciò mi affidavo a Hwasa, e perciò avevo richiesto che fosse l'unica persona ad accompagnarmi in questo mio viaggio d'affari; e anche se lo zio aveva avuto da ridire, alla fine si era deciso a darmela vinta perché anche lui si fidava ciecamente di lei.

Per questo stavo male. Ero più che convinto nel voler perseguire quel mio folle piano atto a mandare in bancarotta la mia stessa famiglia, ma per farlo avrei dovuto ingannare la mia unica amica. La colpa di quel fallimento sarebbe ricaduta su di me quanto su di lei, lo sapevo, perché a lei toccava l'arduo compito di controllare che non rovinassi quella semplice trattativa.

Mi ero svegliato all'alba in preda ai sensi di colpa e ai dubbi. Non è che volessi finire in mezzo ad una strada (anche perché mi sarebbe matematicamente stato impossibile far fallire del tutto l'azienda), volevo solo essere...meno ricco? Probabilmente non aveva senso, ma tutto quello che volevo era andare a vivere in una baita di montagna, senza necessariamente fare la fame, ma comunque senza che il mio nome fosse sulla bocca di tutti o che i giornalisti speculassero sulla mia vita e sul mio patrimonio.

Nessuno ne parlava apertamente, ma tutti continuavano a chiedersi quando avrei destituito mio zio e mi sarei impossessato realmente del ruolo che mi spettava per diritto di nascita. Tutti si aspettavano che diventassi come mio padre. Tutti tranne me. Per quanto lui fosse un uomo meraviglioso, io non avevo la minima intenzione di seguire le sue orme, o almeno di emulare del tutto i suoi passi. Avrei potuto fare tutto ciò che volevo, vivere di rendita e far vivere di rendita i miei figli e i miei nipoti anche se avessi chiuso l'azienda, ma non ne avevo il coraggio. Ero spezzato in due: da una parte il voler essere Taehyung, e dall'altra voler essere Kim Taehyung, il figlio di Kim Jeong Gyu.

Per questo l'unico compromesso al quale ero giunto era quello di lasciare che altri rovinassero il mio status al posto mio per 'un errore di valutazione'. Park Bogum, il nuovo prodigio, avrebbe stipulato l'affare della vita, la mia azienda sarebbe andata in perdita, e finalmente tutti quanti avrebbero saputo che ero un uomo diverso da mio padre, e che da me non si sarebbero potuti aspettare altro se non che continuassi a mandare avanti quell'azienda per inerzia senza fare qualcosa di rivoluzionario o da ricordare nei secoli.

Mi avrebbero dimenticato. Mi avrebbero lasciato in pace.

Con quei pensieri nella mente mi ero alzato nel silenzio più assoluto e mi ero messo a girare per casa senza un vero scopo. Mi ero preparato la colazione e poi avevo effettuato l'accesso alla mail aziendale, giusto per ricontrollare il programma della settimana, e la mia attenzione fu catturata da una mail inviata proprio da Park Bogum in persona. Nessuno l'aveva ancora letta, e decisi che sarei stato io il primo a farlo. Lì dentro, riassunto in poche righe, c'era il fallimento del mio piano, la fine di ogni mia possibilità di riuscita.

Il Signor Park, complice chissà quale malattia improvvisa, era impossibilitato a muoversi e scusandosi chiedeva di rimandare il nostro incontro a Seul a quando sarebbe stato meglio. Questo per me significava solo una cosa, e cioè che zio sarebbe tornato e che sarebbe stato lui a concludere l'affare, non avrei mai più avuto la mia occasione per chissà quanto tempo.

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