IX. You can't escape - seconda parte

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È ora.

Disteso con gli occhi chiusi, facendo finta di dormire, Sereb percepiva ogni movimento attorno a sé. Le voci degli uomini, i loro movimenti sgraziati, i loro fiati pesanti. Quella era la sua occasione. Dopo settimane – non sapeva quante, non era riuscito a calcolare lo scorrere del tempo – rinchiuso in quella gabbia, il corpo aveva maturato una progressiva assuefazione al siero che gli iniettavano per ammansirlo. A poco a poco era diventato sempre più lucido. Aveva ingannato anche il ragazzo-lupo.

Il suo nome era Andrej e aveva gli occhi blu ed era pieno di belle, rassicuranti parole, ma Sereb non si fidava delle parole. Cose da umani, ambigue, lunari. Quelle cose che ti tradiscono nel tempo di un battito di ciglia.

Sollevò le palpebre e mise a fuoco l'ambiente circostante, le ombre degli uomini.

Era legato con la catena mentre ripulivano la gabbia. Avrebbe avuto poco più di cinque secondi di tempo. Tese i muscoli, chiuse di nuovo gli occhi.

Aspettava.

È ora. Ora della libertà.

Lui era un lupo libero, un lupo vero: non si sarebbe sottomesso a nessun umano.

Sentì delle mani sul collare. L'odore dell'uomo era facilmente scomponibile: puzzava di sudore aspro, sigaretta e notti agitate. Nessun umano aveva un sentore particolare, la maggior parte di loro emanavano sgradevoli olezzi, aveva imparato. Aveva riconosciuto il suo simile non solo perché lo aveva visto trasformarsi, ma perché in quei giorni ne aveva percepito l'odore dietro la gabbia, che si era fatto più forte le notti in cui si era trasformato. Per farlo sentire a suo agio, forse. Anche in forma umana il suo odore era buono: sapeva di neve, di purezza. Era come un fiore sopravvissuto all'inverno.

Gli odori, pensava, raccontano una storia. Danzano, si sfaccettano, si perdono e si rincorrono, raccontando le storie e gli umori di chi appartengono. Lui poteva sentirli, poteva sentire tutto. Mentre viaggiava senza meta prima di giungere in quella città, aveva assaporato il profumo della notte, dell'erba gelata, di bacche ritorte tra le sterpi, tracce di sangue fresco. Ricordava i tramonti che fiammeggiavano in striature fredde sul limitare della steppa; la fascia più alta era di un nero che sfumava nel viola scuro, poi blu e poi ancora verde, digradante in una fascia purpurea e pulsante quanto una ferita. Tramonti che sembravano promesse sull'erba non calpestata. Gli mancava vedere il cielo che bruciava.

Fra poco lo avrebbe rivisto. Doveva solo...

«Maledizione!» esclamò l'uomo quando, svolto il collare, Sereb scattò e gli morse la mano.

Tutti i sensi acuiti, i muscoli vibranti, si lanciò all'assalto, atterrando sul petto dell'uomo che ricadde urlando. Insieme all'odore della sua paura sentì quello proveniente dagli sfinteri che cedevano.

«Aiuto! Aiuto!» L'uomo aveva la bocca distorta dal terrore, gli occhi allargati con le pupille che fremevano. Sereb alzò la zampa, pronto a colpirlo, ma un rumore lo bloccò. L'altro uomo era in piedi, con una pistola in mano. Tremava così vistosamente che era un miracolo che riuscisse a tenerla.

«Nikol...» iniziò, ma Sereb non gli badò.

Tirò una zampata all'uomo che aveva atterrato, facendolo urlare e contorcere di dolore, poi scattò verso l'altro che per la paura fece cadere la pistola per terra e provò a scappare. Sereb gli si avventò sulla schiena, le zanne lacerarono la stoffa fino ad affondare nella carne tenera. Il grido dell'uomo riverberò nella stanza. L'odore del sangue era diventato fortissimo.

Si girò verso il primo uomo, disteso e contorto, che si stringeva il braccio al petto e aveva metà faccia grondante sangue. Ma era ancora vivo e lucido, questo contava. Avanzò verso di lui, scansando la sua pistola gettata a terra. Lui urlava ancora.

Wolfen - Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora