Il Valhalla prendeva il nome dall'oltretomba della mitologia norrena e come quel luogo sacro e leggendario il suo ingresso era sorvegliato da due statue a forma di lupo e aquila dalle quali si accedeva al Thund, un ampio corridoio dalle tappezzerie blu cupo, quasi nere, luci acquatiche e pavimento di marmo scuro le cui venature azzurre ricordavano sottili crepe di vetro. Sembrava quasi di sentirle scricchiolare sotto le suole.
Lukas era un abitudinario. Nonostante fosse sotto la giurisdizione dei Novikh e solo il Dio che non c'era più sapeva quanto li detestasse, doveva ammettere che era il miglior locale di tutta Mosca, un coacervo per ogni genere di perdizione, posto di ritrovo di tutta l'élite criminale della città, ma non solo.
Per entrare bisognava avere un pass e per avere il pass bisognava conoscere le persone giuste, ma quel che ti serviva davvero per accedere a quei "cancelli dorati" era la mancanza di coscienza e di qualsivoglia limite morale o inibizione. C'era di tutto, nel Valhalla, e si poteva fare di tutto. Le distinzioni sessuali, per esempio, non erano contemplate: dato il clima fondamentalmente promiscuo della créme moscovita, non importava fossi maschio o femmina, ci si mischiava senza problemi e le varie salette che come un arcipelago circondavano la pista principale potevano ospitare più persone, adibite per i gusti più variegati ed eclettici. Lukas poteva vantarsi di conoscere ogni centimetro di quel posto e di averci più volte lasciato un "segno".
In fondo era per metà lupo, faceva quel che era nella sua natura: segnare il territorio.
Quella sera c'era addirittura più gente del solito e lui, appoggiato contro il muro, braccia incrociate, si guardava attorno alla ricerca di un modo per passare degnamente la serata. Al suo fianco Raisa sorseggiava il suo cocktail, la lunga chioma bionda sciolta, un vello d'argento alle luci sfaccettate del locale in penombra; occhi da gatta, allungati e senzienti.
«C'è Dimitrij» disse con un aggraziato cenno del capo e Lukas visualizzò la sagoma lunga e dinoccolata di Dimitrij Berekovskij che si muoveva come un caimano in mezzo alle lepri. Li raggiunse con quel passo cadenzato; il suo volto dai tratti smunti aveva gli zigomi ingrossati da una smorfia.
«Vi stavo cercando.»
«Berekovskij, qual buon vento? Quello della sciagura?»
Gli venne in mente il Burian, il glaciale vento siberiano per antonomasia; suo nonno lo chiamava in quel modo, quando era ancora vivo.
«Fai meno il sarcastico, Lukas, la cosa è seria.»
«Cosa c'è?» Raisa si spostò impercettibilmente dal muro, inclinando il capo in quel moto di algida sensualità che aveva lei.
«Sapete di cosa sto parlando: della druzina di Sergej Novikh, di quel che hanno catturato.» Dimitrij si guardò attorno con gran sprezzo della disinvoltura; quello era il tipico atteggiamento furtivo con cui ti facevi fregare. «Dobbiamo parlare. Non qui, ovviamente.»
«Non esiste luogo più adatto di dove non ci sono segreti per spifferare segreti.» Lukas abbassò la voce. Erano appartati e nessuno poteva sentirli. «Stai calmo, Dimitrij, si tratta solo di un lupo.»
«Un lupo in mano a degli umani» sibilò e stridette rumorosamente i denti.
Lukas ricordò il suo aspetto da lupo, le poche volte che lo aveva visto trasformarsi: aveva zanne lunghe, fameliche, e ciò si ripercuoteva nella sua fisionomia umana con quella bocca sempre serrata, all'apparenza inabile a sorridere. Ognuno trasportava qualcosa di sé dall'una all'altra natura, lo aveva notato, negli anni.
«Andrej dice che non sospettano di nulla» asserì Raisa.
Dimitrij dimostrò il più tagliente scetticismo a quell'affermazione. «Quel ragazzino? Giusto un pivello incosciente poteva andare tra le schiere dei Novikh. Lo sanno tutti che Boris Novikh ha i suoi sospetti, le sue ricerche...»
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Wolfen - Vol. 1
FantasyRussia, anno imprecisato, nel futuro di un'umanità decaduta. Li chiamano vulkulaki, mitici esseri metà lupi e metà umani. La loro estinzione, narrano le leggende più antiche, porterà la fine di un mondo già a fatica risorto, ma una guerra è in arriv...