XXII. Il Lupo randagio - seconda parte

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«Che posto è questo?» chiese Ilyas quando si sedettero. Si era guardato attorno da quando erano entrati, una tiepida scintilla di curiosità aleggiante nell'iride.

«Un'altra zona franca per noi lupi. Se tu e tua sorella foste più socievoli vi ci avrei portato prima.»

«Potevi portarci Kirayev, il "pezzo d'oro" della druzina, no?»

Lukas non ci voleva sperare ma c'era una punta di gelosia nel suo tono che lo mise di buon umore.

«Potevo, ma non so se l'hai notato: al pezzo d'oro piace andare dove andate voi, non arrischia granché il muso con altre compagnie. Deve aver avuto una sorta di imprinting, toh. Si deve essere innamorato.»

«Se ti riferisci a mia sorella...»

«Suvvia, sarebbe così strano nel caso? Capisco che in quanto fratello alpha devi proteggere il territorio, ma ti farei notare, gentilmente, che tua sorella è un'entità a sé stante, una persona, anzi una giovane donna.» E molto bella, avrebbe potuto aggiungere. E poi: come te. Ma ci teneva alla sua pelliccia. «Ha raggiunto la maggiore età da un po', no? Avrebbe tutto il diritto di...»

«Non parlare di mia sorella» lo interruppe Ilyas, stizzito. «Non sai niente di lei. L'ultima cosa che le serve è un nobile che le sbava dietro.»

«Dovresti farlo decidere a lei» si limitò a dire lui, leggero, e lasciò cadere l'argomento.

Il "posto" era il Vseslav dei Vosikiev, non però l'ala aperta agli umani; esisteva un basamento al di sotto del locale il cui accesso era garantito solo ai vulkulaki. Un luogo segreto come ne esistevano pochi nella taiga della capitale. Non aveva un nome ufficiale, ma era noto a tutti come il Lupo randagio, nome coniato dal famoso Cane randagio di San Pietroburgo, cabaret dove prima della Rivoluzione russa si riuniva la crème dell'Età d'Argento, i vari poeti e intellettuali che sarebbero stati spazzati via dalla censura bolscevica, gente come la Achmatova, Majakovskij o Shaljapin che Lukas aveva giusto sentito nominare. Le loro opere erano diventate rare dopo l'Ultima Guerra, roba da collezionisti, ma uno degli antenati di Ljuba aveva affisso proprio una frase della Achmatova all'entrata, per accogliere i nuovi arrivati: Qui non ci sono segreti, siamo tutti gaudenti e peccatori.

Era un ambiente cavernoso, scaldato dai vapori della vodka e delle vivande. Niente musica e non c'era neanche il servizio: il cibo si prendeva a un buffet improvvisato. Era più affollato di quanto Lukas si aspettasse; era l'ora di pranzo e i vulkulaki si accalcavano ai tavoli e al buffet, chiacchierando con una rilassatezza che non avrebbero mostrato altrove, alla luce del sole.

«Cosa vuoi?»

«Niente.»

«Torno con della carne.»

Si alzò e si diresse al buffet. Riempì due piatti di abbondanti dosi di manzo allo Stroganoff, pel'mèni ripieni e alcuni skoblyanka, spiedini di carne con patate e funghi. Al bancone prese un'intera bottiglia di vodka.

«Buoni, ma non hanno niente a che vedere con quelli che assaggiai negli Urali anni fa» commentò servendosi della prima portata di skoblyanka. Il sapore della carne era forte e si scioglieva in bocca. «La chiamano la "carne d'arrosto dei cosacchi". Una prelibatezza di altri tempi. Assaggia.»

La fame doveva superare il suo atteggiamento sostenuto perché, dopo un primo momento di esitazione, Ilyas si mise a mangiare. Stettero in silenzio per un po' mentre attorno a loro il brusio degli altri commensali arrivava a ondate. Lukas finì gli spiedini e si mise a bere la vodka accompagnandola col pane nero. Se quello fosse stato un pranzo normale, avrebbe proposto un tost: avrebbe scontrato il suo bicchiere con quello di Ilyas, bevuto in un sol sorso e mangiato subito dopo un boccone per placare il calore rovente della vodka che, calma e decisa, gli sarebbe scesa nello stomaco. Non era il caso però di proporre una cosa tanto "russa". Si immaginava benissimo la risposta dell'altro. Si limitò a osservarlo e si rilassò sulla sedia.

Wolfen - Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora