XVI. Notti randagie - seconda parte

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Per Mosca il detto "un buco di fogna vale l'altro" si era rivelato così calzante che Ilyas ormai, quando entrava in un locale, non si sorprendeva più di trovare la stessa immondizia, lo stesso tanfo di vodka e ascelle sudate, lo stesso squallore e la stessa perdizione. Si era stancato anche di guardare. Puntava al bar, chiedeva da bere, si guardava intorno e, se era dell'umore, cercava qualcuno per far passare la serata. Erano circa due settimane che procedeva in quel modo e la mattina, nello spalancare gli occhi in albe livide e granulose, sempre tutte uguali, il giorno faceva più schifo del precedente, quindi non stava granché funzionando.

Quella sera, in un posto di cui non aveva letto il nome, con ritratti di santi vestiti da bambole appesi alle pareti, si sedette al suo fianco una donna.

«Guarda, non è aria» disse subito notando il suo vestito e le lunghe, morbide gambe bianche che sbucavano da sotto l'orlo della gonna. «O piuttosto: non è il cazzo giusto.»

La donna sorprendentemente rise. Poteva avere venti come quarant'anni, con quella luce non si capiva; aveva labbra carnose, dipinte di rosso gambero, e teneva tra le dita una sigaretta dal lungo bocchino. Ne prese una boccata generosa prima di parlare, la voce roca e bassa: «Ho fatto cambiare idea a molti uomini convinti di non avere il cazzo giusto per una donna.»

«Io non sono il caso. Purtroppo.» Ingollò un robusto sorso di qualunque cosa fosse quel che gli aveva servito il barista e la guardò. «Credimi, se fosse per me verrei volentieri con te o con qualsiasi altra donna, ma il cervello dice una cosa, qua sotto invece...»

«Ah, e come mai?» gli chiese, incuriosita, continuando a fumare.

«Come mai cosa?»

«Come mai preferiresti le donne?»

«Perché non mi farebbero vergognare del mio sesso.»

Lei rise di nuovo, la risata di un uccello rauco. Non era bella ma si era spinti a guardarla. «Oh, ragazzo, non sai quanto ti capisco. Anche se non ti credere: incontreresti donne che non hanno nulla da far rimpiangere a certi uomini. Ma, dimmi, da dove vieni? Non sei di qui. Non si vedono tanti con la tua carnagione da queste parti.»

«Vengo da lontano.»

«Cosa ti porta qui, affari o piacere?»

«Nessuno dei due.» Ritornò al suo bicchiere. «Sinceramente non so perché sono qui.»

Da quando Aisha gli aveva rivelato di aver parlato a Sasha del loro piano e di come fosse d'accordo col nobile di non attentare alla sede della Bratstvo, non lo sapeva davvero.

Rimase a chiacchierare con quella donna finché lei non adescò un cliente. Si scusò prima di congedarsi e gli chiese se poteva dargli un bacio. Non aveva mai visto un ragazzo come lui prima d'ora. Selvatico, disse, arrotondando le lettere con quelle labbra rosse. Gli scoccò un bacio sulla guancia e se ne andò, ondeggiante sui tacchi. Ilyas ordinò un altro drink.

Lo cacciarono fuori, alla fine, perché il bar stava chiudendo e lui aveva finito i soldi. Dovevano essere le quattro passate e la notte era gelida, più fredda dell'abbraccio di una puttana. Si guardò intorno, gli occhi cisposi, e riconobbe la strada in cui si trovava. Doveva esserci già passato. Un quartiere non da nababbi, ma neanche una fogna. Ricordava le saracinesche dipinte di nero e gli alberi infilati in gabbie di ferro. Le finestre delle case erano inghirlandate di ghiaccio, ricami sottili, simili a merletti. I palazzi erano alti, svettanti, troppo alti per essere considerati edifici residenziali.

È il quartiere di Maraskin, capì allora con una vena di stupore che la vodka affogava.

Sì, era il posto in cui era venuto quella sera, quando non sapeva chi fosse quell'uomo, quando lo aveva seguito per derubarlo. La sua memoria sempre attenta a ogni dettaglio dell'ambiente circostante – una capacità affinata dall'esercito – riconobbe la strada, i lampioni dai globi bianchi, la fila di palazzi ordinati. Se avesse proceduto per una decina di metri si sarebbe trovato in un incrocio; svoltando a destra e proseguendo per altri trenta metri avrebbe trovato la casa di Lukas.

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