I. La città e il sogno - prima parte

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Petit avviso: nei primi paragrafi non viene fatto il nome del primo personaggio in scena. È una cosa voluta che non è stata facilissima da scrivere. Se ci sono ancora parti confuse per favore ditemelo che cerco di rimediare!

Grazie a Micol, che mi ha betata, un grazie gigante a lei, alla sua pazienza infinita, al suo occhio finissimo e alla sua sensibilità rara per la parola scritta e i personaggi disastrati 

Grazie a Micol, che mi ha betata, un grazie gigante a lei, alla sua pazienza infinita, al suo occhio finissimo e alla sua sensibilità rara per la parola scritta e i personaggi disastrati 

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I.

La città e il sogno

La luna, trapuntata nel cielo nero, portava a malapena lo spiraglio di un lume sulla città. Era fredda come la notte, come un sudario; fredda e incolore sormontava la linea frastagliata degli edifici sommersi nel buio. Crisantemi di ghiaccio orlavano i vetri delle finestre che si affacciavano cieche sulla strada. Anche le stelle sembravano cieche quella notte.

«È andato da quella parte!»

Scalpiccii di scarpe, voci, rumori meccanici, il rombare delle moto. Tutto era diventato suono ai suoi occhi con quel buio; la terra gli scivolava sotto le zampe a una velocità spasmodica. Correva nelle tenebre e a ogni passo le scopriva sempre più nere. Le grida degli umani risuonavano a poca distanza. Una si erse tra tutte.

«Prendetelo!»

Svoltò al primo angolo disponibile, fiondandosi in un vicolo scuro. Le ombre, frammezzate alla luce opalescente dei pochi lampioni, fremevano ai bordi. La strada era deserta, la luce malata della luna si riversava a sprazzi esangui. Fiutò subito l'odore di muffa gocciolante, di spazzatura umana, di vite dimenticate e buttate in un angolo, ma non c'era nessuna traccia di sentore umano vero e proprio se non di coloro che lo stavano inseguendo. La loro puzza era così acre da fargli venire il vomito.

Balzò sopra le carcasse di lamiera addossate contro un muro. A quell'ora la notte atrofizzava la città in una vivida oscurità, ravvivata soltanto dalle luci artificiali che piovevano dalla parte più alta. Cupole vitree, d'oro e d'argento, con riflessi metallici nel buio. Scale che salivano a spirale, edifici dall'architettura inquieta e inquietante, fatti per dominare quel luogo e forse il mondo intero. Un'anima fredda, quella di quella città, la sentiva a pelle: pulsava distante e impietosa come la luna che la sovrastava. C'era neve dappertutto, sui tetti, sulle cupole, sulle vestigia meccaniche, sulle finestre di vetro laminato e sugli angoli lerci dei vicoli. Neve sulla sua pelliccia, davanti ai suoi occhi.

Rallentò la corsa, certo di averli superati. Gli umani non potevano saltare sui tetti, in fondo. Che cosa stupida, quegli esseri, non poté fare a meno di pensare. Uno sfregio alla natura. Che inutile vanagloria covavano nei loro cuori addomesticati, di esseri elevatisi al predominio senza alcuna giustificazione di sorta.

Wolfen - Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora