XIX. Fortezze - seconda parte

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«Ringrazia ancora tuo padre per l'invito» stava dicendo mentre si dirigeva verso la macchina. «Porterò qualcosa. Gli piace il whisky, vero? Dovrei avere una buona annata.»

L'idea di "sprecare" una buona bottiglia di whisky, di quelli che facevano parte della sua collezione, per Boris Novikh non l'alettava, ma avere accesso alla villa del Master Belyi era un'occasione che non poteva farsi sfuggire.

«Un whisky andrà bene» disse Aleksandr.

Aveva insistito per accompagnarla fuori dal Cremlino, fino alla macchina. Raisa ne era stata sorpresa, ma la sua sorpresa aumentò quando, prima di aprire la portiera, lui le toccò il braccio e l'attirò a sé per un casto bacio sulla bocca. Era la prima volta che lo faceva in pubblico o meglio: in un ambiente pieno di membri della Mafiya.

«Pensavo non ti piacessero le manifestazioni pubbliche» lo provocò.

Lui scrollò le spalle. «Dipende. Passo da te stasera?»

«Meglio domani. Torno tardi stasera.»

«Vai a Sudzal?»

Assentì, calma. «Per i Dazla. Hanno una base lì.»

«Già, il loro retaggio tataro... Allora ci vediamo domani.»

«Va bene.»

Si scambiarono un altro bacio, che la rese ancora più perplessa. Fu tentata di usare i suoi poteri, ma quando lo pensò Aleksandr si era già girato e avviato verso il Cremlino. Allora si mise in macchina, allacciò la cintura e controllò di non avere messaggi prima di accendere il motore. Fu lontana dal Cremlino in pochi minuti. Nell'attraversare il viale parallelo alla Malaja Bronnaja non trovò anima viva. In un'ora in cui il sole, arroventato nel cielo, si infilava tra i tigli del viale Sadovoe, non c'era nessuno in giro; nessuno che godesse dell'ombra fresca dei tigli, che sedesse su una panchina o camminasse tra gli stagni; Mosca sembrava deserta.

Una città non abituata al sole, pensò mentre la lasciava, diretta verso la campagna. Gli abitanti ne sono terrorizzati.

Si ricordò le estati della sua infanzia, caratterizzate invece da un sole caldo che non feriva lo sguardo. Nell'ex Bielorussia il clima era più clemente, per quanto sempre rigido, e lei aveva imparato ad aspettare la primavera e l'estate come si aspetta un miracolo. Insieme ad Aleksej e Katrina da bambina si precipitava fuori casa al primo accenno di sole. Quando tutti e tre erano diventati lupi, avevano cominciato ad avventurarsi nella foresta di Bialowieza; tre lupi dal pelo chiaro, giovani e forti, che giocavano nel verde. Il colore del proprio manto era ocra, mentre quello di Aleksej virava più verso la sfumatura del miele. Katrina... lei era dorata, così bella che a guardarla a volte faceva paura.

Scosse la testa e vide di concentrarsi sulla strada su cui sfilavano le ultime case di periferia, villette a schiera tutte uguali, da cui ogni tanto s'intravedeva una piscina gonfiabile o uno scivolo colorato, incastonati in cortili d'asfalto.

Si immaginò per un momento la vita che avrebbe vissuto dentro una di quelle case, tra lenzuola e cuscini che non conservavano soltanto il suo odore. Preoccupazioni standard e rituali pranzi di famiglia. Un marito, forse dei bambini, anzi, di sicuro dei bambini; almeno due. Si vide con un uomo diverso da quelli che frequentava di solito, non bello, anche stempiato, con un principio di pancia magari, ma con delle belle mani, quelle sì. Immaginò lui e le notti dei primi tempi, tutte una scoperta o forse un'illusione, i silenzi tra le parole e i cartoni del latte da buttare nella spazzatura ogni mattina.

Cacciò via anche quei filamenti di pensieri e continuò a guidare, intenzionata a non farsi più distrarre. Superata Mosca il paesaggio da metallico e arroventato si fece morbido e verde. Prima apparve il fiume Kamenka, poi Suzdal dal profilo segnato dalle cupole delle vecchie chiese. Nessuno officiava più messe, ma le chiese erano rimaste come antiche vestigia del passato. Mentre tagliava i campi che circondavano la città, vide solo qualche contadino chino sulle spighe di grano. Il sole ardeva sulle strisce non ancora mietute, simili a nuche rasate di detenuti. Sui campi volteggiavano uccelli neri che si libravano in volo in pigre spirali. Il grano fremeva sotto il sole in file serrate, o laggiù, lontano dalla strada, si drizzava in covoni che a guardarli parevano quasi figure in movimento, pallidi giganti nell'aria satura di polline.

Wolfen - Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora