XXVIII. Tra sconosciuti - seconda parte

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Warning per la scena finale di questo capitolo: c'è un atto di  SPOILER (salti a più pari chi non vuole anticipazioni)

.... cannibalismo in piena regola, tra vulkulaki, con alcuni dettagli, quindi attenzione

FINE SPOILER

Buona lettura ^^

Tra sconosciuti

Il cimitero del Diavolo.

Andrej ne aveva sentito parlare a mo' di leggenda e forse proprio per questo si era convinto che quel posto non esistesse. Un buco nero negli Urali del Sud, causato secoli prima dalla caduta di un meteorite; una radura senza vegetazione, circondata da un calderone di alberi scuri, ammucchiati l'uno all'altro. Dal suolo non cresceva più nulla: si raccontava che un tempo fosse disseminato delle carcasse di tutti gli animali che vi erano morti, stroncati dalle esalazioni o da qualsiasi cosa appestasse l'ambiente. Residui di ossa fosforescenti ancora brillavano nel permafrost, chilometri più avanti.

Quando avevano superato l'area di Ust-Kova, seguendo il fiume Kova, lui aveva capito che stavano andando dritti all'inferno, un inferno incastonato nella taiga desolata e remota. Era il covo perfetto per esseri non interamente umani o animali; ci aveva pensato nel momento in cui erano giunti alla cima della bassa montagna in cui si trovava la radura, dopo aver lasciato le macchine alle pendici. Erano dentro una foresta, ma gli alberi avevano cominciato a farsi sempre più piccoli e contorti man mano che avanzavano. All'ingresso della radura notò che i rami erano tutti carbonizzati, come dopo un incendio. Non c'era anima viva: nessun uccello che fendesse l'aria, nessun insetto nascosto nell'erba, nemmeno uno scarafaggio a strisciare tra i sassi. Nell'aria era impigliato un odore che sovrastava tutto e che riconobbe subito: paura.

Gli animali hanno paura di questo posto come del fuoco.

Misha si fermò al limite della radura che, come un occhio cieco, fatto di polvere e morte, si spalancava davanti a loro e sotto il cielo nudo.

«State indietro e non muovetevi» ordinò.

Andrej e Sereb erano stretti tra gli altri vulkulaki; non potevano muoversi neanche volendo.

Misha si trasformò ed emise un lungo ululato, che riverberò tra gli alberi come il rumore di un tuono possente. Dapprima ci fu silenzio, poi la terra iniziò a tremare.

«Che cos...» Andrej, già nel panico, fece per indietreggiare, ma uno degli uomini lo trattenne per il braccio. Sereb se ne stava dritto e immobile al suo posto.

«Stai fermo» gli intimò Kirsan. «Siamo in un campo elettromagnetico.»

«In un... che cosa?»

L'uomo non rispose, ritornando a fissare la radura. Andrej si ritrovò a boccheggiare. Si guardò attorno e vide che gli alberi bruciati si erano piegati, i rami neri simili a tante braccia dalle dita ritorte. Il cielo era cupo sopra di loro, di un pulsante viola chimico, e l'aria sembrava essersi fatta più densa, come attraversata da una corrente elettrica. Si chiese se per caso non si stesse autosuggestionando. Lui non ci capiva molto di fisica, ma sapeva che i campi elettromagnetici sono presenti ovunque, invisibili all'occhio umano; era normale che fossero dentro uno, no? Perché specificarlo?

Al centro della radura la terra si mosse rivelando l'apertura di una botola. A emergerne fu una donna.

«Eccovi qui, finalmente!» esclamò, la voce allegra.

Ha un accento strano, pensò Andrej e la osservò con attenzione, mentre si avvicinava. Era alta, più di lui; l'attaccatura dei suoi capelli, neri e lisci, disegnava una punta di lancia sopra gli occhi altrettanto scuri, dal taglio allungato, marcatamente orientale. Poteva essere calmucca o inguscia o chissà quale altra etnia; non lo capì. Il suo viso era aperto e franco, dagli zigomi pronunciati e il mento aguzzo, le labbra sottili tese in un sorriso tagliente.

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