4

134 15 12
                                    

«Helena non la sopporto, mamma!» sbottò Maya, lanciando sul letto un quaderno.
«Come mai?» le risposi mentre ripiegavo i vestiti puliti.

«Perché non fa che vantarsi, solo perché la più bella della classe!» La imitò con una camminata ancheggiante, scostandosi i capelli con un gesto della mano.
«Anche tu sei una bella bambina!»

«Non è vero! Lei è più bella, lo dicono tutti. Solo perché è bionda e con gli occhi azzurri... » incrociò le braccia.

«Anche tu sei bionda e hai gli occhi verdi; sono sempre occhi chiari.»

«Sì ma lei è più bionda e nessuno dice che io sono bella, nessuno!» si lamentò.

«Lo dico io. E io di bellezza me ne intendo.»

«Tu sei mia mamma. Diresti che sono bella anche se somigliassi a Boris!» si lamentò.

Boris era un suo compagno di classe, grande, grosso e non particolarmente aggraziato.

«Datevi il tempo di crescere. Vedrai, fra qualche anno! Chi lo sa? Helena potrebbe riempirsi di brufoli mentre tu potresti diventare improvvisamente la più bella della classe.»
«Vedi? Stai dicendo che lei è più bella e che io sono brutta!» Si guardò attorno, cercando una via di fuga e, non trovandola, cacciò la testa sotto il cuscino per avere un po' di privacy.
"Che età difficile", pensai, ricordando come anche io alla stessa età ero solita fare sfuriate del genere.

A volte, fare la madre mi sembrava il lavoro più pesante del mondo. Mi sentivo in colpa, perché spesso avrei voluto non avere figli e pensare solo a me, alla mia sopravvivenza. Se non ci fosse stata Maya, sarei già scappata da questo posto; sarei andata incontro a morte certa, ma vivere rinchiusa qui mi sembrava una punizione eccessiva per i miei peccati.

«Selene? Ti andrebbe di accompagnarmi da Marina?» mi chiese nonna Viviana.

«Marina Lulic? Quella incinta?»

Nonna annuì. «Hai di meglio da fare?»

Un paio di minuti dopo eravamo sull'ascensore del condominio quattro, dirette al sesto piano. Gli appartamenti, qui, erano simili ai nostri, anche se ce n'erano alcuni più spaziosi.

«Quando avrai finito, salirò a salutare la mamma di Kevin» avvisai.

Poco dopo, ci aprì la porta una donna sui trentacinque, con un visibile pancione di otto mesi.

«Come stai?» le chiese nonna.

«Bene, anche se l'ultimo trimestre mi sembra interminabile; mi sento una balena spiaggiata» si lamentò la donna, passando una mano sul ventre.

Le lanciai un'occhiata, a disagio.

Non sapevo spiegarne il motivo preciso, ma avevo una sorta di repulsione verso le gravidanze.

Mi sembrava da irresponsabili fare figli in un mondo ridotto così. Era forse per questo che provavo un moto di nausea alla vista di quel ventre gonfio?

Nonna la fece sdraiare sul letto e la visitò come poteva.

Cercava di aiutare, vista la carenza di personale abilitato.

«Cerca di stare a riposo. Quelle contrazioni che senti non sono niente di preoccupante, ma cerchiamo di portare la gravidanza alle trentanove settimane; sarà meglio sia per te che per il bambino.» Le sorrise con dolcezza.

Io preferii guardare dalla finestra.
Il fiume tossico che scorreva a pochi metri da noi, nonostante tutto, faceva venire voglia di tuffarcisi dentro.

Quel che resta della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora