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«Oddio, e quella da dove salta fuori?» disse Kevin passandosi una mano sul viso, «fra un po' la tua camera esploderà per tutta la roba che contiene.»

«È una Gibson Les Paul!» esclamò Frank rigirandosi la chitarra verniciata di un color vino.

«Caspita! Dove l'hai trovata? Una chitarra del genere costava un botto» dissi, alzandomi dalla sedia per ammirare lo strumento.
«Me l'ha portata Bekir, uno degli uomini in nero. Non viene tutti i mesi, ma è l'unico col quale si può parlare un po'... e fare affari. L'ho pagata solo trenta crediti.»
«Ma sei pazzo? Trenta crediti per un affare che non sai suonare?» Kevin era perplesso. «Dove li hai trovati?»
«Imparerò.»
«Come l'hai pagata? Non avrai usato i crediti a uso famigliare, vero?»
«Ma per chi mi prendi? Alla festa mi hanno pagato bene e nei mesi scorsi ho messo da parte qualcosa» sbottò Frank, infastidito dal fatto che il fratello maggiore lo trattasse come un ragazzino.

«Frank? Solo una domanda: come la suoni senza amplificatore?»
Fece spallucce. «Per ora va così, la suono in versione acustica.»
«Posso?» chiesi, prendendo la chitarra per il manico.
«È veramente in ottime condizioni.»
«L'hanno recuperata anni fa in un negozio di musica.»
«Hai un accordatore?»
Fece di no con la testa.
«Forse a scuola hanno un diapason.»
«Okay, vi lascio alle vostre conversazioni, musicali; io vado a farmi una doccia» disse Kevin, roteando gli occhi.

Ci spostammo in camera di Frank.
«Anche se strimpellavo il basso, gli accordi base della chitarra me li ricordo ancora» ammisi, imbracciando lo strumento e provando un Mi maggiore.
Il suono che ne uscì era cacofonico, quasi esilarante.
«Eh, sì. Ha bisogno di una bella accordata.»

«Più tardi vedo di recuperare il diapason.»

«Se hai carta e penna ti segno la posizione degli accordi principali.»
Frank, veloce come una gazzella, mi porse un pezzo di carta e una matita sui quali disegnai le sei corde e appuntai la posizione delle dita.
«Ancora qui state?» si lamentò Kevin apparendo sulla soglia avvolto solo da un asciugamano in vita. Il mio amico aveva un bel fisico, non particolarmente scolpito, ma asciutto e definito dal lavoro che svolgeva con passione. «Io mi vesto e vado a bere qualcosa da Jack, venite?»

Intervenni prima che Frank rispondesse in modo affermativo: «Grazie, magari fra un po'; sto finendo di scrivere gli accordi.»

Il ragazzo mi guardò con aria interrogativa; in realtà avevo praticamente finito.
Gli lanciai uno sguardo eloquente e, capite le mie intenzioni, sorrise.

Era da un po' che non stavamo insieme; mi mancava il contatto con la sua pelle.

La vodka di Jack avrebbe aspettato.

«Ti ci vedo bene a suonare in una rock band» mi sussurrò, ad amplesso concluso, accarezzandomi un braccio.
Risi. «Eravamo giovani e imbranate, ma siamo riuscite a esibirci ben otto volte: alla festa del Patrono, alla sagra del Fungo Chiodino, alla festa di fine anno nella palestra comunale, al compleanno di un nostro amico e ben quattro volte in due pub. Ovviamente, sempre gratis.»

«Poi più niente?»

«Poi abbiamo litigato, perché la batterista si era scopata il ragazzo della cantante. Addio band.»

«Dev'essere stato bello vivere l'adolescenza fuori. Avevate tante opportunità che qua non ci sono» disse, con un velo di tristezza. Frank aveva passato qui i sui anni di formazione, dev'essere stata dura anche per lui.
«Già. Non ci rendevamo conto della fortuna che avevamo.»

«Sei riuscita a viaggiare un po'? Io da bambino sono riuscito a visitare Venezia, con la scuola. Poi sono stato coi miei sulla riviera romagnola e in Sud Tirolo; poi ho visitato alcune città come Torino, Bologna, Roma e Firenze. L'estate prima che tutto finisse eravamo stati Croazia: che mare stupendo! Purtroppo, non sono mai riuscito a volare negli States, terra d'origine di mamma. Lei è nata in New Jersey, ma di certo Kev te lo avrà raccontato.»

Quel che resta della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora