<<Le prove libere di ieri sono andate abbastanza bene!>> mi riferisce, uno dei tecnici seduti intorno a me, per parlare di come sta andando in pista con la moto. <<Questa mattina mi sembra che sia andata meglio, sabato mattina va sempre meglio di venerdì. Devo farmi le mie idee della pista, – perché averla studiata solo su carta e tramite dei video, non basta – devo prendere un buon passo con la moto e cercare il grip giusto.>> gesticolo, verso il tecnico alla mia sinistra, dondolando sulla mia sedia girevole, mentre lui annuisce alle mie parole, chiedendo dei fogli ad un altro suo collega. <<Studiarla su carta e vederla da uno schermo è – ovviamente – diverso da percorrerla in sella.>> concludo, bevendo poi un po' d'acqua dalla mia borraccia rossa. <<Certamente, ti do pienamente ragione.>> concorda con me, mostrandomi la tabella dei miei tempi, che ho fatto durante questo primo turno di prove libere. <<Il quarto settore è quello in cui hai fatto il miglior tempo e, soprattutto, quello in cui vai generalmente meglio rispetto agli altri.>> mi fa sapere, mentre mi sistemo il casco. <<Se riesci a mantenere questo tempo, considerando il passo degli altri, riesci ad entrare nel Q2 questo pomeriggio.>> continua a parlarmi. <<Vuoi rischiare e provare lo stesso un Time Attack?>> domanda, quando mi rialzo in piedi e mi stiracchio, per quanto mi viene possibile con la tuta. <<Ci posso provare, vediamo cosa riesco a fare.>> rispondo, sorridendo timidamente. <<Pronta?>> mi chiede, uno dei meccanici, che mi sta tenendo la moto accesa, mentre salgo in sella. Faccio cenno di assenso con la testa e stringo le manopole del manubrio. Controllo che non arrivi nessuno, per non causare un incidente in pit lane, e mi dirigo verso la pista, senza superare i limiti di velocità per non avere qualche penalità inutile.
<<Sei entrata nel Q2!>> mi annunciano, quando mi fermo al garage, appena tolto il mio casco. Scendo dalla moto ed esulto, abbracciando Carola, che mi è venuta incontro. Il Team mi ha assicurato che la mia guida sembrava molto più sciolta e che mi merito davvero di entrare nelle seconde qualifiche di questo weekend. Non mi resta altro che mettermi comoda ed aspettare il mio turno, pazientemente. <<Hai fatto, davvero, un ottimo lavoro Cami! Sono convinto che riuscirai a prendere una buona posizione sulla griglia per domani!>> esclama, contento, Davide Tardozzi, posandomi una mano sulla spalla per incoraggiarmi. <<Adesso, forza! Riposati e aspetta, senza farti salire ansie inutili, il momento di ritornare in pista, intanto che corre il Q1!>> mi suggerisce, prima di allontanarsi dalla mia sedia girevole, lasciandomi prendere fiato e riposarmi un po'. <<Milla!>> mi sento chiamare e giro la testa, in direzione di Pecco, seduto sulla sua sedia girevole con il numero 63 – il suo – rosso stampato sul poggia testa. <<Sono così felice. Vedrai che andrà tutto bene.>> dice, e quando pronuncia queste parole riesco a tranquillizzarmi. Ancora non riesco a realizzare quello che sta succedendo, e ho quasi paura che tutto ciò sia solo un sogno e che – fra pochi secondi – io possa risvegliarmi. <<Sei sicuro?>> gli domando, titubante, con lo sguardo fisso nel vuoto. <<Perché se mi stai dicendo che andrà tutto bene solo perché ti faccio pena, non mi serve a niente.>> riesco a dire, prima di farmi rimproverare da quel povero ragazzo che mi ha scelta. <<Sei una scema, se pensi che io ti dica questo perché mi fai pena, Camilla Mancini.>> finge di mettermi il broncio, offeso – per finta, logicamente – guardandomi male. La situazione mi fa sorridere. <<Ricordati di divertiti, in pista, e tutto sarà più semplice.>> mi suggerisce, alzandosi, nel mentre, dopo che ci hanno avvisati del termine del Q1. <<Spaccherai il culo a tutti e non sarò felice se non ti dovrò guardare, domenica alle 14.00 da qualche posizione indietro, rispetto a te.>> mi sussurra, mentre ci avviniamo alle nostre moto, con il casco e i guanti in mano. Questo mi basta per darmi la carica.
<<Considerando che questo weekend abbiamo lavorato, come si deve, solo da sabato, stiamo facendo un ottimo lavoro!>> esclama, Luigi Dall'Igna. Ha ragione, ma siamo stati bravissimi a recuperare il tempo perso il venerdì. Non riuscivamo a prendere il passo e abbiamo avuto qualche problema con le moto. In più siamo caduti un paio di volte, quindi i meccanici hanno lavorato molto sulle moto in un solo giorno. Ci amano. <<Ora andate a riposarvi per domani, fateci sognare come sapete fare solo voi!>> ci congeda, entusiasta dei nostri posti in griglia di partenza. Purtroppo, non sono riuscita a qualificarmi prima di Pecco, ma sono dietro di lui e non lo lascerò un solo secondo domani. Sarò la sua ombra. Da bravo compagno di squadra, dovrà farmi utilizzare la sua scia. <<Ordiniamo il servizio in camera?>> lo prego, cercando di fargli gli occhioni dolci per farlo "sciogliere" e cedere alla mia richiesta. Molto probabilmente, alla vista di un altro essere umano qualsiasi, in questo momento, posso sembrare solo una pazza. <<Va bene.>> acconsente, Pecco, avvolgendomi le spalle con il suo braccio, facendo strada verso la mia camera, diventata nostra perché ha invaso il mio territorio. <<Non ho tanta voglia, nemmeno io, di cenare al ristorante.>> mi fa sapere, dandomi un bacio sulla fronte. Si sposta poi, con le labbra vicino al mio orecchio. <<Inoltre, ho proprio bisogno di stare una sera solo con te. Mi rilassi.>> sussurra, con voce roca, sorridendo. Un brivido mi percorre la schiena, in questo momento, intuendo dove vuole andare a parare con questo discorso. Volto lo sguardo verso di lui, con un'espressione divertita, mentre mi guarda supponente. <<Non ci sperare troppo, Bagnaia.>> lo ammonisco, spostando poi lo sguardo davanti a me, continuando a camminare, per non cedergli. <<Domani sarà una giornata importante. Dobbiamo dare il meglio di noi e ci dobbiamo riposare, per essere in forma smagliante.>> cerco di mantenere fermezza nel tono della mia voce. Lui si avvicina nuovamente al mio viso, circa all'altezza della mia guancia. <<Fidati, è inutile provarci. Tanto cederai, non ti preoccupare.>> dice, posandomi un bacio sulla tempia. Percepisco il suo respiro caldo entrare a contatto con la pelle del mio collo e – non so con quale fermezza riesco a resistere – non mi tremano le gambe. Mi sono persa il momento in cui è diventato un gradasso. Quando è successo, scusate?
Sono le 2.04 di domenica mattina. Fra poche ore dobbiamo alzarci. Non riesco più a prendere sonno, nonostante io sia esausta. Non appena chiudo gli occhi, brutti ricordi fanno capolino nella mia mente e il tentativo di dormire svanisce nel nulla. Mi giro nel letto, ormai da quasi due ore, con la paura costante di svegliare Francesco, che invece, si è addormentato senza problemi. Respiro a fondo e chiudo gli occhi, devo fare come mi ha suggerito il mio psicologo quando mi capitano questi momenti. Devo capire, per prima cosa, se sto avendo un attacco di panico. Mi ha spiegato che ci sono varie forme e manifestazioni, che non c'è solo una tipologia e non è sempre come se lo immaginano tutti. No, decisamente non sto avendo un attacco di panico. Che cosa provo in questo momento? Paura? Delusione? Rabbia? Noia? Provo vulnerabilità, e penso sia dovuta a quanto sia andato bene il weekend per ora. È da un sacco di tempo che non faccio delle qualifiche così e – sinceramente – mi sento – come definire quest'emozione? – confusa. Forse anche spaventata. Non ricordo, onestamente, se vi ho mai parlato del rapporto che ho con il destino. Forse è un argomento delicato, forse non dovrei nemmeno aprirlo e parlarne, ma sento che – per farmi conoscere a fondo – io devo fare questo discorso. Non credo a molte cose, sono una persona che ritiene di avere i piedi "per terra" e – per farvi un esempio –i sogni che decido di seguire, sono solo quelli di cui ho una certezza – o una minima possibilità – di poter realizzare. Non mi piace illudermi, e non mi piace nemmeno illudere gli altri, che io possa fare qualcosa, quando – in realtà – non posso. Conosco i miei limiti e conosco i miei punti di forza. Però, una parte di me, è convinta che esista qualcosa, al di sopra di noi, che funge da nostro protettore. Non prendetemi per pazza, ma quando succedono certe cose, nella vita – in generale – ti affidi a qualcosa. Io mi affido al destino. Seppure, in molti momenti della mia esistenza, penso che il mio destino sia stato personificato da molte persone che ho incontrato una sola volta e poi non ho più rivisto e da persone che – invece – rappresentano dei tasselli molto importanti nella mia quotidianità. È complicato da spiegare, ma penso che il mio destino, questa volta, abbia voluto mandarmi un segnale, secondo me. Ho già discusso, con il mio terapista, di questa mia credenza e lui ha concordato con me. "Molte volte – mi disse – per avere più sicurezza, per avere una certezza, qualcosa su cui appoggiarci nel momento del bisogno, invochiamo il nostro destino. Se ci pensi, un po' come se fosse una scusa, una motivazione, se qualcosa finisce bene oppure male. La nostra parte razionale, ci potrebbe suggerire, che a dir la verità siamo noi padroni del nostro destino, e che tutto dipende dalle decisioni che prendiamo. Le decisioni vengono molto spesso, per non dire sempre, influenzate dalle emozioni e da fattori esterni – come le opinioni di altre persone, la situazione, lo stato fisico – e ci rendiamo conto, troppo tardi, che magari non era quello che volevamo". Mi sono sempre chiesta, a questo proposito, se non ci fosse stato Valentino, in quel preciso momento, in cui io ho firmato il contratto con la Ducati – il mio rinnovo, intendo, dopo l'incidente – io sarei tornata in MotoGP? Forse non quest'anno, ma l'anno prossimo? Mi avrebbero presa? Mi avrebbero accolta di nuovo nel garage? Avrei dovuto cambiare scuderia? Sono domande che mi sorgono spesso spontanee. Ma io – e parlo con la parte più intima – volevo tornare in MotoGP dopo l'incidente? La mia risposta è sempre stata affermativa, anche se non sapevo con quale coraggio sarei potuta salire di nuovo su una moto. È un istinto, intrinseco in noi, quello di inseguire ciò che ci piace, ciò che sogniamo fare. Un malessere – si può definire così – è ciò che nasce, quando sai di star perdendo tempo e di allontanarti ogni giorno sempre di più da ciò che vorresti fare, ciò che vorresti essere. Sono convinta di aver fatto la scelta giusta, ma non so come farla diventare – a tutti gli effetti – la "scelta giusta". Non so se mi sono spiegata bene. Intendo dire, come faccio a far diventare il mio sogno in realtà, per la seconda volta? Perché ce l'avevo fatta. Ero entrata nella classe regina delle corse, e dopo? Sospiro, strizzando gli occhi. Il braccio di Pecco si muove circondandomi il fianco. Con il suo tocco, riesco finalmente ad addormentarmi.
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La corsa per la vittoria
ФанфикQual è il problema di essere Camilla Mancini? Apparentemente nessuno, è una semplicissima ragazza di ventun anni. Si considera una persona molto semplice, che si gode ogni cosa che la vita le propone. Non si ritiene speciale, solo fortunata: non tut...