<<Sei arrivata seconda, però.>> sento la voce di Benedetta riecheggiare intorno a me. Mi fa male. È solo un rumore, ma uccide i miei pensieri. Sembra lo stesso stridulo di un'unghia che graffia la lavagna oppure di un gesso nuovo. Ha sempre avuto una voce tanto fastidiosa? Corrugo la fronte, mentre mi osservo, seduta su quella sedia, senza replicare. Ci sono due me? Mi guardo intorno. Non c'è molto a dir la verità. Al centro della stanza c'è un tavolo e quattro sedie, un tappeto con una fantasia particolare, poi nulla. Il resto è bianco. Un infinito bianco. Una lampata appesa sopra le teste dei quattro individui seduti schiarisce l'ambiente circostante con una debole luce giallognola. Mi ricorda un po' i film spagnoli. <<Non sempre, purtroppo, si vince, ma Camilla rimane sempre una dei ventidue piloti più veloci al mondo, donna oltretutto.>> dice una voce maschile. È Pecco. Mi sta difendendo. Perché non riesco a parlare? Ripensare alle parole di quell'arpia mi fa ribollire il sangue nelle vene. Ho la voglia di parlare, di urlare. Perché non reagisco? Non ce la faccio. "Quella" me rimane ferma. È immobile. Francesco le è seduto accanto. Davanti a sé ha Benedetta e, al fianco di lei, c'è Federico. Anche lui è in silenzio, come me, e non fiata. Non sta dicendo una sola parola. I suoi occhi però dimostrano del disprezzo. <<Ha comunque perso.>> ripete con voce stridula, sempre più fastidiosa, sempre più dolorosa. Sento una fitta al cuore. So per certo che quella me seduta al tavolo percepisce il mio dolore. Mi osservo e sono ancora immobile, con le braccia distese lungo i fianchi a penzoloni, che fisso il vuoto. I miei occhi sono inespressivi. Sembra che ci sia un velo sopra le mie iridi. Perché non parlo? <<Ha vinto due mondiali.>> è di nuovo Francesco a prendere le mie difese. Neanche tento di muovere le labbra. Quella Camilla non sono io. Mi faccio avanti, ma sembra che nessuno possa vedermi. Provo a sventolare la mia mano destra davanti agli occhi di Benedetta, per attirare la sua attenzione, però mi ignora. Sono reale? No, no che non lo sono. È un sogno? Probabilmente un incubo. Stringo le mani sopra le spalle dell'altra Camilla e la scuoto, sempre più forte, aspettandomi una sua reazione. Qualcosa, qualsiasi cosa, ma non succede nulla. Chi sono io? Li ho vinti davvero due mondiali? Pecco dice il vero? Sono davvero un pilota o e frutto della mia immaginazione? Chi sono davvero io? <<Ha perso.>> ripete ancora, Benedetta, facendomi corrugare di nuovo la fronte. Una nuova fitta mi colpisce, ancora più forte di quella di prima. Più netta, più decisa. Quella seduta al tavolo non sono io. Non si è mossa di un solo millimetro, invece io l'avrei fatto. Nel peggiore dei casi, avrei pianto, anche se poi il mio orgoglio mi avrebbe tirato i capelli e sputato in un occhio. Siamo identiche. Mi schifa vedermi in silenzio. D'un tratto, una luce fortissima mi acceca e comprendo che è tutto terminato.
<<Oh, ti sei svegliata.>> mi sorride Francesco. Dove sono? Mi strofino gli occhi e sbatto le palpebre per abituarmi alla forte luce. Sento una forte fitta alla fronte e mi rendo conto di avere mal di testa. Ma dove stiamo andando? Che ore sono? Fuori ci sono i lampioni accesi. <<Ti sei addormentata appena hai toccato il sedile e non volevo svegliarti, siamo quasi arrivati a casa.>> dice Pecco, abbassando la voce, notando le mie smorfie di dolore. Mi tornano in mente sempre più dettagli della serata e comincia a girarmi la testa. <<Devo chiamare mio padre.>> esordisco, a bassa voce, cercando il mio telefono nella borsetta. Mi sistemo meglio sul sedile e porto i capelli dietro l'orecchio, in modo che non mi diano fastidio. Trattengo uno sbadiglio con molta difficoltà e mi si appannano gli occhi a causa delle lacrime. <<Ho già chiamato io.>> mi avverte lui, allungando una mano verso la mia per stringermela. <<Gli ho detto che ti sei addormentata e che stiamo andando a casa. Mi ha detto che non serve che lo richiami.>> gli sorrido e lo ringrazio con lo sguardo. Le parole non basterebbero per fargli capire quanto gli sono grata per tutto quello che fa per me. <<Andiamo subito a dormire appena arrivati a casa o preferisci guardare un po' di Netflix?>> mi domanda, a bassa voce, accarezzando col pollice il dorso della mia mano. Mi rilassa il suo tocco. Distoglie lo sguardo per un istante dalla strada per poter incrociare i miei occhi. Dolcezza, dolcezza pura. <<Non so se ti possono servire adesso, ma nel cruscotto ci sono un paio di occhiali da sole.>> dice, sapendo che sono fotosensibile con l'emicrania. Gli sorrido e scuoto la testa in segno di negazione, stranamente oggi la luce non mi dà troppo fastidio. <<Mi andrebbe di guardare un po' di Netflix.>> rispondo, alla sua domanda di prima. Ho bisogno di distrarmi con qualcosa. Non voglio passare la notte in bianco perché continuo a fare lo stesso incubo. Non so nemmeno perché mi abbia spaventato così tanto, alla fine stavano solo parlando nel sogno, non è uno dei miei soliti incubi. Pecco si sporge dal suo sedile, verso di me, per stamparmi un bacio sulla fronte. Fortuna che siamo fermi al semaforo. Apprezzo che non cerchi di tirare fuori quello che è successo alla cena, perché sinceramente ancora non riesco a capire cosa sia successo. Qualcosa mi dice che sarò una mazzata, rivivere la conversazione, ed è proprio per questo motivo che non voglio nemmeno pensarci. Quando cerchi di cacciare via un brutto ricordo, però, molto spesso esso riappare con insistenza. È un circolo vizioso. Vorrei fosse solo tutto un brutto sogno, che quell'incidente non sia mai accaduto e che la mia carriera ritorni come prima. Forse dovrei solo arrendermi e rassegnarmi al mio destino. Chi sono io per fermarlo?
<<Buongiorno a tutti.>> saluto i presenti, con voce timida, entrando nella sala da pranzo di Coverciano. Mio padre ha insistito perché io andassi da lui, penso perché voglia determinare con i suoi occhi come sto veramente, e non dalla mia voce tremolante al telefono. Mi sorride, alzandosi dalla sedia, per venirmi incontro. Apre le braccia per invitarmi in un abbraccio e io mi ci fiondo, senza nemmeno pensare al fatto che probabilmente c'è qualcuno che ci sta fissando. Mi accarezza la schiena con dolcezza e io chiudo gli occhi per qualche istante. <<Milla.>> sussurra, con la guancia appoggiata alla mia testa, continuando ad accarezzarmi la schiena. <<Non devi lasciarti condizionare dalle parole di quella ragazza. È sempre stata gelosa di te. Non ha idea dei sacrifici che stai compiendo per la tua carriera e non ha idea dello sforzo che ci stai mettendo. Non lasciare che il lavoro che stai facendo vada a sgretolarsi per delle accuse senza senso di una che a mala pena distingue la destra con la sinistra.>> dice mio padre, sempre a bassa voce, prendendomi con la mano il mento, facendomi alzare lo sguardo. Mio padre è la mia roccia. Mi è sempre stato vicino, anche quando ero in ospedale per le settimane in cui mi hanno ricoverata. Mi ha portata ogni giorno a riabilitazione dopo che mi hanno dimessa, aiutando Pecco, quando non poteva, a prendersi cura di me. Mi ha sopportata e supportata nei momenti di disperazione e sconforto, nei quali provavo un'ondata di emozioni che mi sgretolavano interamente, come un fiume in piena, che poi si trasporta dietro i detriti. Incubi su incubi, il terrore di non poter più salire su una moto e, quando ci sono riuscita grazie a tutte le persone che mi sono state accanto, l'ansia e la paura di cadere di nuovo e ricominciare ancora da capo. <<Hai capito?>> mi domanda, usando un tono della voce autoritario. Annuisco solamente, lasciandomi baciare la fronte da mio padre. <<Hai fatto colazione? Dov'è Francesco?>> cambia finalmente argomento, posandomi una mano sulle spalle per guidarmi verso un tavolo e farmi accomodare. <<No, non avevamo niente a casa. Ci siamo dimenticati di prendere il caffè e qualcosa di dolce. Pecco è andato a fare la spesa, dopo che mi ha accompagnato qua.>> gli spiego, sedendomi vicino a Chiellini e Bonucci. Mi sorridono e alzano le loro tazze di caffè come segno di saluto. Ormai sono più qui che a casa mia. <<Vado a prenderti un caffè, allora. Vuoi qualcosa da mangiare? Sono indietro con la tua dieta, ammetto che non idea di cosa mangi adesso, e non so cosa puoi mangiare.>> ridacchia, sempre mio padre, posandomi le mani sulle spalle. Penso che quello che è successo martedì sera l'abbia scosso parecchio. <<Non mangio niente papà, va benissimo un caffè, grazie.>> rispondo, cercando di sorridere. Non ho molta fame ad essere sincera. Mi guarda con disappunto e si allontana. <<Stai bene, vero? Mi sembri stanca.>> si preoccupa Giorgio Chiellini guardandomi attento. Io sorrido, nuovamente, annuendo e basta. Non ho molta voglia di parlare.
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La corsa per la vittoria
FanfictionQual è il problema di essere Camilla Mancini? Apparentemente nessuno, è una semplicissima ragazza di ventun anni. Si considera una persona molto semplice, che si gode ogni cosa che la vita le propone. Non si ritiene speciale, solo fortunata: non tut...