VIII

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- Ciao. - Liam si siede accanto a me sul muretto in piazza.

- Cosa vuoi?

- Sono giunto a una conclusione. Se voglio che tu mi dica qualcosa su di te devo io in prima persona essere sincero.

- Ci sei arrivato da solo? Complimenti.

- Dai, non sto scherzando.

- Perché ti interesso così tanto? Cos'ho di speciale?

- Incuriosisci. Stai sempre sulle tue e ignori tutti. Attiri subito l'attenzione.

- E pensare che io voglio fare l'opposto.

- Non ci riesci bene.

- Sei tu...

- Sette egli.

Io mi volto verso di lui. - Questa battuta idiota ti è venuta spontanea o ci hai pensato?

- Probabile che abbia sprecato energia che poteva servire ai miei neuroni per fare un ragionamento serio.

- Immaginavo.

Rimane in silenzio per un po'. Poi storta le labbra. - In verità non sono arrivato qua solo qualche settimana fa. A fine luglio ci eravamo già traslocati da Roma. Sono rimasto chiuso in casa per tutto quel tempo, pensando alla morte di mamma e a tutte le cose che erano cambiate. Erano e sono ancora tante. Forse avevo accettato il fatto che della mia famiglia restavamo solo io, mia sorella e mio zio, e mi sono degnato di venire a scuola. Ma certe volte rimarrei ancora a casa nel letto a farmi domande su cose alle quali non si può rispondere. Tipo il perché della morte di mio padre e poi di mia madre.

- Come... come sono morti? - sento che è sincero, e penso che forse è meglio fare la seria.

- Papà in un incidente in auto. Mamma di tumore al seno. Mio padre non lo conoscevo molto, dopo la nascita di Beatrice, mia sorella, se n'è andato. Veniva a trovarci qualche volta, ma raramente, tipo dopo Natale o la fine della scuola. Quando Bea aveva cinque anni è morto. A settembre scorso mia madre si è ammalata e poi è morta a giugno. I mesi seguenti sono stai usati da mio zio per organizzare il nostro trasloco. Pensava che così io e Beatrice potessimo ricominciare da capo e superare più facilmente la morte di mamma. Sono stato molto male, ma mi è stato fatto un discorsetto per convincermi ad andare a scuola, sennò rischiavo di perdere l'anno. Ero molto affezionato alla mamma, è stata un mio punto di riferimento... da sempre, che ricordi. Lo zio ci è venuto a trovare solo dopo la nascita di Beatrice, e poi è venuto a vivere con noi dopo la morte di papà. Mia sorella sta abbastanza bene, ma certe volte si fa triste e fa discorsi che una bambina non dovrebbe neanche pensare.

- Mi dispiace. Per tutti e tre.

- Odio quando le persone fanno questa farsa. - poi si accorge di quello che ha detto. - Scusa, è che... l'unico che non ha fatto finta di dispiacersi è stato il mio migliore amico. È venuto a casa mia e mi ha semplicemente abbracciato. Tutti gli altri, e ne conoscevo di persone, a Roma, hanno usato il solito "mi dispiace" per coprirsi le spalle. E lo hanno scritto via WhatsApp.

- Immagino la delusione.

- Già. Tu?

- Io cosa?

- Non hai segreti da confessare?

- Anche se li avessi non te li direi...

- Uff.

- ... almeno per ora.

- E quando?

- Quando mi fiderò abbastanza di te.

- Se non ci parliamo credo sarà difficile imparare a conoscerci.

- Lo sapevo: se accendi il tuoi neuroni riesci a fare dei bei ragionamenti.

- Cezanne, non cambiare discorso.

È in momenti come questo che lo sento serio e deciso. Quando mi chiama con il mio nome completo capisco che non vuole avere un no come risposta.

- Non... non so cosa dirti.

- Tipo... perché i tuoi genitori litigano.

- Lo fanno da sempre. Non ricordo l'origine di quei battibecchi, è da quando sono piccola che succede. Continuano ad amarsi per me. - "Per Lucia" mi dico. - È che...

- ... il loro fare finta ti rende le cose più complicate?

- Si. Il fatto è che... non mi ricordo un solo giorno, da quando ero bambina, nel quale erano tranquilli e stavano bene. Sono vissuta con le loro urla in testa. È per questo che non dico le parolacce. È una cosa che non riesco a togliermi. Non... non voglio fare la fine dei miei genitori.

- Scusa.

- Per cosa?

- Perché ti ho preso in giro per questo tuo blocco. Per te è davvero importante e...

- Tranquillo. Non fa niente. - gli sorrido.

Lui ricambia.

Ha proprio un bel sorriso.

Mi rendo conto di quello che ho pensato e arrossisco.

- Cosa c'è?

- Nulla. - cerco di interrompere quella ondata di rossore che mi sta assalendo il viso.

- A Bea piacerebbe conoscerti. - mormora lui dopo un po'.

- Cosa? - chiedo incerta, credendo di aver sentito male.

- Vorrebbe vederti di persona. Le ho parlato un po' di te. Insomma, io ho solo amici maschi, e sei la prima ragazza che non è la mia fidanzata.

- Ufficialmente sì.

- Non fare la pignola. Sei la prima persona di sesso femminile, sia chiaro, che non ho mai portato a casa.

- Che onore.

- Non scherzo. A Bea piacerebbe avere qualcuno a cui legarsi. Sta facendo fatica a farsi nuovi amici, qui, e io ultimamente sono stato un po' assente. Per vari motivi.

- Che non mi spiegherai.

- Per la morte di mamma, perché si avvicinano i campionati di FitKid, perché l'unico vero amico che ho è Luca...

- Chi è Luca e cos'è il FitKid.

- Si sta facendo tardi, è meglio andare. - si alza e mi lascia seduta lì interdetta. - Ti muovi? Non voglio lasciarti sola, si sta facendo buio.

- Arrivo.

- Okay.

È nervoso? Mi sa che ho toccato un tasto dolente e non ha voglia di dare spiegazioni. "Adesso è lui che scappa." penso. "Forse è meglio che lo lascio in pace per un po'." mi dico ancora.

Ci separiamo e torniamo entrambi a casa.

Per una volta, mi decido a prendere l'autobus.

Voglio vedere come va a finireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora