XXI

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Arrivo in classe dopo che è suonata la seconda campanella. La lezione di storia e geografia è appena cominciata.

- Alla fine ha deciso di onorarci della sua presenza, D'Angeli. Può tranquillamente posare le sue cose per poi venire alla cattedra. Vediamo se ha studiato.

Ieri non ho ripassato niente. Deglutisco il nulla. Il professore è uno dei più duri che abbiamo, peggio di quella di latino, e non fa sconti. Crede che noi prendiamo sottogamba la sua materia perché non è di indirizzo.

- Certo. - faccio come ha detto e mi metto di fianco alla cattedra tirandomi indietro i capelli. Sto sulle scatole a quel professore dal primo giorno di prima superiore, ma sono determinata a non dargliela vinta.


- Dire che è stato un totale disastro è minimizzare. Mi aspettavo molto di più da lei. Ma forse l'unica materia in cui va bene è arte, anche se non credo che la possa portare da qualche parte nella vita... - esordisce quando ho finito.

Voglio urlargli contro che ho ottimi voti in quasi tutte le materie, e che se tutta la classe va male con lui dovrebbe farsi due domande. Però sto zitta e abbasso il capo.

- In qualunque caso, sebbene non è andata troppo nei particolari, la sua esposizione è notevole. È brava a parlare, devo concederglielo. Sette. Il mezzo punto che le ho aggiunto influenzerà il suo voto finale. Me ne ricorderò.

Torno al mio posto senza proferire parola.

- Gatti, interrogato. - prosegue senza sosta per tutta l'ora a fare domande.

Liam è così fortunato che non esce.

Chiedo di andare in bagno per togliermi dalla testa i rimproveri del professore. Quando torno c'è un bigliettino sul mio banco. Di Liam, come immaginavo. "L'hai spiazzato! Mi insegni?". Scuoto la testa divertita, anche se cerco di nasconderlo. È proprio buffo quando fa così. E adoro sapere che qualcuno tiene a me e cerca di farmi felice il più possibile.


- Siete migliorate molto. Era ora, il concerto è il diciassette dicembre. Manca meno di un mese. - la prof. di flauto gira tra noi due tenendo una mano sul suo mento, come se fosse dubbiosa. I suoi stivali alti neri ticchettano sul pavimento. - Cezanne, ricordati di tenere la testa alta, se no cali troppo. Alyas, più veloci quei sedicesimi, okay? In quel punto, a battuta trentaquattro, rallentate troppo. Riproviamo.

Noi rimettiamo i flauti alla bocca e suoniamo. Non è un brano semplice, ci sono molte note alte, ottavi e sedicesimi da fare in fretta.

- Va meglio. - ci ferma di nuovo. - Le note e la tecnica la sapete, ormai. Ma questo brano ha bisogno di espressione, di partecipazione, di... ha bisogno di esprimersi e lo può fare solo attraverso le vostre emozioni. Serve che siate unite per fare intendere quello che volete. La vostra amicizia, o almeno, quella che c'era fino all'altro anno, è perfetta per questo. Cercate di ritrovarla. Farete commuovere tutta la sala.

Io e Alyas ci guardiamo e annuiamo. Ci stiamo provando, a tornare amiche. Non è semplice, ma tentar non nuoce.

- Potete smontare lo strumento. - esce a prendersi un caffè.

- Non è andata così male. - commenta Alyas.

- Decisamente no.

Restiamo in silenzio. Finisco di pulire il flauto e ritiro gli spartiti. Afferro lo zaino e faccio per uscire.

- Senti... a parte gli scherzi, tu e Liam... ecco... vi piacete davvero? Nel senso, siete davvero innamorati o è un gioco, per voi? - mi sta guardando con quegli occhi. Gli occhi di chi vuole smettere di illudersi.

- Distruggerò tutta la fiducia che hai in me dicendotelo, la nostra amicizia potrebbe...

- Non ho paura.

- Sì. Liam mi piace davvero. - forse non nel modo in cui intende lei, ecco. Io e lui stiamo insieme, anche per finta, ma stiamo insieme. Non mi farò fregare da sotto il naso il ragazzo più dolce e gentile sulla faccia della terra. Sono possessiva? Non mi fido abbastanza di lei e sono sulla difensiva? È la verità. A Liam voglio bene davvero.

- Immaginavo. Be', quando ti scarica fammelo sapere.

Scoppio a ridere. - Sarai la prima a cui lo dirò. - esco dalla stanza e corro all'ingresso di scuola. Mi aspettano ore di studio, ma non mi importa. Lo studio mi distrae.

Prima di andare a casa devo fare una cosa.

Ci metto più tempo del solito ad arrivare dove devo arrivare.

Le porte scorrevoli si aprono davanti a me. Non mi sono mai piaciuti gli ospedali. Se dal naso sento odore di disinfettante, la mia mente percepisce solo malattia e dolore. Non mi sono mai sentita a mio agio negli ospedali perché la gente che è lì sta male per qualcuno, e io non riesco a uniformarmi con gli altri parenti di chi soffre. Non ho mai pianto Lucia. Tre volte in altrettanti anni. Non sono mai stata troppo legata a lei, gli anni che ci separano sono tanti; non c'era niente che ci accumunava, non come Liam e Bea, che provano lo stesso dolore e si fanno forza a vicenda. Mi aveva insegnato a essere silenziosa e fatto conoscere gruppi musicali un po' vecchi come gli Aerosmith, i Lunapop e Bon Jovi, ma poi niente. Io ero alle elementari e lei alle superiori. Vivevamo i litigi dei nostri genitori in modi diversi: io facevo di tutto e di più per distrarmi, lei invece stava lì con loro e cercava di capire le loro motivazioni. Non ci avevano mai toccato nei loro battibecchi, mai invitato e mai spiegato. Dovevamo arrangiarci. I primi anni mi tranquillizzavano e le dicevano che l'amore non è tutto rosa e fiori, che capita di litigare. Poi hanno cominciato a dimenticarsi, e dopo l'incidente io sono diventata completamente invisibile.

Arrivo alla sua stanza al terzo piano. Macchinari, ecco cosa c'è dentro. Macchine, macchine, macchine. Non vedo altro. Coprono tutto, con i loro ronzii, suoni e spie colorate che vogliono dire qualcosa. Non ci sono mai entrata. Quella stanza mi fa paura e basta.

Vedo la sua mano e nient'altro. Immobile e ferma. Rosa come la mia.

Chiudo gli occhi e me la immagino stretta alla mia. Aveva la presa forte come papà. Le sue dita che si intrecciavano alle mie sotto il tavolo quando iniziava una discussione.

È l'unico ricordo che ho di lei quando era debole.

Voglio vedere come va a finireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora