Capitolo 39 - Emily

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Emily

Ho chiuso occhio giusto per qualche ora questa notte, ho avuto fitte al basso ventre e sono terrorizzata che tutto questo mi faccia perdere il bambino.
La porta si apre e intravedo la luce del sole nel salotto, riesco a spiare dietro la sua figura e mi sembra di scorgere il mio cappotto su quella vecchia poltrona di pelle marrone.
Ricordo di non averlo visto quando ieri sera o stamattina mi ha portata in bagno, spero ci sia ancora dentro la tasca interna il mio telefono.

"Ti ho portato la colazione, ricordo bene di come tu possa essere di cattivo umore senza."
Posa il vassoio sul letto, un cornetto ancora caldo, una bella tazzona di latte e una cazzo di rosa rossa che mi fa venire i brividi quasi quanto lui.
Devo raggiungere il cappotto, trovare il mio telefono, almeno devo provarci, non posso arrendermi, lo devo al mio bambino.
"Grazie."
Poso una mano sul suo braccio e cerco di sforzarmi il più possibile di accennare un sorriso, leggo stupore nei suoi occhi e capisco di essere riuscita a fingere bene.
Sembra illuminarsi grazie a questo mio piccolo gesto che temo nella sua mente malata sia una dichiarazione, ma devo giocare bene le mie carte.
Se assecondare la sua perversione per me, mi porterà alla libertà, lo farò, mi spingerò anche fino al limite se necessario, per salvare mio figlio, farò tutto.
"Vuoi fare colazione con me?"
Gli chiedo cercando di simulare un tono tranquillo.

"Si, certo."
Sorride entusiasta.
Sparisce per un attimo per riapparire con in mano il suo cornetto e nell'altra una tazzina di caffè.
Ci sediamo entrambi sul letto, a dividerci solo questo piccolo vassoio, addendo a malavoglia questo cornetto, ho inizialmente un senso di nausea che fortunatamente sparisce subito.
Lo divoro in pochissimo tempo, stavo morendo di fame, mentre bevo il mio latte sento i suoi occhi scrutare ogni centimetro di me.

É ripugnante il modo in cui mi fissa.

Stringo la tazza che ho in mano e per un attimo do sfogo alla mia immaginazione fantasticando di spaccargliela in testa, fuggire mentre lui è agonizzante sul pavimento.
Resta tutto nella mia fantasia, devo giocare d'astuzia nonostante la paura.
Mi alzo e una forte vertigine mi fa quasi cadere nuovamente sul letto, porto la mano istintivamente al ventre e una alla testa.

"Stai bene?"
Sembra preoccuparsi per me, mi si contorce lo stomaco ogni volta che incontro i suoi occhi gelidi, posa le sue luride mani sulle mie braccia e mi irrigidisco senza volerlo.
Sembra accorgersene e noto la mascella indurirsi, il suo sguardo da ansioso sembra mutare all'istante e divenire rabbioso.

"Si, grazie, mi sento un po' stordita, qui non c'è ossigeno."
Spero non capisca nulla della mia gravidanza.

"É colpa mia, sarà ancora l'effetto del cloroformio che ti ho fatto respirare. Vieni."
Mi porge la mano, inizialmente sono un po' restia, ma poi mi dico che questa può essere la mia occasione.
La afferro un po' tremante, lui se ne rende conto, posa l'altra mano sul mio viso e devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per non scansarmi.
Deglutisco a fatica e cerco di respirare, il mio corpo reagisce provocandomi nuovamente un forte senso di nausea che a fatica cerco di camuffare, ma è tutto inutile.
Appena siamo in salotto mi siedo subito sulla poltrona dove c'è il mio cappotto, cerco di respirare, sia per calmarmi visto che sto letteralmente tremando per l'ansia di ciò che sto per fare, sia per la sua vicinanza.
"Puoi aprire un po' il balcone?"
Gli chiedo per distrarlo.
Lo fa immediatamente e io ne approfitto per toccare almeno le tasche, è indescrivibile la gioia che mi assale quando sento sotto le mani ciò che immagino sia il mio telefono.
Una folata di vento entra all'improvviso procurandomi dei brividi, prendo il cappotto e lo indosso sotto il suo sguardo preoccupato.
Mi porge un bicchiere d'acqua, questa gentilezza camuffa solo il suo bipolarismo, ma io purtroppo, ho visto il suo lato amichevole, gentile, ma anche quello malato, rabbioso.
"Va meglio, grazie."
Chiude subito prima che questa aria gelida ci congeli.
Mi porge un trolley rigido lilla, lo guardo interrogativa, poi ricordo le sue parole ieri sera riguardo un viaggio ed una casa in campagna, l'ansia mi fa tremare e lui purtroppo conferma le mie paure.

"Dovresti iniziare a fare la valigia, presto partiremo."
Spinge il trolley fin dentro la stanza.
Cerco di regolare il tono della voce, che inizialmente è tremolante.
"Dovrei passare da casa a prendere alcune delle mie cose e non ho neanche i miei documenti."

Non appena finisco di pronunciare questa frase mi fissa, la fronte si aggrotta e le sopracciglie si incurvano verso il basso, come se cercasse di capire cosa io stia dicendo.
Cambia tutto rapidamente, rivedo l'Ernesto di quella notte di quasi quattro anni fa.
Lo sguardo vuoto, privo di espressione in volto, dura solo pochi secondi, come se il suo corpo fosse svuotato dalla sua anima e impossessato da un'altra, quella che dà vita al ragazzo spietato.

Serra la mascella e i suoi occhi diventano quasi neri come la pece, annullando quell'azzurro che in genere trae in inganno.
Si dirige verso di me come una furia e afferra con forza il mio braccio costringendomi ad alzarmi.
Mi trascina nella stanza senza dire una parola, mi spinge con violenza sul letto e finisco per caderci sopra.
Sale a cavalcioni su di me, terrorizzata cerco di mettere le braccia davanti il viso per proteggermi, chiudendo istintivamente gli occhi.
Per pochi attimi non succede nulla, quindi li riapro e lì, ho davanti a me un mostro che mi sovrasta, sono assolutamente inerme nelle sue mani.

Il viso livido di rabbia che ho davanti, credo che non lo dimenticherò mai.

Afferra con una mano il mio collo e inizia a stringere, con l'altra cerca di difendersi dai miei attacchi cercando di bloccare le mie mani.
L'aria inizia a venir meno, mi dimeno sotto di lui, ma è troppo forte, troppo muscoloso, ed io troppo debole, sempre più debole.
All'improvviso come se si fosse risvegliato da una trance sbarra gli occhi ed inizia ad allentare la presa alla mia ennesima supplica fatta con una voce flebile e rauca.
Finalmente sono libera, inizio a tossire e respirare anche se con un po' di difficoltà.
Lui si alza e balbetta delle scuse, corre in salotto mentre resto su questo letto in cerca di aria.

Temevo di morire.

Lo vedo tornare con una bottiglia di acqua che posa sul comodino, mentre io alla sua vista mi accartoccio su me stessa terrorizzata.
"Ora devo uscire, hai bisogno di documenti nuovi, domani partiremo."
Mi informa tranquillo come se non fosse successo nulla, esce dalla stanza chiudendomi dentro a chiave, pochi istanti e sento sbattere il portone dell'appartamento.
Inizio a piangere inevitabilmente, sfogo tutta la paura e la frustazione in queste lacrime liberatorie, porto una mano alla gola dolorante e non appena sfioro la pelle questa arde  provocandomi una smorfia.
Cerco di inspirare profondamente, come se ancora non fossi riuscira ad incanalare abbastanza ossigeno.
Asciugo rapidamente le lacrime dal viso, con mani tremanti afferro il telefono e vedo che ha la vibrazione, sarà per questo che non se ne sarà accorto.

Batteria diciannove per cento.

Immediatamente trovo il contatto di Alex e faccio partire la chiamata.
"Ti prego, ti prego, ti prego rispondi."
Le mie preghiere vengono ascoltate.

"Emily."

Arrenditi a Noi (Sequel di Arrenditi All'Amore) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora