~32: Gelosia

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«Buonasera agente» Nathan si avvicina al bancone, resto leggermente indietro, non voglio intromettermi oltre, è una questione di famiglia, e io non ne faccio più parte. L'agente alza lo sguardo verso di noi, riponendo accuratamente nella carta ciò che stava per mangiare.
«Buonasera signori. In cosa posso esservi utile?» domanda sistemandosi poi l'uniforme.
«Vorrei che riapriste il caso di mia sorella» taglia corto Nathan, si nota la sua impazienza.
«Nome e motivo, grazie» distoglie lo sguardo puntandolo sul computer accanto a lui quasi svogliatamente.
«Camila Johnson, il caso è stato archiviato circa otto anni fa» l'agente scrive qualcosa al computer, poi annuisce quando trova ciò che stava cercando.
«Si, qui è presente una denuncia per violenza e istigazione al suicidio contro il signor Ryan Swan. Inoltre viene riportato che le accuse sono cadute per mancanza di prove, perché volete far riaprire il caso? Soprattutto quali prove avreste mai trovato dopo otto anni?» vedo Nathan irrigidirsi, gli poso una mano sul braccio, ma questo non basta per farlo calmare, anche se non scosta la mia mano.

«Mia moglie» afferma indicandomi «ha una registrazione sul suo cellulare nella quale il signor Swan confessa ciò che ha fatto a mia sorella» l'agente si volta verso di me sgranando gli occhi, io annuisco per fargli capire che Nathan sta dicendo la verità, che dopo otto anni avranno quella maledetta prova per punire il colpevole di un tale atto.

«Potete tenere il cellulare non importa» dichiaro ponendo il cellulare sul bancone. L'agente lo prende e se lo rigira tra le mani come se non fosse un normalissimo cellulare, ma un bene prezioso, qualcosa di mai visto prima.
«Ci vorrà un po' di tempo signor Johnson, bisogna controllare che la registrazione non sia falsa o compromessa. Per qualsiasi cosa vi contatteremo senza esitare»
«Grazie mille agente, arrivederci» Nathan va via dalla centrale senza neanche attendere la risposta dell'agente.
«Grazie agente, la prego di fare tutto il possibile, mio marito e la sua famiglia vogliono solo giustizia per ciò che è successo a Camila, hanno sofferto tanto. Arrivederci» lo saluto sistemando meglio la borsa sulla spalla.
«Faremo tutto il possibile signora, ma non possiamo accorciare i tempi necessari alla procedura. Arrivederci» mi saluta aprendo, finalmente, la busta contenente il suo pranzo, credo. Esco anche io dalla centrale. Una folata di vento mi accoglie. Mi avvicino a Nathan che sta accanto alla macchina con le braccia incrociate.

«Come mai ci hai messo così tanto?» domanda entrando in macchina.
«Niente, ho ringraziato l'agente e sono venuta qui» lo seguo. L'abitacolo dell'auto è molto più caldo rispetto all'esterno, vorrei tanto stare nel letto a riposarmi invece di stare qui.
«Lo apprezzo»
«Cosa?» lo guardo smettendo di sfregare le mani tra di loro per generare un po' di calore. Indurisce la mascella.
«Ciò che hai fatto per me, nonostante tra noi sia finita continui ad aiutarmi, lo apprezzo» arrossisco.
«Lo faccio perché meritate di avere giustizia, voglio che Ryan paghi quasi quanto voi, anche se non ho mai conosciuto Camila vorrei che ottenesse giustizia, anche se questo non la riporterà in vita» credo sia colpa della gravidanza se cade una lacrima solitaria. Nathan l'asciuga, prontamente, poi mette in moto la macchina e ci dirigiamo alla prossima meta.

Il viaggio è silenzioso, un silenzio quasi assordante, che mi fa sentire il cuore battere. Un tamburo, è l'espressione perfetta per far capire il suono che mi arriva alle orecchie, un rumore che mi fa male la testa. Eppure non dovrei preoccuparmi, non dovrei essere così spaventata all'idea di fare una normalissima visita ginecologica. Non dovrei avere paura, ma so che vedere nello schermo questo bambino renderà tutto ancora più reale. Dirlo a Sasha o a Nathan, non l'ha reso così reale, ma vederlo in uno schermo sì. Io so che quando lo vedrò sarà tutto più reale, e tutte le mie paure prenderanno il sopravvento, e non ci sarà nessuno ad aiutarmi, sono sola, e forse la solitudine è quello che merito.

Entriamo nello studio della dottoressa White, mi guardo intorno come un'ossessa, devo mantenere la calma, la paura e l'ansia non fanno bene al bambino.
«Buongiorno posso esservi utile?» una donna di circa trent'anni mi riporta alla realtà
«Buongiorno, sono Rachel Johnson, e lui è mio marito Nathan, ho un appuntamento con la dottoressa White» affermo avvicinandomi alla reception.

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