~4: Ora o mai più

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Sono giorni che elaboro la mia fuga, giorni in cui non esco dalla mia stanza, oggi è la mia unica occasione per andarmene da quest'inferno. Preparo in fretta la valigia, metto solo il minimo indispensabile, due maglie, due paia di pantaloni e di scarpe, l'intimo e poco altro necessario. Mi avvicino al mobiletto, apro un cassetto, rimuovo tutto ciò che contiene e alzo il pezzetto di legno che ho inserito, estraggo tutti i miei risparmi, li metto in tasca e ripongo tutto esattamente come era prima. Ho cercato di mettere il minor numero di cose possibili in valigia affinché nessuno si accorga di nulla. Richiudo la valigia, la ripongo in un angolo della stanza, poi esco dalla mia camera, non si sente nulla provenire dal piano di sotto, saranno tutti usciti come immaginavo. Scendo al piano di sotto, cercando di non fare rumore per sicurezza. Controllo l'orario, sospiro a quest'ora i miei genitori dovrebbero essere a lavoro come immaginavo. Cerco in tutta la casa e neanche di Martha c'è traccia, forse sarà uscita per fare la spesa o qualche commissione. Quindi in casa ci siamo solo io e Kimberlee, è il momento perfetto. Dopo aver fatto almeno un altro giro per la casa assicurandomi che non ci sia nessuno, salgo al piano di sopra dirigendomi verso la camera di mia sorella, busso alla porta, batto freneticamente il piede sul pavimento, non ho altre occasioni, devo far funzionare le cose. Kimberlee viene ad aprirmi poco dopo.

«Cosa ci fai qui Rachel?» si stropiccia gli occhi con le mani, si sarà appena svegliata immagino, ma io non ho tempo da perdere.
«Kimberlee dobbiamo andare, non c'è nessuno in casa, è il momento perfetto, sono sicura che non ci sarà un'altra occasione come questa, staranno sicuramente facendo i preparativi per il matrimonio e saranno a casa tutto il tempo. O ora o mai più» la guardo seria negli occhi. La sua espressione cambia radicalmente, chiude la porta di camera sua e mi viene accanto.
«Sei sicura di volerlo fare Rachel?» afferra le mie spalle con le sue mani, come una madre fa con un figlio quando deve fargli un discorso serio, ma lei non è mia madre e non mi sta per niente rassicurando.
«Si Kimberlee non ho altra scelta, e lo sai anche tu, poi se vuoi sacrificarti al mio posto, accomodati, non mi dispiace» lei mi rifila un'occhiataccia.
«Allora vai a prendere la valigia ti accompagno all'aeroporto, il tempo di mettere qualcosa di decente e andiamo» annuisco e vado in camera mia a prendere la valigia, la porto di sotto. Non posso ancora crederci, ci sto riuscendo, finalmente riuscirò ad andare via da tutto questo. Sono elettrizzata e spaventata allo stesso tempo, sarà questa l'adrenalina immagino. Kimberlee scende le scale poco dopo, afferra le chiavi dell'auto dal piattino e mi fa un cenno con il capo.
«Andiamo» affermo aprendo la porta della nostra casa, o quella che pensavo fosse la mia casa, invece quella era come una prigione, una gabbia che mi ha tenuta fuori dal mondo per tutta la vita, mi ha resa la persona che sono, priva di amici e che non riesce a relazionarsi con gli altri. Forse se avessi avuto altri genitori sarebbe stato tutto diverso, oppure se fossi stata come Kimberlee tutto questo non sarebbe successo, io sarei stata diversa.


«Rachel dobbiamo muoverci altrimenti qualcuno potrebbe tornare a casa» non mi rendo conto che sono ferma sull'uscio della porta, ritorno in me, scuoto la testa.
«Arrivo» chiudo la porta alle mie spalle e senza più voltarmi salgo in macchina, Kimberlee mette in moto l'auto e partiamo.

Le squilla il cellulare, ma lei non accenna a rispondere.
«Non rispondi?» cerco di prendere il suo cellulare per accettare la chiamata.
«No, sto guidando»
«Metto il vivavoce, non preoccuparti»
«Rachel ho detto che non voglio rispondere» esclama alzando il tono di voce. Mi volto verso di lei, la sua pelle ha perso un po' di colorito, che abbia paura che scopra chi la sta chiamando?
«Scusami Kimberlee, se è un qualche tuo fidanzato di cui non posso esserne al corrente non fa niente, volevo solo aiutarti» mi giustifico.
«Lascia stare Rachel, stai già facendo abbastanza, se papà dovesse sapere tutto siamo entrambe nei guai» accende la radio e mette fine alla nostra conversazione. Non avevo riflettuto sulle probabili conseguenze per Kimberlee, dopotutto lei è sempre stata la preferita di nostro padre, chiuderà sicuramente un occhio per lei, ma per me non lo farebbe mai.


Sono ormai quindici minuti che siamo in viaggio e dovremo arrivare all'aeroporto tra massimo mezz'ora però una domanda non fa altro che tartassarmi la mente, soprattutto dopo quella chiamata senza risposta.
«Kim non lo hai detto a nessuno vero?» chiedo in imbarazzo, lei mi guarda per un momento distogliendo la vista dalla strada, per poi riportarla su di essa, abbassa il volume della radio.
«Rachel cosa dici, ovvio che non l'ho detto a nessuno» sembra offesa dalla mia osservazione, ma dovevo esserne sicura, dovevo dare una spiegazione al suo atteggiamento.
«Scusami Kim, è che non so più di chi fidarmi» sussurro.
«Dovresti fidarti della tua famiglia» mormora, alza il volume della radio e continua a guidare. Anche questa volta non riesco a controbattere, Kimberlee deve avere sempre l'ultima parola, senza darmi modo di giustificarmi.

Il senso di colpa mi attanaglia, stavo accusando mia sorella, colei che mi sta aiutando ad uscire da questo inferno, di aver fatto la spia, credo che non mi perdonerà molto facilmente questa cosa, soprattutto dopo il casino in cui l'ho coinvolta. Il silenzio che mi riserba Kimberlee per il tempo restante del viaggio è agghiacciante, c'è solo la musica a tagliare quel silenzio che continua a riservarmi, vorrei spiegarle che non le ho detto quelle cose perché non mi fidi di lei, altrimenti non le permetterei di accompagnarmi all'aeroporto, solo che non so più cosa pensare delle persone che mi sono intorno, soprattutto dopo ciò che ha detto nostro padre. Il non fidarmi molto delle persone che mi circondano è sempre stata una mia caratteristica, ho conosciuto letteralmente solo la mia famiglia, poi la mia coinquilina al college, nessun altro, e di sicuro con la mia coinquilina non c'è stato un buon rapporto, meno la vedevo meglio era. Mi rintanavo per ore in biblioteca pur di non scambiarci due parole. Dopo ciò che ha detto mio padre tutto è aumentato, portando la mia già precaria fiducia verso gli altri a sgretolarsi completamente, se ho capito una cosa è che posso contare solo su me stessa, e su mia sorella penso.

«Siamo arrivati» annuncia Kimberlee, io sospiro e tolgo la cintura di sicurezza. Scendo dalla macchina, chiudo la portiera, alzo la testa, è davvero una bella giornata per prendere l'aereo. Mi dirigo verso il cofano della macchina, lo apro e prendo la mia valigia, per poi richiuderlo subito dopo.

«Kimberlee ci credi? Riuscirò a scappare» avanziamo verso l'entrata dell'aeroporto.
«Cosa ti aspettavi Rachel? Che qualcuno cercava di fermarti? Eravamo a conoscenza della tua fuga solo noi due, è ovvio che nessuno sia venuto a cercarti» mi sorride, si sporge leggermente per vedere qualcosa o qualcuno, dietro di me.
«Che cosa stai guardando Kimberlee?» sorrido per poi voltarmi verso ciò che sta guardando mia sorella, raggelo sul posto.

«Dove credi di andare Rachel?» 

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