~11: Gli stessi occhi neri che ho visto al mio matrimonio

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Vi è mai capitato di fare un sogno pensando che fosse reale? A me sì, quel sogno era così reale da pensare che non ne sarei mai uscita, che tutto quello che stavo sognando fosse la vita vera e ne ero terribilmente spaventata.

Mi trovavo nella mia vecchia casa, precisamente nella mia vecchia camera, quella camera che è stato il mio rifugio, anche questa volta lo era stato. Stavo leggendo un libro come mio solito, la luce della lampada come unica fonte di luminosità, le finestre chiuse, come al solito. Delle urla improvvise interrompono la mia lettura "è normale" ho pensato "mamma e papà litigano sempre non c'è niente di cui avere paura" per non continuare ad ascoltare le urla ho preso le cuffie dal cassetto e le ho indossate, mettendo poi della musica dal cellulare, per poi continuare la mia lettura, finalmente potevo ritornare al mio passatempo preferito senza distrazioni. Però una sensazione strana continuava a manifestarsi dentro di me, avevo inaspettatamente paura, ma per fortuna la musica riusciva a coprire le urla provenienti dal piano di sotto. Avevo paura di togliere le cuffie per qualche strano motivo, ero terrorizzata dal dover mettere fine a ciò che mi lasciava lontana dalla realtà. Non riuscivo più a leggere niente, le parole davanti a me sembravano sbiadirsi mentre io, invece, cercavo di decifrarle.

Dopo qualche canzone decido di togliere almeno una cuffia, con la mano tremante e il cuore in gola, le urla erano cessate, però qualcuno stava salendo al piano superiore, per fortuna è mia abitudine chiudere la porta a chiave. Qualcuno bussava alla porta ma io non accennavo ad aprirla, mi sono ritrovata a trattenere il respiro, come se anche respirare potesse far avvertire la mia presenza. Dato che nessuno apriva la porta, quella persona cercava di far scattare la serratura, ho cominciato ad indietreggiare cercando un riparo, mi sono nascosta nell'armadio e ho chiuso le ante, avevo paura che quella persona potesse essere entrata.

«Rachel so che sei qui dentro apri la porta» una voce distorta pronunciava queste parole.
«Kim lascia stare non è in casa» ero tentata di uscire dall'armadio ma quel senso di paura era ancora persistente.
«Rachel ti ho detto di aprire la porta» questa volta urlava, dovevo calmarla così uscii dall'armadio e aprii la porta. «Ecco dove eri finita, perché non hai aperto prima la porta? Dobbiamo parlare sorellona» io non riuscivo a proferire parola, quella non sembrava minimamente essere mia sorella, ero terrorizzata dalla figura davanti a me «Rachel, era da tanto che aspettavo questo momento, tu sei una persona inutile, e nessuno ha bisogno di te, quindi è giunta l'ora che tu non sia più un ostacolo, dopo quello che hai fatto alla mamma, non posso dirti altro se non, ci vediamo all'Inferno sorellona» e poi il nulla.

La discussione con Nathan di questa notte non mi è ancora del tutto indifferente, per non parlare dell'assurdo sogno che ho fatto, tra due ore avrei il colloquio di lavoro, spero di fare per lo meno una buona impressione, ci tengo davvero molto.

Cerco nell'armadio qualcosa da indossare, qualcosa di sobrio ma non troppo, voglio che tutto sia perfetto nei minimi dettagli. Dopo aver scelto cosa indossare vado a farmi un bel bagno rilassante, ne ho davvero bisogno. Dopo un'ora sono pulita e profumata, pronta per andare al famigerato colloquio di lavoro. Prendo un giacchetto, un paio di chiavi dal piattino ed esco di casa, chiudo la porta a chiave e percorro il vialetto, sorridendo dinanzi al bel tempo di questa mattina. Nonostante il mio malumore cerco di essere felice per la svolta che potrebbe prendere la mia vita. Non mi sono mai interrogata sul significato dei sogni e non voglio iniziare adesso, per ora devo solo cercare di fare una bella figura per il colloquio, cercare di dimenticare tutto e iniziare una nuova vita. Quello che devo capire è che devo pensare solo a me, non posso fare altrimenti.

Non riesco a non pensare a ciò che ho sognato, Kimberlee ha detto che ho fatto qualcosa alla mamma, ma cosa? Cosa potrei mai averle fatto per andare all'Inferno?

Percorro le strade poco affollate di un martedì mattina, la brezza primaverile mi sfiora i capelli. Dopo venti minuti arrivo a destinazione, entro e cerco qualcuno che possa aiutarmi. Scorgo un ragazzo e subito vado a chiedergli informazioni.

«Mi scusi» domando «Saprebbe dirmi dove posso trovare l'ufficio della direttrice?» il ragazzo si volta verso di me.
«Mi dispiace signorina, ma io non lavoro qui, sono solo di passaggio, comunque piacere io sono Ryan» ha gli occhi neri, saranno gli stessi che ho visto il giorno del mio matrimonio? Impossibile, ci saranno così tante persone con gli occhi neri, sarà solo un caso.
«Io sono Rachel, piacere mio, e mi scusi ancora per l'inconveniente» Ryan continua a guardarmi negli occhi e io faccio lo stesso, e più li guardo più penso che sia effettivamente lui l'uomo che ho visto prima.
«Non si preoccupi»
«Allora io vado, arrivederci Ryan» e mi allontano alla ricerca di qualcuno che possa aiutarmi. Scorgo una ragazza con un cartellino posto su una divisa, e le chiedo subito indicazioni.

Sono davanti alla porta chiusa della direttrice, sospiro come per darmi forza e poco dopo mi decido a bussare. Dopo aver ascoltato "avanti" apro la porta e successivamente la chiudo alle mie spalle. L'ufficio della direttrice è molto ampio, e mi fa cenno di sedermi su una delle due sedie poste davanti la scrivania.
«Lei deve essere Rachel Johnson»
«Si, sono io» rimpiango ogni giorno di aver ottenuto il cognome di Nathan.
«Signora Johnson lei ha un curriculum perfetto, ma vedo che non ha alcuna esperienza lavorativa, perché dovrei darle questo lavoro?» domanda sistemando la giacca del suo completo.
«So di non aver mai avuto alcuna esperienza lavorativa, ho studiato archeologia e mi sono anche laureata, vorrei lavorare presso questo museo perché penso di poter dare il massimo, imparo molto in fretta e sono sempre molto disponibile. Ci terrei molto ad avere questo lavoro, perché so che potrei dare il massimo e migliorarmi allo stesso tempo» affermo, ed è la verità, sono convinta di ciò che ho detto.
«Va bene signora Johnson, le faremo sapere entro questa settimana l'esito del suo colloquio»
«Grazie mille, e arrivederci» mi alzo dalla sedia e stringo la mano della direttrice, in seguito esco dall'ufficio, chiudo la porta e tiro un sospiro di sollievo, non posso credere di averlo fatto davvero, mi sento molto più leggera.

Allontanandomi dall'ufficio incontro ancora una volta la ragazza che mi ha fornito le indicazioni e la ringrazio ancora una volta per la sua gentilezza, uscendo poi dal museo.

«Allora come è andato il colloquio?» mi volto verso la persona che evidentemente stava parlando con me, deve accorgersi che non mi ricordo di lui e subito si identifica «Sono Ryan, ci siamo incontrati prima, ricorda?»
«Giusto, Ryan, mi scusi ma non sono molto brava nel ricordarmi le persone, come faceva a sapere che avevo un colloquio?» sorrido in imbarazzo, passo una mano dietro la nuca.
«Lo avevo immaginato, era molto tesa, e mi ha scambiato per un dipendente anche se non avevo il cartellino, che ne dici di darci del tu?» arrossisco, che figuraccia.
«Va bene, mi dispiace molto non poter continuare questa conversazione, ma ora dovrei tornare a casa»
«Nessun problema, anche io a breve ho un appuntamento di lavoro. Perché non ci scambiamo i numeri di telefono? Così potrai dirmi se sei stata assunta, ho la netta sensazione che il nostro incontro ti porterà fortuna»
«Non credo sia una buona idea, non ci conosciamo nemmeno» faccio un passo indietro.
«Hai ragione, colpa mia, allora spero di rivederti, così magari, dopo un secondo incontro deciderai di scambiarci i contatti, non sono un tipo che si arrende facilmente, a presto Rachel»
«Arrivederci Ryan»

Volto le spalle a quell'uomo misterioso, percorro la strada che mi riporterà a casa, ma durante il tragitto non riesco a smettere di pensare a quei due occhi magnetici che sembrano rimasti impressi nella mia mente, e che sono pienamente convinta fossero gli stessi occhi che mi fissavano il giorno del mio matrimonio.  

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