~37: Casa

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Sono passate dieci ore, dieci lunghissime ore in cui sono seduta su questo lettino in attesa di entrare in sala parto. Non avrei mai immaginato che il travaglio sarebbe durato così tanto. Sono tremendamente stanca, non ho chiuso occhio a causa del dolore, lo sguardo fisso sulla finestra, negli istanti di tranquillità, il via vai di infermiere che controllavano che tutto andasse bene, mentre io sono confinata in questo maledetto lettino d'ospedale. Ho visto i colori del cielo diventare dal blu scuro della notte all'azzurro del mattino. Ho visto l'alba, una delle più belle che avessi mai visto, e un po' guardando quella meraviglia, il dolore si è calmato, per poco, ma quel poco mi bastava. Sono le 9 a.m. circa, tra poco dovrebbe iniziare il processo, processo a cui per colpa mia Nathan non potrà assistere. Mi è rimasto accanto fin quando ha potuto, dovrebbe trovarsi nella sala d'attesa, o almeno è quello che mi hanno detto le infermiere. Continuo a guardare la finestra, come per togliere quel senso di colpa che ho nel cuore, non dovrei essere in ospedale adesso, dovrei essere in tribunale, con Nathan, dovremo vedere la fine, l'epilogo della vicenda di Camila, e invece no, nulla di tutto questo, sono su un letto d'ospedale da almeno dieci ore ad attendere la nascita di mio figlio. Non mi aspettavo di passare una notte insonne, non mi aspettavo di essere così tanto delusa di non aver visitato un luna park per la prima volta nella mia vita, non mi aspettavo che avrei passato queste dieci ore nel dolore e nella rabbia con me stessa. Le cose non sarebbero dovute andare così, per niente, cosa potevo mai aspettarmi, però? Che tutto andasse bene? A me, Rachel Johnson? Certo che no, fino alla fine qualcosa deve andare storto, niente andrà mai come speravo che andasse.

«Signora, la dottoressa White dice che possiamo procedere, sarà portata presto in sala parto» alzo la testa dal cuscino. Non mi ero neanche resa conto che fosse entrata un'infermiera, ero così occupata nei miei pensieri e lo sguardo sulla finestra, che non ho sentito niente. Come se mi trovassi in un'altra stanza, un'altra dimensione.
«Potrà entrare Nathan?» domando.
«Il ragazzo che è seduto in sala d'attesa da quando è arrivata?» cerca di identificare di chi stia parlando.
«Si, lui è mio marito» affermo con un filo di voce. La stanchezza inizia a farsi sentire, vorrei solo dormire un po'.
«Si potrà entrare, adesso però la porteremo in sala parto»

Vengo trasportata tra i corridoi anonimi dell'ospedale, l'odore di disinfettante, il rumore dei macchinari, il via vai di medici, infermiere e visitatori, mi distraggono da tutto ciò che sta per succedere. Voglio andare via di qui. Non so perché per dieci ore non avevo mai pensato a tutto questo, e adesso che si sta avvicinando il momento del parto vorrei scappare. Ho paura, sono terrorizzata. Sento il rumore della porta chiudersi in uno scatto, mi aiutano a scendere dalla sedia a rotelle e mi fanno sedere su un lettino. Voglio andare via. Le infermiere sistemano tutto il necessario per il parto. Sento il cuore in gola, sto avendo un vero e proprio attacco di panico proprio quando deve nascere mio figlio, è incredibile. La porta si apre di nuovo, Nathan e la dottoressa White fanno capolino nella stanza. I miei occhi incrociano subito i suoi, indossa un camice, dei guanti e una cuffia in plastica. Si avvicina a me e inizio a calmarmi, per quanto possibile.

«Andrà tutto bene» sussurra ad un mio orecchio. Vorrei davvero crederci, ma ho troppa paura. Annuisco, ingannandolo, non posso far trapelare la mia paura, non adesso.
«Rachel, ci siamo quasi. Quando avverti la prossima contrazione devi spingere» afferma la dottoressa White ponendosi davanti a me. Vorrei avere una maledetta via di fuga. Invece sono inchiodata su questo lettino, con l'ansia persistente che tutto questo andrà male.

Sento una contrazione e faccio come mi ha detto in precedenza la dottoressa, spingo. Il dolore lancinante che sento mi fa bloccare d'istinto.
«Rachel ad ogni contrazione devi spingere, manca poco» ribadisce la dottoressa. E io vorrei tanto crederle, ma so che sta mentendo, so che questo è solo l'inizio.

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