~1: Non ci saranno obiezioni da parte tua

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Anni prima...

Ho sempre avuto paura del futuro, una paura folle di tutto quello che la vita mi riserverà. Mi piace il presente, ma soprattutto il passato. Il passato è tutto quello che conosciamo, il futuro invece no. Se mi chiedessero come mi vedo anche solo tra due anni, sarei terrorizzata dalla risposta, mi blocco e non so come rispondere, perché io cerco davvero di immaginarmi tra due anni, ma non vedo nulla, è quello che mi spaventa maggiormente, il nulla. Le persone di solito hanno delle idee molto chiare, mia sorella già sta studiando per fare il lavoro dei sui sogni, la veterinaria, ed è alla ricerca quasi disperata di un ragazzo, per mettere su famiglia ed essere felice davvero, o almeno è quello che ha sempre detto. Ed io, invece, con una laurea in archeologia, non riesco ancora a trovare un lavoro, forse perché non mi applico abbastanza, o forse perché non mi ritengo all'altezza di lavorare, ho paura di deludere anche il mio datore di lavoro, così come vedo la delusione perenne negli occhi di mio padre. Forse ho sbagliato tutto, l'unica scelta che abbia fatto, studiare archeologia, credo si sia rivelata un fallimento.

Ho scelto quella facoltà solo perché mi piace il passato, non per altri motivi, non perché mi sia sentita elettrizzata dall'idea di laurearmi. Nulla di tutto questo. Dovevo laurearmi, me l'ha chiesto mio padre, nulla di più, nulla di meno.

I miei genitori non mi hanno mai permesso di studiare in una scuola, avevo un docente privato che mi dava lezioni fino al diploma, poi sono dovuta andare per forza al college, e siccome la storia era la mia materia preferita pensai di studiare archeologia. Con mia sorella fu la stessa cosa, ma lei riuscì a persuadere i nostri genitori e riuscì a frequentare l'high school, è sempre stata brava a persuadere i nostri genitori, io invece no, rispettavo le regole e non mi imponevo, mai.

Non ho amici, sono sempre stata una persona timida e credo che non andare a scuola abbia contribuito a chiudermi in me stessa, frequentando il college tutto è peggiorato, non riuscivo ad ambientarmi e alla fine desiderai disperatamente laurearmi per andare via da quel posto. Non ho mai capito perché i miei genitori non mi hanno permesso di andare a scuola, e io non l'ho mai chiesto, anche se sono una persona abbastanza curiosa, mia sorella invece lo chiedeva sempre e loro semplicemente cambiavano discorso.

Non siamo una famiglia ricca, ma agiata abbastanza da permettere un'istruzione da casa. Ed ora alla veneranda età di 25 anni abito ancora a casa dei miei genitori, mentre mia sorella è al college e si gode la vita perché queste sono state le sue parole. Lei è il mio completo opposto, non solo nel carattere ma anche fisicamente, Kimberlee è il prototipo della ragazza perfetta, magra, alta, bionda, ma la cosa che la caratterizza sono i suoi occhi neri. É una ragazza solare, intraprendente e soprattutto sognatrice.

Io invece sono il suo opposto, e invece della ragazza perfetta i miei parenti mi definiscono la figlia perfetta, quella che ascolta, che sta al suo posto, sono alta, magra, capelli neri, occhi verdi. Caratterialmente sono molto introversa, cerco di stare il più lontano possibile dai guai e non faccio amicizia molto facilmente. Tendo a non fidarmi delle persone, perché sono imprevedibili e molti hanno la cosiddetta doppia faccia, quindi meglio evitare.

Ho sempre invidiato una cosa di mia sorella, la sua capacità di non avere filtri, ha sempre detto ciò che pensava, si ribellava quando una cosa non le piaceva, e, soprattutto nostro padre, ha sempre fatto di tutto per accontentare la figlia preferita, anche se non si presentava alle cene di famiglia.

Vado in cucina dove tutti quanti sono pronti per fare colazione, mi siedo al mio solito posto, cioè dal lato opposto rispetto i miei genitori. Martha, la domestica, porta la colazione. Martha posso definirla come la mia unica amica, anche se non le racconto tutto, è l'unica persona con cui sono riuscita a socializzare. È arrivata in questa casa quattro anni fa, e forse è perché siamo coetanee, ma lei ha in tutti i modi cercato di essere mia amica, non si è mai arresa davanti i miei silenzi, ai miei no. E forse è per questo che invidio anche lei. La ringrazio e con un sorriso torna alle sue faccende.

«Tua sorella ha chiamato» esclama mio padre, interrompendo quello strano silenzio che da sempre contraddistingue i momenti in cui mangiamo «Ha detto che presto tornerà a casa» alzo lo sguardo dal mio piatto, non capisco perché Kimberlee voglia tornare qui se sta davvero bene al college, ci sono ancora le lezioni, per non parlare degli imminenti esami che dovrà sostenere. Perché tornare a casa?
«Come mai?» chiedo davvero curiosa sistemandomi meglio sulla sedia.
«Ne parleremo dopo, finita la colazione raggiungimi nel mio studio» afferma mio padre mettendo così fine a quella piccola conversazione. Mia madre stranamente non ha proferito parola, dovrei preoccuparmi? E anche se penso una cosa del genere, non mi stupisco più di tanto, lei, quando si tratta di mio padre, resta sempre zitta, si aliena per un attimo e poi resta nel suo silenzio. Ormai ho imparato a memoria queste tre fasi: il silenzio, l'alienazione e, ancora una volta, il silenzio. Da piccola pensavo che in quei momenti in cui si estraniava da tutto pensava a come controbattere, ma non l'ha mai fatto, e di sicuro, non inizierà a farlo adesso.

Cerco di finire la mia colazione, ma anche i buonissimi cornetti sembrano aver perso il loro aspetto invitante, nonostante ciò ne afferro uno e lo mangio per tenermi occupata. La mia mente continua a tartassarmi, mio padre non mi ha mai chiesto di andare nel suo studio, e quando lo chiedeva a Kimberlee si trattava sempre di qualcosa di serio, cosa avrò mai combinato, non riesco a spiegarmelo, eppure ho sempre fatto le stesse cose. E mentre io cerco di capire cosa abbia fatto di male, i miei genitori continuano a mangiare come se niente fosse, come se non stesse per scoppiare una bomba, perché si, quando mio padre convoca qualcuno nel suo studio è come se scoppiasse una bomba, una di quelle che porta con sé enormi conseguenze. Quando finiamo di fare colazione mia madre aiuta Martha con le stoviglie, invece io e mio padre ci dirigiamo verso il suo studio. Quelle scale sembrano una montagna, e ogni scalino che faccio sembra che il mio peso aumenti. Nessuno parla, come ogni volta che restiamo soli, non riusciamo a relazionarci, anche se siamo padre e figlia. Mio padre apre la porta del suo studio ed entriamo, poi chiude la porta alle nostre spalle. Mentre lui si siede dietro la scrivania dove troneggia la sua enorme sedia, mi fa cenno di accomodarmi, e così faccio, mi sedo su una delle due sedie di velluto rosso.

Lo studio di mio padre è sempre chiuso a chiave. Non possiamo entrarci se non con il suo consenso. E le poche volte che Kimberlee vi è entrata è stato per essere richiamata, mentre io osservavo tutto dalla serratura della porta, per quello che riuscivo a vedere. Non mi aspettavo altro da mio padre, il modo in cui è stato arredato il suo studio rispecchia esattamente il suo modo di essere, pareti di un colore neutro, una piccola libreria e la sua scrivania, la finestra dietro di essa che mostra una parte della città. Niente di più, essenziale e autoritario.

«Rachel, ti ho chiesto di venire qui per un semplice motivo. Tua sorella verrà qui per un motivo ben preciso che presto ti spiegherò» deglutisco. Lui non mi guarda negli occhi, piuttosto preferisce osservare le penne stilografiche sistemate accuratamente sulla scrivania.
«E, non potevi dirmelo giù, con la mamma presente?» gli chiedo iniziando ad avvertire una strana sensazione che mi chiude lo stomaco, mi pento amaramente di aver mangiato quel cornetto.

«Qualche giorno fa ho incontrato un parente di un mio caro amico» inizia a spiegare, ignorando la mia domanda, e non distogliendo mai lo sguardo da me, sguardo che per la prima volta dopo 25 anni mi dedica «Mi ha fatto una richiesta molto allettante, che non avrei mai potuto rifiutare, ma c'è una clausola, un piccolo intoppo in una grandissima offerta»
«E sarebbe?» chiedo mentre l'agitazione inizia a prendere il sopravvento, vorrei non essere mai entrata nello studio.
«Ecco il motivo per cui tua sorella sta tornando, c'è un matrimonio, è quella la clausola di cui ti parlavo» gira una penna tra le sue mani.
«Kimberlee deve sposarsi?!» gli chiedo incredula, lei che cerca il suo principe azzurro da sempre deve sposarsi per via di una clausola, non credo che sarebbe disposta ad accettare, eppure sta venendo qui. Avrà forse cambiato idea? Non è da lei.
«No Rachel, ti ho convocata qui solo per un motivo, sarai tu quella che si sposerà, e non ci saranno obiezioni da parte tua, intesi?» stringo le mani sui braccioli della sedia, come può dirmi che non posso obiettare neanche questa volta? 

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